Terrore nei cieli dopo il Boeing malese abbattuto

L’abbattimento del Boeing 777 malese nell’area di Donetsk, nell’Ucraina orientale controllata dai separatisti filorussi, continua ad essere terreno fertile per lo scontro politico con la Russia contrapposta Kiev e ai suoi alleati occidentali. Uno scontro basato su accuse dirette formulate da Washington a Mosca a cui viene attribuita la responsabilità di aver fornito armi antiaeree avanzate ai separatisti.
Come già accaduto in passato l’intelligence statunitense non sembra volersi sbilanciare più di tanto a sostegno del tentativo di Barack Obama di mettere all’angolo la Russia allontanandola dall’Europa e finora tutte le valutazioni emerse dai report dei servizi segreti non rinunciano all’uso del condizionale. In una guerra fatta di rivelazioni e colpi bassi ucraini e americani hanno pubblicato foto di un sistema mobile Buk che rientrava in Russia dai territori ucraini in mano ai separatisti ma i servizi russi hanno avuto buon gioco nel mostrare che un cartellone pubblicitario di una concessionaria d’auto alle spalle del mezzo dimostra che la foto è stata scattata in un’area sotto il controllo dei governativi (foto sotto).

Kiev ha respinto l’accusa di Mosca di aver fatto volare due suoi jet “all’ombra” radar del Boeing ma furono proprio gli ucraini a rivelare di aver perso lo stesso giorni un loro jet abbattuto da un caccia russo.

Grossolana (anche se scarsamente evidenziata dai media occidentali) la propaganda di Kiev che non spiega perché ha schierato nei dintorni di Donetsk numerose batterie antiaeree Buk benché i separatisti non dispongano di aeronautica (ma i caccia russi compiono frequenti intrusioni) né perché non abbia chiuso ai voli civili il lo spazio aereo sul Donbass dopo aver perso oltre 20 aerei ed elicotteri ad opera dei missili antiaerei dei ribelli. Chiudendo lo spazio aereo sul Donbass, Kiev avrebbe ammesso di non avere il controllo su una parte consistente del suo cielo e del suo territorio ma le agenzie internazionali del volo (specie quelle americane ed europee) avrebbero dovuto allertare già dalla primavera scorsa le compagnie aeree di evitare di sorvolare quella regione. Al di là delle responsabilità oggettive l’abbattimento del volo MH-17 è innanzitutto frutto dell’imprudenza, della scarsa attenzione ai rischi di abbattimento che i velivoli commerciali corrono sorvolando aree di guerra.

In questo contesto appare quanto meno curiosa l’affermazione della commissaria Onu per i diritti umani Navi Pillay che definisce l’abbattimento “una violazione dei diritto internazionale e alla luce delle circostanza potrebbe essere assimilata a un crimine di guerra”.
La cosa è paradossale se si considera che ufficialmente in Ucraina non è in corso una guerra (nonostante le stime più ottimistiche parlino di oltre mille morti nei combattimenti) non vi sono ancora inchieste né colpevoli ufficiali di quella tragedia né si sa se l’aereo è stato colpito per errore o meno, né da cosa è stato colpito (missile terra-aria o aria-aria, lanciato da terra o da un altro velivolo?). Inoltre nessuno aveva vietato il transito sui cieli ucraini orientali alle compagnie aeree.

Un “dettaglio” non irrilevante è costituito dal fatto che gli Stati Uniti accusano direttamente Mosca pur senza presentare prove inoppugnabili ma nel luglio del 1988 non accettarono certo di subire sanzioni o condanne per crimini di guerra quando l’incrociatore della Us Navy Vincennes abbatté  nel Golfo Persico in Airbus A-320 iraniano con 290 persone a bordo (66 erano bambini).

Benché la nave militare imbarcasse il sistema di difesa aerea più sofisticato Washington sostenne di aver confuso il volo di linea con un aereo da guerra F-14 di Teheran. Una motivazione ancor più traballante se si considera che l’F-14 era un aereo statunitense tra i più sofisticati, venduto anni prima al regime di Reza Pahlevi, la cui traccia radar doveva essere ben nota alle forze statunitensi. Washington si limitò a esprimere rammarico ma non si assunse mai la responsabilità dell’errore né si scusò con Teheran pur versando otto anni dopo 61 milioni di dollari di indennizzo ai famigliari delle vittime. L’abbattimento dell’Airbus iraniano avvenne il 3 luglio, mentre erano in corso scaramucce aeree e navali tra le forze americane e iraniane. Un contesto bellico quindi, simile a quello riscontrabile oggi nell’Ucraina Orientale.

La fobia generata dal caso del Boeing 777 della Malaisya Airlines ha indotto molte compagnie a modificare le riotte sulle zone di guerra. Molti voli diretti in Africa Occidentale dall’Europa sorvolano il sud dell’Algeria, il Malì, la Libia, Paesi dove sono in corso vere e proprie guerre civili o sono presenti milizie in grado di procurarsi armi di ogni tipo grazie al denaro incassato con i traffici di droga, armi ed esseri umani. Colpire un aereo in volo a 10 mila metri di quota non è facile e richiede sistemi missilistici a guida radar e personale ben addestrato ma si tratta di condizioni non certo difficili da soddisfare per chiunque abbia pochi milioni di dollari da spendere ricorrendo al mercato nero e a mercenari.

Gli arsenali dell’eserciti libico di Muammar Gheddafi e parte di quelli degli eserciti ucraino, siriano e iracheno sono oggi “sul mercato” inclusi i missili antiaerei. Almeno 10 mila di quelli portatili a corto raggio sono scomparsi dalle caserme libiche e finiti sul mercato nero che alimenta insorti e terroristi. Armi che non possono colpire velivoli ad alta quota ma restano letali quando gli aerei di linea sono appena decollati o in procinto di atterrare, opzione che da molti anni rappresenta una delle maggiori minacce terroristiche.
Molte compagnie aeree che sorvolano regolarmente il cielo iracheno si pongono ora il problema dei rischi. British Airways, Air France, Lufthansa e Qantas e altre volano verso Oriente passando su Mosul, la città irachena conquistata a inizio giugno dalle milizie dello Stato Islamico mentre Emirates ha annunciato la cancellazione dei voli diretti a Baghdad e Erbil (Kurdistan).

L’intelligence Usa teme che i jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is) che controllano ormai saldamente il nord del Paese possano essere riusciti ad impadronirsi di batterie di missili terra-aria di fabbricazione russa, come gli  SA-11 Gadfly sospettati di aver abbattuto il Boeing 777 della Malaysia Airlines. Missili trafugati dagli arsenali siriani o forse anche iracheni. Il Pentagono ha ordinato alle forze speciali inviate in Iraq per assistere le truppe di Baghdad di accertare le capacità anti-aere dello Stat Islamico mentre la US Federal Aviation Agency (FAA) ha proibito o limitato alle compagnie aeree americane il sorvolo dello spazio aereo anche di molti di Paesi africani quali Congo, Etiopia, Somalia, Malì, Kenya, Sinai egiziano e Libia.

Bando che si aggiunge a quelli in vigore su Est Ucraina, Corea del Nord, Iraq, Iran, Siria e Yemen. Quasi incredibile invece la decisione delle agenzie internazionali per il volo civile e di molte compagnie aeree di annullare temporaneamente i voli sull’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per ragioni di sicurezza  Israele è il Paese che negli ultimi decenni ha fatto di più per proteggere il suo aeroporto internazionale e i suoi velivoli da minacce terroristiche, anzi è probabilmente il Paese in cui è più difficile compiere attentati negli aeroporti o utilizzando aerei. Tutti i velivoli della compagnia di bandiera El Al e di altre compagnie private israeliane dispongono di sistemi laser di difesa contro i missili antiaerei, strumenti in dotazione in altri Paesi solo ad alcuni aerei presidenziali e a qualche velivolo commerciale statunitense.

Il Ben Gurion, inoltre è protetto dal sistema di difesa Iron Dome e finora nessun razzo ha colpito lo scalo aereo. Il fatto che un ordigno palestinese sia caduto a Yahud, a poco più di due chilometri dalle piste del Ben Gurion non significa necessariamente che vi sia una falla nel sistema difensivo poiché l’Iron Dome calcola la traiettoria dei razzi palestinesi in arrivo e intercetta solo quelli diretti contro centri abitati o obiettivi sensibili. Per comprendere l’efficacia della difesa israeliana basta considerare che su oltre 2.500 razzi lanciati da Gaza le vittime israeliane sono state solo tre.  Il blocco dei voli da e per il Ben Gurion ha costretto il ministro dei trasporti israeliano, Israel Katz, a disporre l’apertura immediata dell’aeroporto Ovda, nel Neghev per quelle compagnie che vogliano scegliere questo scalo. L’aeroporto di Tel Aviv resta aperto ma anche Ovda è teoricamente a tiro dei razzi lanciati da Gaza la cui gittata è per alcuni ordigni sufficiente a coprire tutto il territorio dello Stato ebraico.

La decisione di sospendere i voli regala quindi un’arma in più di pressione ad Hamas che oggi ha convenienza a concentrare i lanci dei razzi verso gli aeroporti israeliani anche se neppure uno colpisse l’obiettivo.

Foto: reuters, AFP, Channel NewsAsia, FSB, Redstar, ABC News

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