Svezia: piccoli jihadisti crescono e spadroneggiano

Da Nuova Bussola Quotidiana

I salafiti – la cui ideologia ha codificato, per intenderci, le menti di al-Qaeda e dell’Isis – risultano impossibili da arginare in Svezia. La radicalizzazione musulmana del paese scandinavo è in corso, ed è talmente prepotente da aver ormai compromesso il tessuto sociale.

Le no-go-zone proliferano, i cristiani sono terrorizzati, i salafiti imperano ovunque avendo operato un’influente azione di controllo, nel corso degli anni, a cominciare dalle moschee nascoste nei seminterrati o dalle associazioni culturali che spuntano come funghi ancora oggi.

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Le periferie sono ostaggio dell’islam, e gli svedesi a volte sembrano ignorare l’influenza della religione di Allah nei sobborghi ormai colonizzati.

Un recente studio, pubblicato a giugno e iniziato a giugno di un anno fa dall’Università di Stoccolma, ha provato a fare una stima di quanti salafiti si trovino ora in Svezia e come stanno cambiando il Paese. La disamina descrive gli ambienti salafiti evoluti e rafforzati nell’ultimo decennio al tal punto da influenzare diverse città e località svedesi.

“I salafiti”, si legge nello studio, “… difendono la segregazione di genere, esigono che le donne si velino per limitare la tentazione sessuale, restringono il ruolo delle donne nella sfera pubblica e si oppongono fortemente all’ascolto della musica e ad alcune attività sportive”.

La comunità musulmana salafita ha imposto ai musulmani di non avere amici svedesi, l’integrazione è fortemente sconsigliata, i “kufr” – i miscredenti, i non-musulmani – vanno tenuti a distanza. Lo studio ha notato che la Svezia è tecnicamente divisa in un “noi e voi”. E dove geograficamente i kufr prosperano, i salafiti sono dietro la porta perché la da’wa (la missione di proselitismo islamico) non ha mai fine.

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A Borǻs, nelle scuole, ci sono bambini che non bevono acqua e si rifiutano di dipingere con gli acquerelli perché, si lamentano, l’ “acqua è cristiana”.

La polizia ha riferito che sempre più spesso i ragazzini musulmani usano minacciare i loro compagni di classe, gl’infedeli, con foto di decapitazioni sui loro telefoni cellulari e rammentando che quel destino toccherà loro presto o tardi.  Gli adolescenti dopo una giornata scolastica hanno ormai preso l’abitudine di andare subito in moschea e “lavarsi” per aver interagito troppo a lungo con la società non musulmana. E dalle scuole agli ospedali poco cambia.

“Mi sono accorto che esiste una rete ben organizzata che controlla le donne quando vengono in ospedale fin dalle sale d’aspetto. Le donne musulmane non vengono mai lasciate in pace. Non hanno la possibilità di parlare con nessuno, neanche con gli operatori sanitari liberamente e da sole.

Quasi tutte vivono in condizioni peggiori di quelle che gli verrebbero riservate nei paesi d’origine”, ha confessato allo studio un infermiere. E il controllo delle donne è stato riscontrato in tutte le città del Paese.

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A Västerǻs l’influenza religiosa si mescola al crimine. Ci sono bande di ragazzini che controllano i negozi. E accade spesso che negli alimentari le gang islamiche facciano irruzione, e se la donna alla cassa non è velata prendono quel che vogliono senza pagare e la salutano dandole della “prostituta svedese e sputandole addosso”.

È la polizia che ha contribuito, con testimonianze del genere, a redigere lo studio. Accade spesso che per i vari esercizi commerciali le gang islamiche di giovanissimi facciano indagini circa il credo di gestori e clienti: se la risposta non è l’islam, le molestie sono assicurate. Capita che nei ristoranti musulmani gli’ infedeli non vengano serviti e che altri vengano vandalizzati solo perché non islamici. È capitato anche che dodicenni circuissero le signore non musulmane, aggredendole al grido di “questa è la nostra area”. “Se non segui l’islam sei ostracizzato qui in Svezia. Ci sono genitori che mettono il velo alle loro bambine di tre anni, è allucinante”, dice un certo Samir nello studio.

A Gӧteborg alle ultime elezioni è stato proibito di votare perché non c’era nessuno che in qualche modo giocasse a loro favore apertamente. I salafiti si sono recati ai seggi sventolando la bandiera dello stato islamico. La cosa non è un dettaglio per la città di Gӧteborg che negli anni ’90 è stata la capitale del wahhabismo in Europa. La più alta percentuale di musulmani svedesi che si sono arruolati tra le fila dell’Isis in Iraq e Siria venivano quasi tutti dalla città sulla costa occidentale, che è la seconda più popolosa dell’intero Paese.

In proporzione alla popolazione locale la Svezia ha fornito il maggior numero di jihadisti per la causa siriana, dopo Belgio e Austria, di tutta Europa. È a Gӧteborg, d’altronde, che nella moschea salafita di Bellevue uno tra gli imam più famosi, Said Regeah, usa regalare i suoi sermoni sull’importanza delle persone “pure” e che “solo i musulmani sono davvero puri”. “L’uomo nasce musulmano per definizione, sono i genitori ad inculcargli un credo diverso trasformandoli in impuri”.

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I pochi sacerdoti cattolici che ancora resistono in Svezia sono tormentati da minacce di decapitazione. Sono in tanti a lamentarsi di essere stati abbandonati dalla società. Solo a Stoccolma sono stati contati centocinquanta jihadisti salafiti. Il problema è che le autorità svedesi sono incapaci di collegare i musulmani agli ambienti in cui vengono formati e dove i gruppi jihadisti vengono costituiti.

Nello studio si legge, “quando l’allora coordinamento nazionale dell’estremismo violento ha affermato che la questione del perché così tanti svedesi avessero deciso di andare in Siria fosse da un milione di dollari, in realtà sottolineava la diffusa incapacità delle autorità svedesi di accorgersi che il problema non era emerso all’improvviso e dal vuoto”. Ma non si tratta di un problema solo svedese.

La cecità che l’Europa si è autoimposta costringe la stampa e i leader, anche italiani, a giudicare gli attacchi terroristici come “malattie mentali”, ed è la cifra del disagio occidentale.

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Gli autori dello studio giudicano che nessuno è capace di affrontare le sfide imposte dai salafiti, a cominciare dalle scuole per finire alle altre autorità locali.

Basti pensare che in Svezia, all’asilo, più di una volta le bambine hanno espresso il desiderio di sfilarsi il velo per giocare al parrucchiere o ad altri giochi, e le maestre gliel’hanno vietato perché la cosa avrebbe tradito il “mandato” dei genitori. Sempre più spesso gl’insegnanti raccontano di non sapere come comportarsi quando i bambini chiedono di mangiare e bere durante il Ramadan quando i genitori hanno ordinato loro di digiunare.

Lo studio redatto dall’Università di Stoccolma rappresenta, certo, un passo in avanti verso l’ammissione di un problema che esiste, e che viene ignorato, ma allo stesso tempo è prova di una realtà delle cose che le autorità rifiutano di conoscere e fronteggiare.

Foto: Alamy, Youtube, Getty, AFP e AP

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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