Al Bled strategic forum confronto tra Ue e Balcani

Bled,

Si è tenuta il 31 agosto la prima giornata del Bled Strategic Forum, evento che ormai da dieci anni riunisce nella località slovena esponenti del mondo politico ed economico mondiale. L’evento chiave è stato, senza ombra di dubbio, il Leaders’ Panel sul tema del Nuovo Ordine Globale, a cui hanno partecipato Christian Friis Bach (Rappresentante del Segretario Generale dell’ONU), Kolinda Grabar-Kitarovic e Borut Pahor, presidenti rispettivamente di Croazia e Slovenia, i primi ministri di Lussemburgo e Serbia Xavier Bettel e Aleksandar Vucic, nonché Lamberto Zannier, Segretario Generale dell’OSCE, e Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo.

Come era prevedibile, e nonostante gli sforzi del moderatore per evitare che ciò accadesse, il dibattito è stato monopolizzato dal tema dell’immigrazione e dell’incapacità europea di gestirla in modo unitario ed efficace. Proprio alla luce di questao, particolarmente interessante è risultato il saluto introduttivo di Tusk  (foto sotto) che, incalzato anche dagli altri ospiti, ha finito per partecipare attivamente allo scambio di opinioni.

Nel suo breve intervento, egli ha ribadito la propria profonda convinzione che l’Europa sia il migliore posto al mondo in cui vivere (dimostrando una sorta di patriottismo europeo) e che, proprio per tale ragione, essa vada difesa dalla massiccia immigrazione clandestina.

Per fare ciò, a suo avviso è necessario che Bruxelles trovi una soluzione compresa fra i due estremi, egualmente inaccettabili, attualmente presenti sul continente: la “via ungherese”, che ha portato a costruire un muro lungo il confine con la Serbia, e quella “italiana”, in cui a farla da padrona è l’anarchia.

L’ex premier polacco ha messo l’accento anche sul fatto che tale scelta non è rimandabile, in quanto la destinazione ideale della maggior parte dei 17-19 milioni di rifugiati del mondo resta il Vecchio Continente.

La parola è passata poi a Bettel, il quale ha dato letteralmente “fuoco alle polveri” sparando a zero sulle azioni sconsiderate condotte da alcuni paesi contro Libia e Iraq, sottolineando che è proprio per tale motivo che l’Europa sta conoscendo il fenomeno dell’immigrazione di massa.

Oltre a ciò, egli ha attaccato pesantemente anche quei Governi che durante i vertici comunitari si impegnano ad aiutare i paesi maggiormente in difficoltà (fra cui l’Italia) a causa dei flussi migratori ma fanno immediatamente marcia indietro non appena si rendono conto che l’opinione pubblica nazionale non è disposta ad accettare di ospitare i siriani in fuga.

Ancora più deciso è stato il solitamente flemmatico Vucic (immagine a lato) , che ha accusato la UE di aver chiuso entrambi gli occhi quando Budapest ha dapprima annunciato e poi materialmente costruito una barriera lungo il confine tra i due Paesi, sebbene si tratti di un’azione assolutamente non in linea con i valori costitutivi dell’Unione. Egli ha anche polemicamente chiesto ai presenti cosa avrebbe fatto Bruxelles se fosse stata Belgrado a delimitare in tal modo la frontiera con la Macedonia.

Dimostrando di aver compreso chi comanda realmente nel continente, egli ha anche lanciato un messaggio alla Merkel, chiedendole di trovare quanto prima una soluzione per aiutare la Serbia e, più in generale, i Balcani a gestire l’ondata migratoria. Verso la fine del proprio intervento, il primo ministro serbo ha voluto anche mettere l’accento sul fatto che il suo Paese è l’unico dell’area ad aver deciso di registrare gli immigrati, in modo tale da poter sapere chi sono coloro i quali chiedono asilo o di poter raggiungere i confini UE. Si tratta di un aspetto rilevante poiché tale pratica non viene portata avanti né dalla Grecia né dalla Macedonia, nonostante il massiccio aumento degli arrivi dalla Turchia abbia fatto aumentare drasticamente la criticità della situazione.

Più conciliante, invece, è stata la Grabar-Kitarovic (foto a sinistra) che, oltre ad aver smentito coloro i quali sostengono che Slovenia e Croazia non abbiano problemi con l’immigrazione (un argomento che dovrebbe interessare direttamente l’Italia vista la porosità del confine orientale del Friuli Venezia Giulia), ha ammesso che c’è una certa tendenza, all’interno dei paesi UE, a focalizzarsi unicamente sui propri problemi nazionali, a ovvio svantaggio di chi è maggiormente esposto alle crisi.

Sulla stessa linea si è espresso anche Pahor, il quale, però, ha sostenuto con forza la necessità di coinvolgere la Russia nella soluzione delle crisi in Libia, Iraq e Siria, ritenendo che senza Mosca sia impossibile giungere ad un risultato soddisfacente.

Proprio le relazioni con il Cremlino sono state al centro del secondo intervento di Bettel, secondo cui, a causa dell’ostinazione di alcuni stati, si è arrivati ad una situazione “lose-lose”, in cui ad ogni azione segue una nuova sanzione, creando una spirale che danneggia sia la UE che la Russia. Egli ha poi concluso lanciando indirettamente una stoccata a Tusk, sostenendo che il Lussemburgo comprende la freddezza dei paesi ex-membri del Patto di Varsavia verso Putin, ma che la memoria di quel periodo non deve impedire di migliorare le relazioni bilaterali.

Prendendo nuovamente la parola verso la fine del dibattito, Vucic ha lanciato un monito ai presenti evidenziando come, sebbene la polizia serba sia impegnata a vietare manifestazioni contro coloro i quali entrano illegalmente nel Paese e il governo sia a favore dell’accoglienza, le dimensioni del fenomeno migratorio stiano cominciando ad assumere effetti preoccupanti.

Egli ha anche chiesto alla UE di smettere di filosofeggiare sulla questione e intraprendere quanto prima delle misure concrete, poiché, a suo dire, Bruxelles non deve dimenticare che, a differenza delle crisi in Ucraina, quelle nei Balcani tendono a degenerare in guerre.

Considerate la storia recente del Paese e le origini politiche di Vucic, è particolarmente interessante notare che egli, quasi a cercare di fare ammenda per il proprio passato, ripeta estremamente di frequente che i “migranti” sono i benvenuti in Serbia e che il suo Esecutivo si batterà sempre contro la xenofobia.

L’apertura dei confini e gli arrivi di massa, però, sono oggetto di critiche anche da “sinistra”: infatti, non è infrequente sentire addirittura gli ex partigiani di Tito esprimere la propria perplessità per “giovani uomini che anziché combattere l’ISIS fuggono in Europa, lasciando le donne e i bambini indietro”. Secondo alcuni ex-combattenti, infatti, “se noi avessimo fatto come loro e abbandonato le nostre terre, i nazisti avrebbero vinto la guerra”.

Intervenendo sullo stesso tema durante una conferenza stampa organizzata a Belgrado, il Ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic ha usato parole ben più dure di quelle del suo premier, ribadendo che, pur essendo favorevole alla solidarietà, il suo Paese (ma non solo) si trova davanti ad un ostacolo insormontabile.

Da un lato, infatti, non può procedere al rimpatrio dei non aventi diritto all’asilo, visto che nessuno di essi ha con sé documenti o è stato precedentemente registrato, dall’altro non ha le capacità materiali per ospitare un gran numero di profughi.

Proprio in merito alla possibilità che gli stati balcanici sostengano a lungo la crescita esponenziale del flusso proveniente dalla Turchia sarebbe necessaria una riflessione di più ampio respiro da parte delle Istituzioni europee e dei paesi confinanti con l’area.

Il numero di disperati che attraversano la parte sud-orientale del nostro continente, infatti, è in continua crescita, anche a causa dello scarso controllo esercitato dalle autorità di Ankara e di Atene. Mentre la Grecia non è nelle condizioni di affrontare il problema a causa della sua situazione socio-economica interna, il Governo di Davutoglu avrebbe gli strumenti per intervenire, ma preferisce approfittare della situazione per alleggerire la pressione, oggettivamente intensa, esercitata dai rifugiati iracheni e siriani lungo il confine orientale del Paese.

Oltre a ciò, va anche considerata l’importante dichiarazione di Orban con cui il primo ministro ungherese ha annunciato la volontà di schierare sia l’Esercito che la Polizia a difesa del muro costruito lungo il confine con la Vojvodina e ribadito che l’immigrazione di massa dal Medio Oriente rappresenta una minaccia alle radici cristiane del Vecchio continente, motivo per cui gli Stati della UE devono controllare accuratamente gli ingressi sul proprio territorio.

 

Foto: Bled Strategic Forum, Tanjug, Nato, Getty Images, Reuters, AP

 

 

Vignetta – Il ministro vdegli Esteri serbo, Ivica Dacic dice al premier Aleksander Vucic: Da quanto vedo, la tua campagnia  “Fate le vacanze estive in Serbia” ha avuto una grande eco nel mondo. Metà del Medioriente e dell’Africa del Nord si è ammassata in Serbia

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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