Datagate: il finto stupore dell’Europa

Periodicamente in Europa ci si scandalizza per le prove che continuamente emergono circa le intercettazioni effettuate ai danni dei cittadini e dei leader del Vecchio Continente dalla National Security Agency statunitense. E ogni volta le cancellerie europee mostrano stupore, sdegno e chiedono spiegazioni agli “alleati” americani i quali a loro volta rispondono rassicurandoci che se ci spiano e intercettano il nostro traffico internet e telefonico lo fanno “anche per il nostro bene”, per proteggersi e proteggerci dalle minacce terroristiche e che in fondo i sistemi di intercettazione lavorano solo sulle parole chiave.  In fondo si tratta di un gioco di ruolo utile soprattutto a prendere per il naso i cittadini europei cercando di dimostrarci che i nostri governi sono davvero arrabbiati e l’Amministrazione Obama è davvero in imbarazzo. Così non è per molte ragioni.

E’ dalla fine degli anni ’90 che il problema emerge con curiosa periodicità. Tredici anni or sono fu la “scoperta” del sistema Echelon a scatenare un feroce dibattito (ma solo nelle apparenze) tra le due sponde dell’Atlantico per un apparato di intercettazione che coinvolgeva gli Stati Uniti e gli alleati anglo-sassoni (Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda) intenti ad ascoltare le comunicazioni di tutto il mondo incluse quelle degli alleati europei. Il club che gestisce e mette a profitto il frutto delle intercettazioni è rimasto lo stesso con l’asse anglo-americano a farla da padrona e a condividere un immenso flusso di dati che setaccia le informazioni che transitano dai satelliti, nella rete internet e lungo i cavi sottomarini come fanno i sistemi statunitense Prism rivelato da Edward Snowden e  il Tempora messo a punto dal vertice dei servizi d’intelligence britannici, il Government Communications Headquarter.

Il presidente Hollande, scandalizzato per aver scoperto che 70 milioni di telefonate francesi sono state intercettate dagli americani, si indigna o finge di indignarsi con Washington. Eppure all’Eliseo sanno da tempo che tra amici ci si spia come tra nemici, senza dimenticare che anche l’intelligence francese utilizza un sistema simile per ascoltare le telefonate e il traffico internet e non è certo che setacci solo quello interno al paese, ovviamente solo per garantire la sicurezza nazionale.

Anche in Germania sono tutti molto indignati dopo aver scoperto che gli americani tengono sotto controllo il cellulare della Merkel. Chissà, forse a Berlino immaginavano che alla NSA interessassero solo le telefonate di estremisti islamici e parenti degli uomini chiave di al-Qaeda. In Italia, forse perché siamo il Paese con il più alto tasso di intercettazioni telefoniche effettuate dagli organismi dello Stato, l’impatto della notizia che tutti i nostri vertici istituzionali e tutte le ambasciate sono sotto controllo americano non ha scosso più di tanto un’opinione pubblica preoccupata più dei danni che sta producendo il governo che delle spie americane.

Gli italiani hanno scoperto che, come rivelato ai parlamentari del Copasir, gli americani hanno raccolto un sacco di dati su di noi ma solo quando questi dati, messi in rete, non si trovavano più fisicamente sul suolo italiano e del resto la gran parte del traffico internet mondiale passa attraverso piattaforme sotto stretto controllo statunitense. A sentire Washington dovremmo ringraziarli per aver ficcanasato nelle nostre telefonate, chat e carte di credito perché così facendo hanno potuto sventare un attentato a Napoli, nel settembre 2010.

In realtà a rendere tutte le reazioni della vecchia Europa un po’ patetiche ha contribuito lo stesso Snowden rivelando che gli Stati membri della Ue erano al corrente dell’attività di spionaggio statunitense o anglo-americano. Sarebbero bej 35 i vertici politici e militari spiati direttamente dalla NSA ma perché nessuno di loro utilizza telefoni sicuri o criptati? Dobbiamo forse ritenere che l’intrusione nella nostra vita politica, economica e di sicurezza sia stata considerata dai nostri governanti un dato di fatto ineluttabile e accettata con rassegnazione? Un’ipotesi credibile se consideriamo che dopo lo scandalo Echelon e prima del Datagate di Snowden anche i noti Wikileaks di Julian Assange avevano rivelato all’opinione pubblica fino a che livello gli Stati Uniti ficcassero il naso negli affari di tutto il mondo, incluso nei nostri, senza farsi troppi scrupoli nel distinguere amici e nemici.

Anche perché se nel contrasto al terrorismo la distinzione può apparire più netta, negli ambiti politici ed economici gli alleati della Nato sono concorrenti sui mercati internazionali, competitor commerciali. Inutile illudersi che le capacità di Prism di esplorare e-mail, chat, banche dati informatiche, conversazioni e archivi fotografici in rete sia stata utilizzata solo per trovare qaedisti. Il vero valore aggiunto dello spionaggio degli “alleati” concerne infatti il mondo degli affari, dei brevetti e dei segreti industriali, delle commesse internazionali miliardarie nelle quali avere il vantaggio di conoscere i dettagli delle offerte dei concorrenti consente di attuare contromisure preventive e sbaragliare gli avversari. Il controllo capillare delle ambasciate negli USA punta più a carpire le informazioni gestite dagli addetti commerciali che da quelli militari e non certo da oggi. Un lavoro di cui gli statunitensi non sono certo gli unici protagonisti.

Già negli anni scorsi alcune aziende europee del settore aerospaziale e difesa fecero sapere di nutrire forti sospetti circa la capacità dei concorrenti statunitensi di conoscere e anticipare le loro mosse nei confronti di clienti internazionali. Perché  allora stupirsi di ciò che già ben conosciamo?. Forse perché l’unica alternativa a “pretendere spiegazioni” che Washington non darà è staccarsi dal cordone ombelicale che ci lega agli Stati Uniti in un’alleanza che oggi forse ci procura più guai di quanti ne risolva. Ma questo vorrebbe dire per i Paesi europei attrezzarsi per giocare a tutto campo per i nostri interessi utilizzando anche le armi dello spionaggio, investendo in tecnologie sia per difenderci dalle intrusioni sia per condurre noi incursioni a casa altrui. Magari anche realizzando piattaforme informatiche alternative ai colossi statunitensi della Silicon Valley (Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Pal Talk, YouTube, Skype, Aol e e Apple) che secondo le informazioni diffuse da Snowden e ricostruite dal Guardian hanno aderito a Prism. Siamo davvero pronti a farlo?

A investire molto denaro per smarcarci dalla dipendenza tecnologica dai colossi statunitensi attraverso i quali passa quasi tutto il traffico internet mondiale? Se la risposta è affermativa è giunto il momento di passare dalle chiacchiere ai fatti, in caso contrario tanto vale subire in silenzio e smetterla di fingere sgomento e sorpresa. Teniamo infine conto che finché l’Europa non sarà una federazione di Stati on ha senso parlare di risposta europea allo spionaggio esterno poiché l’intelligence è sempre un assetto nazionale e i servizi dei singoli Paesi possono collaborare, anche strettamente, non certo integrarsi. E poi anche noi europei ci spiamo l’un l’altro, come è sempre avvenuto.

da La Nuova Bussola Quotidiana

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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