US Africa Command: tra Forze Speciali e contractors

A più di due mesi dall’imboscata in cui hanno perso la vita 4 berretti verdi americani e 5 soldati nigerini nei pressi di Tongo Tongo (Niger) molto resta ancora da chiarire. Salvo proroghe, l’indagine ufficiale terminerà solamente a fine gennaio 2018, tuttavia, molto è già stato detto ed ipotizzato: l’importanza del Niger nella strategia globale antiterrorismo, presenza militare di Washington nel Paese e sul continente, preparazione ed equipaggiamento degli operatori americani, natura della loro missione, ma soprattutto le condizioni del supporto – aereo, in particolare – che hanno ricevuto.

Un appoggio che, a causa di risorse limitate e vastissime aree da coprire, si è mostrato tardivo, insufficiente ed affidato quasi interamente a società private.

Tra il 3 e 4 ottobre 12 soldati americani – di cui 8 berretti verdi – e 30 soldati Nigerini sarebbero stati chiamati a supportare Obsidian Nomad, la cattura od uccisione di un importante leader terrorista –  si vocifera di Adnan Abu Walid al-Sahraoui, capo di Al Morabitun, recentemente affiliatosi all’ISIS.

L’operazione, in cui era impegnato un reparto misto americano-francese-nigerino, è saltata a causa dello spostamento dell’obiettivo – nome in codice Naylor Road – dal suo accampamento in Niger al Mali.

L’unità di supporto, inviata comunque a raccogliere informazioni, non trovando indizi, ha iniziato il rientro alla base. Dopo aver fatto rifornimento ed una riunione con gli anziani del villaggio di Tongo Tongo (~25 km dal confine maliano) è caduta in un’imboscata “complessa”, tesa da una cinquantina di militanti con armi leggere e pesanti.

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Il convoglio si sarebbe immediatamente diviso: il grosso si è ritirato di qualche miglio, mentre un veicolo con quelle che sarebbero poi diventate le vittime, è rimasto isolato. Pensando di potercela fare da soli, la prima richiesta di soccorso degli americani è avvenuta dopo un’ora. In pochi minuti un drone disarmato è giunto sul posto, ma per un vero e proprio supporto aereo c’è voluta un’altra ora, affinché dei Mirages francesi giungessero dal Ciad. Senza contatto radio ed impossibilitati a discriminare i bersagli, i piloti francesi non hanno potuto far altro che sorvolare la kill zone, mettendo comunque in fuga gli aggressori.

Elicotteri francesi ed un aereo di contractors hanno allora evacuato i feriti, per poi tornare a recuperare i caduti. Mancando all’appello il sergente La David Johnson è stato immediatamente dichiarato un Duty Status Whereabouts Unknown (DUSTWUN) – stato transitorio di un operatore in mancanza di elementi sufficienti a dichiararlo morto o disperso – scatenando un’estenuante ricerca. Solo dopo 48 ore un abitante di un villaggio vicino ne ha trovato il corpo a più di un miglio dalla posizione di evacuazione, con mani legate dietro la schiena, segni di tortura ed un colpo alla nuca sintomatico di una vera e propria esecuzione.

Il bilancio è stato quindi di 4 americani e 5 nigerini morti e 2 americani e 6 nigerini feriti; sul campo sono rimasti anche 20 jihadisti. Secondo un militare nigerino il convoglio era insufficientemente armato e preparato. Essi infatti erano dotati di una sola mitragliatrice pesante, senza giubbotti antiproiettile, senza blindature sui veicoli, senza copertura né aerea né di una forza di reazione rapida. Il Pentagono ha riferito che la natura della missione non prevedeva contatti col nemico.

 

Berretti Verdi in Africa

 La principale attività dell’unità nel Paese – Berretti Verdi dell’Operational Detachment Alpha (ODA) –  infatti era quella di assistere e consigliare i 30 nigerini. Salvo poi vedersi affidare tutta una serie di incarichi diversi, tra cui quello di cui stiamo parlando.

Il Niger, uno dei Paesi più poveri al Mondo, è da qualche anno di grande rilevanza per la campagna antiterrorista globale di Occidente e Stati Uniti. Dall’indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1960, vi si sono avvicendati diversi regimi militari, colpi di stato, istanze indipendentiste ed autonomiste delle popolazioni nomadi del nord del Paese – ribellioni Tuareg degli anni 60, 90 e 2007 – intrecciandosi con secolari ed intramontabili traffici illegali e rapimenti a scopo d’estorsione.

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A peggiorar la situazione l’instabilità generale della fascia saheliana e dell’Africa nord-occidentale che vede il Niger circondato, infiltrato ed attaccato da terroristi e guerriglieri provenienti da Libia, Mali e Nigeria. Secondo il Dipartimento di Stato americano vi sono attivi diversi gruppi terroristici tra cui Boko Haram, Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), ISIS, il Movimento per l’Unità ed il Jihad in Africa Occidentale, Ansar al Dine ed il Fronte di Liberazione di Macina. A marzo inoltre, dalla fusione di fuoriusciti dalle precedenti organizzazioni, è nata Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM).

A partire dal 1993, con l’impopolare e sanguinoso disastro somalo reso celebra dal film “Black Hawk Down”, gli Stati Uniti si sono dimostrati alquanto riluttanti ad intervenire direttamente sul continente africano, preferendo addestrare ed equipaggiare governi e truppe locali. Tuttavia, scarsi risultati ed un ulteriore deterioramento della sicurezza, hanno spinto le forze americane a tornare in massa già ad inizio anni 2000, con ruoli sempre più attivi.

Attualmente sono impegnate nell’Operazione Juniper Shield – precedentemente Operation Enduring Freedom – Trans Sahara (OEF-TS) –  indirizzata a “distruggere o neutralizzare” gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda e Stato Islamico nell’Africa nord-occidentale; sostanzialmente uccidendo o catturandone membri di spicco. Una sua sottosezione, Juniper Micron, prevede il supporto ai 4.000 soldati francesi dell’Operazione Barkhane, missione antiterrorismo e di stabilizzazione in Mali.

Secondo dichiarazioni ufficiali, AFRICOM – Comando Africano – annovera una rete di 46 installazioni, tra cui due siti operativi avanzati – Camp Lemonnier, a Gibuti ed un’altra sull’isola britannica di Ascensione, a largo delle coste dell’Africa occidentale – 13 strutture miste e 31 avamposti temporanei. Un aumento di 10 installazioni (+28%) in appena due anni.

In 53 dei 54 Paesi africani riconosciuti dalle Nazioni Unite (principalmente in Niger, Gibuti e Somalia) sono presenti circa 6.000 soldati americani, impegnati annualmente in 3.500 missioni che spaziano da operazioni militari vere e proprie ad esercitazioni, addestramento, programmi ed impegni vari. Il numero di operatori di forze speciali è passato da 450 nel 2012 a 1.300 nel 2017 (su un totale di 8.000 dispiegati globalmente).

Le operazioni che il Pentagono definisce di “advise and assist” – consulenza ed assistenza – risultano spesso indistinguibili da vere e proprie operazioni di combattimento e sono una delle modalità con cui viene stabilita una presenza nei Paesi africani, aggirando procedure congressuali più complesse.

 Il Niger, rappresenta quindi l’atteggiamento di guerra permanente degli Stati Uniti nel Mondo, dove le operazioni di combattimento sono condotte con poco od addirittura nessun controllo. Nel Febbraio 2013, l’allora presidente Obama aveva comunicato al Congresso il dispiegamento di un centinaio di soldati americani per la gestione di una struttura per droni di sorveglianza: Air Base 101, a Niamey.

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Nel giugno di quest’anno, Donald Trump ha reso noto che il numero di americani è salito a 640 – 800. Una presenza militare decisamente più alta che in ogni altro Paese africano (seguita da quella in Camerun con 300 uomini).

Mentre una parte di essi si trova impegnata con le truppe locali, il grosso sta costruendo la nuova base di droni ad Agadez.

Air Base 201 rappresenta uno dei più grandi progetti nella storia dell’USAF in termini di truppe impegnate nei lavori. Un investimento da $100 milioni che gli Stati Uniti stanno sborsando per pista d’atterraggio, alloggi ed altre strutture di supporto. I lavori, a causa di tempeste di sabbia, alte temperature, malaria, ostacoli logistici ed altro, stanno subendo notevoli ritardi e la previsione di concludere entro l’anno è stata posticipata a metà 2018. Da Agadez non partiranno solo droni per operazioni di sorveglianza, ma anche per attacchi. Nonostante in Niger non vi siano specifiche basi jihadiste, le infiltrazioni dai Paesi circostanti, concretizzatesi in almeno una quarantina di attacchi in un anno, hanno spinto il primo ministro Rafini a concedere agli Stati Uniti l’autorizzazione a colpire.

 

Il ruolo dei contracors

Ormai da tempo, dove ci sono soldati americani ci sono anche contractors; in particolar modo nell’area di responsabilità di AFRICOM che, fin dalla sua istituzione nel 2008, ha sempre ricevuto meno attenzione rispetto agli altri comandi: forze sparpagliate in ambienti ostili e proibitivi con risorse – mediche soprattutto – limitate.

Ed ecco che, terminata l’imboscata, è intervenuto un aereo della società privata americana Berry Aviation Inc.

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Che tipo di servizi aerei abbia concretamente prestato durante l’imboscata non si sa ancora con certezza, tuttavia, il contratto prevedeva il recupero – in aree sicure – di operatori rimasti isolati durante i combattimenti, operazioni CASEVAC (Casualties Evacuation, trasporto di personale in varie condizioni mediche con velivoli di circostanza; differenti dalle MEDEVAC, Medical Evacuation in cui si utilizzano mezzi specifici ed appositamente equipaggiati per fornire cure mediche durante il tragitto) ed aviolanci di rifornimenti. Visto il “basso profilo” voluto da AFRICOM, con l’obbligo di velivoli disarmati e verniciati di bianco per differenziarli da quelli militari, si escludono operazioni di Close Air Support.

Il contratto stipulato dallo US Transportation Command (USTRANSCOM) con Berry Aviation Inc. è di tipo sole source, a prezzo fisso per la fornitura di servizi aerei con un velivolo ad ala fissa ed uno ad ala rotante, di medie dimensioni. Tali velivoli, basati a Niamey, devono esser pronti al decollo in tre ore – riducibili ad una, previo preavviso – per operazioni in Africa settentrionale ed occidentale con relativo personale, equipaggiamento, rifornimenti, strutture, trasporto, utensili, materiali, supervisione, servizio di sicurezza (per proprietà e personale), medici e quant’altro.

Il tutto dal 31 luglio al 31 ottobre 2017 con possibilità di estensione di ulteriori tre mesi, fino al 31 gennaio 2018. Trattandosi di un contratto ponte, vale a dire l’estensione di breve termine di un contratto esistente, è stato attribuito senza gara d’appalto per evitare gap nella fornitura di servizi. Come spiega il relativo decreto di approvazione infatti “In Africa, le condizioni mediche che richiedono CASEVAC sono generalmente collegate a ferite d’arma da fuoco o combattimento” e “non ci sono ambulanze o servizi medici d’emergenza per supportare i militari in queste austere località, se non servizi a contratto. La loro richiesta è talmente elevata che un consueto bando – e relative lungaggini burocratiche da cui non sono esenti nemmeno gli Americani – avrebbero messo a rischio la vita dei soldati in una maniera inaccettabile.”

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Già da quattro anni la Berry Aviation, assieme alla subappaltata Air Center Helicopters Inc,  era stata ingaggiata per la fornitura di servizi aerei in ben 31 Paesi africani, in contesti ad alto rischio. Il contratto, di cui quello odierno pare proprio esserne una prosecuzione, è stato stipulato a luglio 2013, con un periodo di validità dal 12 agosto 2013 al 27 giugno 2017. Esso si strutturava su di una prima tranche da 10,5 mesi, con tre possibilità di estensione della durata di un anno ciascuna. Il valore iniziale era di $10,725 milioni, saliti a $49 alla fine dei tre rinnovi. L’attribuzione del contratto prevedeva una gara d’appalto attraverso il sito del Federal Business Opportunity, a cui hanno partecipato altre 5 società inviando le proprie offerte.

Ciò che ha giocato a favore di Berry Aviation Inc. sono stati i soddisfacenti servigi già prestati ai militari in contesti difficili come l’Afghanistan od in aeree insulari del Pacifico. Fondata ad Austin, (Tx) nel 1983 è fornitrice infatti di varie agenzie governative già dal 1987, oltre a numerose società private, businessmen e squadre sportive. Attualmente la flotta societaria conta venticinque velivoli tra ala fissa (bimotori a turboelica) e rotante (4 elicotteri UH-72 Lakota).

La Berry si è così trovata a fornire due aerei in grado di trasportare almeno sei passeggeri – o 4 barelle – e 1.200 kg di carico.

Da una pista aerea militare di Ouagadougou, Burkina Faso – altro hub dell’antiterrorismo di Washington – i contractors dovevano esser in volo entro un’ora, alla volta di uno qualunque dei Paesi africani. Più precisamente, per operare contro i gruppi jihadisti della galassia di al-Qaeda ed ISIS in Africa settentrionale e nord-occidentale e contro al Shabaab e l’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) in Africa centrale ed orientale.

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Nel mirino – o meglio, nei sensori – delle società di contractors sono finiti quindi anche i guerriglieri cristiani.  Dal 2009, esse conducono attività d’intelligence per le forze speciali americane con dei Pilatus PC-12s (U-28) su Uganda, Sudan, Sudan del Sud, Repubblica Centrafricana ed altri stati dell’Africa centrale. Decollando da un piccolo aeroporto nei pressi di Entebbe, Uganda questi aerei forniscono informazioni per il contrasto dell’LRA, responsabile di omicidi, rapimenti, mutilazioni e riduzione in schiavitù sessuale di donne e bambini. Il leader, Joseph Kony è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimi di guerra e contro l’umanità. Nel 2010 il Presidente Obama ha inviato un centinaio di Berretti Verdi nella regione per assistere le truppe; per il rifinanziamento dell’operazione Observant Compass per il 2017 sono stati chiesti al Congresso € 22 milioni.

Ad inizio anno, tre società statunitensi si sono aggiudicate dei contratti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, del valore complessivo di € 500 milioni, per fornire servizi aerei in altre aree di USAFRICOM dal 01/02/2017 al 31/01/2018: AAR/Airlift Group Inc. (€ 199 milioni), di nuovo Berry Aviation Inc. (€ 199 milioni) e la Erickson Helicopter (€ 95 milioni). Secondo le specifiche governative i velivoli a contratto saranno: almeno due aerei ad Entebbe (Uganda), due a Nzara (Sudan del Sud) e cinque elicotteri a Obo (Repubblica Centrafricana). A fine gennaio, in Repubblica Centrafricana è stato avvistato un elicottero Sikorsky S-61 con a bordo incursori americani.

Dal numero di registrazione si è risaliti alla EP Aviation LLC, società di McLean, Virginia che in passato apparteneva ad Erik Prince (da cui “EP”). Nel 2010 è stata venduta assieme ad altre attività ad AAR, conosciuta anche come Airlift Group; una sessantina di velivoli ad ala fissa e rotante assurti a simbolo di Blackwater in Iraq continuano ad operarvi. Tuttavia, diversamente dai Little Birds dei tempi d’oro, i mezzi attualmente a contratto non saranno né armati né autorizzati a rispondere al fuoco.

US-troops-in-Nigeria Se l’impiego dei contractors dell’aria è ormai assodato – dalla fumigazione delle piantagioni di coca in Colombia ai Little Birds ronzanti nei cieli di Bagdad, fino ai più recenti squadroni di “aggressori” privati dell’USAF– quello che ha suscitato scalpore, stavolta sono i lunghi tempi di reazione e la mancanza di un supporto aereo adeguato a garantire l’incolumità delle truppe sul campo e la buona riuscita delle missioni.

Mentre in teatri operativi “maturi” come Afghanistan e Iraq si possono ottenere supporto aereo ravvicinato od evacuazioni mediche in pochi minuti, nell’area di responsabilità di AFRICOM essi sono inesorabilmente pregiudicati dalla “tirannia della distanza” e dalla scarsità di risorse. Questo nonostante le forze speciali americane sul continente si spingano oltre i propri limiti e dipendano molto più dalle proprie capacità di qualunque altra unità nel mondo.

Il tempo di reazione della Berry Aviation Inc., come da contratto, può variare da 1 a 3 ore; un intervallo che sfora comunque la cosiddetta “Golden Hour” – l’ora d’oro in cui si ha la più alta probabilità che un trattamento medico possa evitare la morte o serie complicazioni in seguito ad una lesione traumatica o l’insorgenza di una patologia – ancora prima del decollo. In Afghanistan per ottenere un’evacuazione medica passano relativamente pochi minuti; in Africa possono volerci addirittura 10 ore, trasformando la “Golden Hour” in più ciniche e concrete “Golden 48 Hours”!  Nonostante gli sforzi, secondo il brigadier generale in congedo, Donald Bolduc “non si avrà mai la Golden Hour in Africa; non è possibile,” tuttavia i comandanti si sono accordati su di un accettabile lasso di tempo.”

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Non appena diramata la notizia di un possibile “Missing in Action”, squadre d’intervento rapido preposte sono state attivate – e forse intervenute – da Sigonella (a 7.200 km di distanza) o Gibuti (4.500 km), mentre un altro team di riserva entrava in stato di allerta a Baumholder, Germania (12.100 km).

Tali distanze ragguardevoli sono dovute essenzialmente alla “presenza soft” sul continente voluta da EUCOM prima ed AFRICOM successivamente: né basi né truppe in dispiegamento permanente, almeno ufficialmente. Basti pensare che il quartier generale di AFRICOM si trova in Germania, mentre molte altre sue strutture sono disseminate nel resto d’Europa.

Dopo Bengasi e la morte dell’Ambasciatore Stevens sono state sì create una serie di unità di supporto (tra cui Rota, in Spagna) e migliorati i meccanismi di risposta, tuttavia, alla luce di quanto accaduto, non pare ci siano state apprezzabili variazioni in Africa nord-occidentale: A parte una forza d’intervento rapido a Camp Lemonnier, sulla parte orientale del continente, gli Stati Uniti non hanno presenze né installazioni di una certa consistenza ad occidente. Le operazioni di droni stesse, sebbene abbiano ricevuto molta attenzione mediatica, sono limitate e con dispiegamenti ridotti, lasciando la responsabilità del supporto aereo praticamente ai contractors.

 

I limiti di Africom

Nel discorso annuale alla Commissione Forze Armate del Senato a Marzo 2017, il comandante di AFRICOM, generale Thomas Waldhauser (nella foto sotto) ha specificatamente lamentato una situazione in cui può solamente soddisfare il 20-30% delle operazioni di intelligence, ricognizione e sorveglianza aeree necessarie, sottolineando anche la mancanza di assistenza medica per le truppe e la completa dipendenza dai contractors per le evacuazioni.

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Secondo voci non confermate, prima dell’imboscata di Tongo Tongo sarebbero state avanzate richieste di ulteriore supporto da parte del Comandante delle Operazioni Speciali in Africa; richieste che l’ambasciata di Niamey ha prontamente respinto per timore di ripercussioni politiche, a causa di una “presenza militare nel Paese cresciuta già di ben 8 volte dal 2013”.

Se da una parte ci si lamenta di queste carenze, dall’altra i militari sono preoccupati che tutto il clamore suscitato dalla vicenda non possa far altro che portare maggiori ed impulsive restrizioni sulle operazioni speciali, con una maggior avversione al rischio. Secondo un operatore esperto, focalizzandoci solamente sulle 4 vittime – sempre e comunque tragiche – si rischia di non considerare che un’unità in inferiorità numerica, con risorse limitate è riuscita comunque a sopravvivere ad una pesante imboscata. Gli uomini delle forze speciali conducono attività ed operazioni “speciali”; non possono sottostare a limitazioni imposte per mere questioni di sopravvivenza politica.

Ciò rischierebbe di convertire una missione agile, leggera in qualcosa di molto più goffo e convenzionale come accadeva in Iraq e Afghanistan: “Non potevi lasciare il compound senza sei blindati, molte armi e uomini, dovevi controllare 13 volte, avere ISR [intelligence, sorveglianza e ricognizione aerea] e supporto aereo ravvicinato entro un certo range […]. Se operassimo in questo modo sul continente africano, ci precluderemmo la possibilità di fare molto.”

Un’escalation militare in Niger ed in Africa sarebbe effettivamente vista con riluttanza da un’opinione pubblica americana stanca di guerre ultradecennali in Medioriente e, probabilmente, con ancora vive le raccapriccianti immagini dei cadaveri dei rangers trascinati per le strade di Mogadiscio. Allo stesso modo le popolazioni locali potrebbero risentirsi, temere attacchi neocolonialistici o ritorsioni terroristiche.

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Cosa potrebbero fare allora i contractors? Da una parte, in numero e con risorse e poteri adeguati, essi potrebbero ottenere ottimi risultati (vedasi la CASEVAC dell’ambasciatore polacco in Iraq, ferito da un IED nel 2007, valsa ai piloti della Blackwater un’importante onorificenza); dall’altra, loro eventuali perdite, successi o fallimenti potrebbero rimanere occultati dalla più stretta aderenza al segreto aziendale. Alle continue richieste di chiarimenti ed interviste dei media, ad esempio il presidente e direttore operativo di Berry Aviation Inc., Stan Finch, ha immediatamente riferito che tali informazioni “appartengono al cliente”. In attesa che la relativa commissione d’inchiesta faccia luce sui lati ancora oscuri della vicenda, pare evidente l’ennesima necessità di una presenza professionale e discreta.

Foto: US DoD, Specialist Operations, AFP e Africa Command

 

 

 

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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