PROBLEMI E RITARDI PER IL SOFTWARE DELL'F-35

Ancora cattive notizie per l’F-35. Un nuovo rapporto del Director of Operational Test and Evaluation (DOT&E) del Pentagono, recapitato al Congresso venerdì 24 gennaio ma anticipato due giorni prima nelle sue linee essenziali da una nota della Reuters, rivela che la release del software Block 2B dell’aeroplano non potrà rispettare i previsti tempi di consegna e richiederà almeno altri 13 mesi di lavoro. Il ritardo, l’ultimo di una serie, non mancherà di produrre effetti negativi tanto sul prosieguo della fase di sviluppo e dimostrazione del velivolo quanto sul raggiungimento della sua operatività, e più in generale su tutti i costi del programma. Secondo quanto riferisce la Reuters il nuovo rapporto del DOT&E (il sesto della serie), oltre a definire “inaccettabili” le prestazioni del software, pone l’accento su altri due problemi particolarmente critici, già denunciati a più riprese: la continua scarsa affidabilità del sistema logistico ALIS, del cui “terminale di ingresso” italiano il sito di Cameri dovrebbe presto cominciare a equipaggiarsi, e la altrettanto perdurante mancanza di adeguati margini di crescita del peso del velivolo, fattore-chiave per ogni sviluppo ulteriore di cellula, sistemi e quant’altro. Problematica di cui tener conto quando, arrivato ai reparti di volo nelle previste condizioni di operabilità, l’F-35 dovrà già sottoporsi a un primo processo di ammodernamento,“mezza” ma… di “prima vita”, come dimostrerebbero i 149 milioni di dollari che il Pentagono ha assegnato solo qualche settimana fa a Lockheed Martin perché cominci a studiare i necessari upgrade degli apparati di guerra elettronica, che inizieranno a essere obsoleti già intorno al 2020.Vale a dire solo un paio di anni dopo la Initial Operational Capability della versione base a decollo convenzionale, di cui l’Italia intende acquistare 60 esemplari.

“E’ il problema numero uno, ma lo risolveremo”
Che lo sviluppo del software dell’F-35, per il quale è richiesta la scrittura di un numero sempre maggiore di linee di codice (si parla ormai di 20 milioni di “stringhe”, la maggior parte destinate a tutto ciò che sta fuori dell’aeroplano, il sistema ALIS in testa), sia il punto debole del programma, lo si sa da sempre. Dopo i suoi predecessori lo va ripetendo da mesi pure l’attuale responsabile del programma, generale Christopher Bogdan, anche se da ultimo ha preso a considerare il bicchiere mezzo pieno: “Il software è il maggior fattore di rischio del programma, è il problema numero uno, ma riusciremo a risolverlo”. Poco prima di Natale il Dipartimento della Difesa è arrivato al punto di istituire una commissione di studio indipendente col compito di approfondire i motivi che rendono così difficoltoso lo sviluppo del software dell’F-35, e di riferirne poi al Congresso, entro il 3 marzo. L’anno scorso la stessa capo-commessa Lockheed Martin ha preso il toro per le corna mettendo sul tavolo 100 milioni di dollari e assumendo 200 nuovi ingegneri informatici. Ma il malato non vuol saperne di guarire, anzi starebbe peggiorando.

Interpellato dalla Reuters, il costruttore ha ribattuto alle accuse del DOT&E fornendo i numeri – in sé oggettivamente incoraggianti – delle missioni effettuate e dei test point fin qui verificati, rilevando in sostanza come il nuovo rapporto contenga anche “tantissime buone notizie che riguardano i progressi compiuti dal programma F-35 (…) Il report inoltre afferma che abbiamo raggiunto o superato il programma di test in volo per il 2013 nonostante diversi giorni siano andati persi a causa di un’interruzione forzata (in realtà ce ne sono state due; ndr).”. Secca poi la smentita sui ritardi della release Block 2B: “ L’F-35 ha volato in ogni modo previsto dall’inviluppo di volo e ha raggiunto o superato le performance di volo attese. I problemi identificati in questa fase sono già noti e comunque appartengono alle normali rilevazioni che caratterizzano un programma di test di tali dimensioni e complessità. Come affermato dal Governo, non esistono grandi ostacoli che impediscano di completare con successo il programma di sviluppo e noi continueremo ad occuparci dei problemi man mano che si presenteranno e ad eseguire il piano così come stabilito. Confidiamo di raggiungere i principali obiettivi posti dal nostro cliente, inclusa la Initial Operational Capability per i Marines prevista nel 2015 (…). Il necessario software combat ready,” eccoci al punto, “verrà messo a disposizione della flotta degli F-35 di produzione non oltre il mese di giugno 2015. Il software renderà i Marines in grado di identificare, tracciare e ingaggiare il nemico. E’ importante sottolineare che i Marines annunceranno la IOC con il Block 2B, dopo aver già dichiarato che le capacità fornite dal software 2B sono superiori a qualunque velivolo stiano attualmente utilizzando”.

Operatività solo simulate
Un giorno forse qualcuno avrà la bontà di spiegare come mai i rapporti del Dipartimento della Difesa, che vengono redatti sulla scorta di dati forniti ai suoi diversi uffici tra gli altri proprio dagli stessi fabbricanti del JSF, vengano da questi ultimi puntualmente e regolarmente respinti. Di sicuro, nel caso dei contestati nuovi ritardi del software, c’è questo: Lockheed Martin sorvola sul fatto che le missioni e i test point necessari per risolvere, per esempio, il “problema numero uno”, non smettono di crescere in ragione del continuo succedersi di nuovi ritardi.

Il Block 2B è la release del software che nutre la mezza dozzina di computer dell’F-35 consentendogli di impiegare missili aria-aria AMRAAM e bombe guidate e di effettuare poco più che missioni di Close Air Support, senza una completa fusione dei vari sensori; traguardo finale questo che lo stesso Eurofighter Typhoon deve ancora tagliare pur dopo aver abbondantemente guadagnato quello “di montagna”. Dal giugno 2013 l’F-35 vola con la release Block 2A, qualcosa di non molto diverso dalla precedente 1B, buona solo per degli ampi giri campo in aria chiara. Il Block 2A permette al pilota di utilizzare tutte e sei le telecamere termiche del sistema di sorveglianza e scoperta dei bersagli EO-DAS AN/AAQ-37 ma senza poterne integrare le immagini nel casco, che a quanto si sa per il momento consente di visualizzare al pilota solo le informazioni sulle condizioni meteorologiche. Con la release di software 2A il JSF può solo simulare il lancio di un AMRAAM,  con fattori di carico in manovra limitati a 5,5-6 g; non può condurre voli in condizioni strumentali, voli notturni, decolli e atterraggi in formazione. Tutte cose che sarà in grado di fare solo quando il Block 2B sarà stato pienamente integrato sul velivolo e avrà dato prova di funzionare. Il che, secondo i calcoli del DOT&E, non accadrà prima del luglio 2016, un anno abbondante dopo la scadenza prevista, già posticipata più volte. Il nuovo ritardo inevitabilmente farà slittare in là anche la disponibilità dei due ulteriori sotto-blocchi 3I (Initial) e 3F (Full), il primo dei quali era destinato anche ai primi sei F-35 a decollo convenzionale acquistati dall’Italia, che riceveranno invece il nuovo standard solo più tardi.

Ritardi a cascata
L’ormai sistematico “sfilacciamento” delle varie scritture e riscritture del software dell’F-35, ognuna delle quali rimanda regolarmente a quella successiva le performance che dovevano caratterizzarla, non è il miglior modo di consolidare il primo fornitore del Pentagono nel ruolo di unico, grande e affidabile costruttore mondiale di caccia di quinta generazione. Per carità, anche Gripen, Rafale ed Eurofighter hanno passato i loro guai ( e non parliamo di sua maestà l’F-22); ma qui le cose vanno decisamente peggio, non fosse altro per il carattere – come dire – “egocentrico” del programma.

I primi a patire le conseguenze del nuovo ritardo del Block 2B saranno i Marines americani, che avevano risolutamente programmato (contro il parere del Pentagono) di dichiarare la Initial Operational Capability della loro prima dozzina di F-35 STOVL “operativi” (le virgolette sono d’obbligo) per l’estate dell’anno prossimo proprio con questa release “povera”, che invece riceveranno solo nel 2016. Slitterà così anche il primo schieramento oltremare (in Giappone) di un loro reparto, mossa con cui Washington vuole “sbattere in faccia” al governo di Pechino le capacità dei suoi nuovi caccia stealth, che sta disseminando nell’intero Pacifico (Sud Corea, Giappone, forse Singapore e poi Taiwan, sicuramente l’Australia). L’indisponibilità per la data prevista del Block 2B farà poi slittare anche la capacità operativa iniziale della versione a decollo convenzionale: prevista nel dicembre 2016 ma con la release successiva alla 2B, la 3I, sarà raggiunta presumibilmente a 2018 inoltrato, data alla quale secondo le attuali previsioni la stessa 3I verrà resa disponibile. Ritardi ancora più macroscopici subirà la US Naval Aviation statunitense, che intendeva dichiarare una prima provvisoria capacità operativa dei suoi F-35C con la release finale Block 3F nel febbraio 2019, ma che ora dovrà aspettare almeno fino a tutto il 2020, vedendo aumentare fra le sue file quanti non hanno mai digerito il Joint Strike Fighter.

Slitterà anche la IOC dei nostri aerei?
E gli F-35 italiani? Quelli a decollo convenzionale in teoria subiranno la stessa sorte di quelli dell’Air Force americana, ma le cose potrebbero andare anche peggio, se è vero, come emerge da documenti del Governo australiano, che la Initial Operational Capability degli F-35 della Royal Australian Air Force, il cui primo esemplare esce dalle catene di montaggio di Fort Worth quest’anno, un anno prima del primo F-35A italiano, sarà conseguita solo fra sei anni.

I nostri primi 6 aerei (3 del LRIP-6 e 3 del LRIP-7) ci verranno consegnati verosimilmente ancora con il Block 2A e dovranno quindi essere retrofittati. Gli ulteriori 2 aerei del successivo LRIP-8 – il piano di Segredifesa ne prevedeva 4 ma evidentemente ha avuto la meglio (complice forse l’Indagine Conoscitiva del Parlamento) la pianificazione più prudente dello Stato Maggiore Difesa – dovrebbero invece essere consegnati col sospirato ancorché poco prestante Block 2B. Anche i primi Eurofighter affluirono ai nostri Gruppi di volo con software ancora “acerbi”, venendo poi portati a standard e conseguenti capacità più elevati. Nel caso del Joint Strike Fighter però la sequela della maturazione sembra non possa finire mai. Colpa, in buona parte, di un meccanismo perverso che fa sì che agli enormi problemi di programmazione del software più complesso mai sviluppato in campo aeronautico, si aggiunga l’onere di destinare sempre più tempo e denaro alla verifica delle “riparazioni” studiate per rimediare agli (inevitabili) errori di quella stessa programmazione. Non risolvendo i quali, il pilota del campione assoluto dei moderni aeroplani da combattimento potrebbe trovarsi in forte imbarazzo.

Foto: Lockheed Martin

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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