Le nuove tensioni col Kosovo allontanano la Serbia da NATO e UE?

Fino a poche settimane fa sembrava che Kosovo e Serbia avessero reali possibilità di mettere fine alle ostilità e giungere ad un accordo per stabilizzare l’area e sbloccare l’accesso alla UE di entrambi gli Stati. Ora, invece, i due contendenti sono di nuovo ai ferri corti e l’ottimismo che era filtrato ha lasciato spazio a nuove accuse reciproche e a screzi che non si vedevano da tempo.

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La ragione di questo passo indietro è da ricercare nell’inaspettata e rischiosa decisione di Prishtina di andare “all-in”.

Nonostante il dialogo tra il presidente kosovaro Thaci e il suo omologo serbo Vucic (nella foto a lato) stesse procedendo relativamente bene e l’idea di uno scambio di territori si fosse fatta largo anche a livello internazionale, il governo locale ha deciso di delegittimare la strategia “attendista” del proprio capo di Stato adottando un approccio ben più aggressivo, con lo scopo di forzare la mano al proprio interlocutore e, soprattutto, alle potenze internazionali interessate alla disputa.

A conferma di questo, l’esecutivo ha preso nell’ultimo mese alcune decisioni di particolare importanza, che hanno avuto immediatamente un impatto negativo sui rapporti bilaterali.

La prima è stata quella relativa all’imposizione di pesantissimi dazi (pari al 100%) sui prodotti provenienti dalla Bosnia Erzegovina e dalla Serbia, una mossa che è in contrasto con la normativa internazionale e con gli stessi impegni assunti dal Kosovo.

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“Le tasse doganali sulle merci da Serbia e Bosnia-Erzegovina stanno portando i serbi nella nostra provincia meridionale sull’orlo di una catastrofe umanitaria, e le conseguenze degli aumenti dei prezzi colpiscono anche glialbanesi del Kosovo”, ha detto la premier serba Ana Brnabic (nella foto a lato) intervenendo il 10 dicembre a una conferenza a Belgrado. “Le decisioni irresponsabili di Pristina rischiano di destabilizzare l’ intera regione”.

Secondo dati dellaCamera di commercio serba il danno per le imprese serbe solo per i mesi di novembre e dicembre sarà di almeno 50 milioni di euro, mentre le perdite per l’ economia serba a livello dell’ intero anno si prevedono in oltre 500 milioni di euro. Il danno delle aziende Ue che hanno rapporti commerciali con la Serbia si stimano in circa 200 milioni di euro sull’ intero anno.

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L’obiettivo della svolta protezionista è di “spezzare” la volontà della popolazione serba ivi residente, costretta ora ad affrontare un’esplosione dei prezzi, nonché il rischio di restare senza beni di prima necessità e medicinali, motivo per cui gli stessi vengono già in parte donati direttamente da Belgrado.

Quasi in contemporanea all’offensiva commerciale, il Kosovo ha deciso di inviare alcuni appartenenti alle forze speciali (ROSU) a svolgere un raid nella zona di Kosovska Mitrovica, sebbene anche tale iniziativa sia illegale, dato che le forze di Prishtina non possono entrare nell’area settentrionale del paese senza aver prima ottenuto l’ok della KFOR e dei rappresentanti serbi.

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Cosa che, ovviamente, non è avvenuta. In tale occasione è stato particolarmente criticato anche l’operato del contingente NATO che, visto sino a pochi mesi fa come una garanzia per la sopravvivenza della comunità non albanese, è ora considerato eccessivamente indulgente nei confronti delle provocazioni kosovare.

Infine, l’aspetto forse più eclatante è quello relativo alla radicata convinzione del governo kosovaro che il paese debba dotarsi di un vero e proprio esercito, in grado, sin dalla propria nascita, di integrarsi perfettamente con l’Alleanza Atlantica.

Paradossalmente, però, nemmeno quest’ultima sembra essere particolarmente convinta della bontà dell’idea, tanto che proprio il suo Segretario Generale Jens Stoltenberg ha richiamato all’ordine Prishtina, affermando che

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Diversamente, e come già scritto in precedenza su Analisi Difesa, l’iniziativa incontra il favore degli USA, che vedono di buon occhio la possibilità di un ulteriore allargamento del fronte anti-russo nei Balcani e, soprattutto, la nascita di una forza armata legata a Washington per addestramento, approvvigionamento etc. Ecco perché il voto del prossimo 14 dicembre assume un’importanza capitale per la stabilità e il futuro dell’area.

In quell’occasione, infatti, il Parlamento kosovaro sarà chiamato ad esprimersi sulla trasformazione delle forze di difesa in un Esercito regolare.

Allo stato attuale delle cose è praticamente certa la vittoria del “sì”, ma resta da capire come l’Esecutivo deciderà di bypassare il dettame costituzionale che richiede, su questo genere di tematiche, il voto favorevole anche dei rappresentanti delle minoranze che, invece, sono chiaramente contrari a quest’iniziativa, vista come il tentativo di creare uno strumento repressivo in mano alla maggioranza albanofona.

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Dinnanzi allo scenario sopra descritto, l’incognita principale è rappresentata dalla reazione che avrà la Serbia. A differenza di quanto avveniva sino a pochi mesi fa, infatti, Belgrado non può più contare attivamente sull’opera di mediazione della UE, né di quella dei principali paesi europei.

Sebbene più di qualcuno sia contrariato dalla politica di Prishtina, infatti, in seno all’Unione Europea non vi sono state prese di posizione efficaci per spingere a più miti consigli il Kosovo, mentre la profonda crisi politica in Francia ha costretto il Presidente Macron ad uscire di scena proprio alla vigilia del viaggio istituzionale nei Balcani che avrebbe dovuto rilanciare le ambizioni francesi nell’area e riavvicinare Parigi a Belgrado.

Più o meno lo stesso si può dire anche della Germania della Cancelliera Merkel che, prossima alla fine della propria carriera politica, non sembra avere più l’interesse (o la forza) per impegnarsi anche in questo scenario.

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Proprio tenendo in mente quanto sopra, negli ultimi giorni più di qualche media ha ipotizzato che la Serbia potrebbe decidere di usare l’Esercito nel caso in cui il voto sulle Forze Armate kosovare dovesse avere successo.

Si tratterebbe di una reazione probabilmente legittima a tutela dei propri connazionali, ma anche di un caso limite e difficilmente ipotizzabile ad oggi, soprattutto perché (e non serve occuparsi di Balcani per saperlo) significherebbe uno scontro armato diretto contro la NATO, un’eventualità che il Paese vuole chiaramente evitare.

In conclusione, quanto sopra sembra confermare l’ulteriore perdita di credibilità della UE, ostaggio della propria politica filo-albanese, supportata in particolare dall’uscente Regno Unito e da un buon numero di opinion leaders, e del difficilissimo momento interno che le impedisce di attuare politiche concrete nel suo “near abroad”.

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Proprio di questa debolezza sembrano aver approfittato gli USA che, seppur critici nei confronti di alcune scelte di Prishtina, come detto sopra continuano a dare il proprio supporto alla creazione delle Forze Armate, indipendentemente dal fatto che sia chiaro come tale scelta, in assenza di un accordo definitivo con Belgrado, possa causare un’escalation della tensione.

Ad uscire clamorosamente sconfitta, quindi, potrebbe essere la Serbia, che sino a pochi mesi fa sembrava in grado di ottenere uno storico accordo e rilanciare le proprie ambizioni europee mentre ora paga il diffuso disinteresse per la sua causa.

Ciò è confermato dal fatto che le regolari violenze anti-serbe e anti-ortodosse in Kosovo vengono taciute dai media europei, nonché dall’inspiegabile decisione di alcuni player di primo piano (come l’Italia) di rinunciare a prendere posizione sulla vicenda. Il risultato di tutto ciò, potrebbe pertanto essere paradossalmente un ulteriore avvicinamento della Serbia alla Russia e, soprattutto, alla Cina, proprio ciò che un’Europa meno miope avrebbe potuto evitare se non avesse contribuito a schiacciare il paese in un angolo.

Foto: K-FOR. AFP, Independent Balkan News Agency, Difesa.it, Gloria, Financial Times e Reuters

 

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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