Il punto sulla minaccia jihadista nel Sahel

I gruppi militanti islamici in Africa sono cresciuti negli ultimi dieci anni, con eventi violenti in aumento drammatico dal 2010 mentre tra i diversi movimenti armati il somalo al-Shabaab è responsabile della maggior parte degli attacchi.

L’Africa Centre for Strategic Studies a fine giugno ha pubblicato un report sugli attacchi dei gruppi islamici in Africa dal 2010 che registra negli ultimi otto anni un aumento del 310% degli eventi violenti (da 675 nel 2010 a 2 769 nel 2017).

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Poiché questi episodi includono attacchi avviati dalle forze di sicurezza, questa cifra coglie anche le crescenti risposte militari all’attività militante islamista nel corso degli otto anni, ha osservato il Centro.

Gli episodi violenti che coinvolgono al-Shabaab comprendono dal 40 al 70% di tutta l’attività militante del gruppo islamista in Africa dal 2010, con al Shabaab responsabile di 450 eventi nel 2010 e 1.600 nel 2017, ben al di sopra dei gruppi più attivi Boko Haram e Stato islamico – entrambi hanno registrato 400-450 episodi nel 2017.

Il numero di morti registrate legate a gruppi militanti islamici è aumentato del 288% (da 2.674 nel 2010 a 10 376 nel 2017) con un picco di morti associati con il boom delle azioni di a Boko Haram di 12.000 nel 2015.

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Il numero di vittime totali è diminuito di quasi la metà dal 2015. Questo declino è quasi interamente dovuto alla diminuzione dei decessi associati a Boko Haram, che ha causato meno di 4.000 morti nel 2017.

Il numero di paesi africani che subiscono le attività delle milizie islamiste è cresciuto a 12 e comprende Algeria, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Egitto, Kenya, Libia, Mali, Niger, Nigeria, Somalia e Tunisia. Nel 2010 erano solo cinque (Algeria, Mali, Niger, Nigeria e Somalia).

Anche il numero di gruppi attivi è cresciuto costantemente. Nel 2010 c’erano cinque gruppi islamici militanti riconosciuti operanti nel continente: al Qaeda (in Egitto e Libia), al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM), al Shabaab, Hizbul Islam e Boko Haram. Alla fine del 2017, il numero era più di 20.

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Negli ultimi otto anni c’è stata una svolta nei confronti della militanza islamista in Africa. Nel 2010, è stato in gran parte dominato da AQIM e al-Shabaab. Ora è condiviso con Boko Haram e lo Stato islamico (ISIS).

Nonostante la frammentazione del numero di gruppi, l’attività militante islamica si è concentrata in cinque regioni principali: il Mali, il bacino del lago Ciad, la Somalia, il Maghreb e la penisola del Sinai. L’aumento dell’attività dal 2010 ha portato ad una concentrazione geografica più densa di attacchi nei tre teatri sub-sahariani. Nel frattempo, nel Nord Africa, il centro dell’attività militante si è spostato dal Maghreb al Sinai, riferisce lo studio.

 

La battaglia di Jilli

 La sera del 14 luglio i combattenti di Boko Haram hanno invaso una base militare nigeriana con oltre 700 soldati nello Stato di Yobe, una regione di confine del Niger. “I terroristi di Boko Haram hanno attaccato le truppe dell’81a Divisione nel distretto di Geidam, a Jilli. I molti terroristi hanno lanciato l’assalto intorno alle 19.30 e hanno preso il controllo della base dopo pesanti combattimenti che sono durati fino alle 21:10, ha riferito una fonte militare all’ Agenzia France Presse.

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Il comandante della base e 63 soldati sono riusciti a rifugiarsi in Geidam, a 60 chilometri di distanza ma non vi sono certezze circa la sorte di altri 670 soldati. Nessun rapporto ufficiale è stato rilasciato dalle autorità dopo l’attacco ma, a caldo, una fonte militare ha detto all’AFP in condizione di anonimato che “fino ad allora, abbiamo perso 31 soldati, inclusi 3 ufficiali. ”

Un leader della milizia locale ha attribuito l’attacco alla base militare alla fazione di Abu Musab Al-Barnawi di Boko Haram, che ha come obiettivo le forze nigeriane.

“Abbiamo appreso che gli attaccanti hanno guidato dal Lago Ciad attraverso Gubio (nel vicino stato di Borno) prima di attaccare la base”, ha detto la fonte militare aggiungendo che i combattenti di Boko Haram sono entrati nella base indossando tute militari e guidando veicoli con i colori dell’esercito nigeriano: una tattica già impiegata più volte dai talebani in Afghanistan.

“I soldati li hanno considerati colleghi della guarnigione di Gubio e hanno aperto le porte della base”, ha aggiunto il miliziano.

 

Britannici in Malì

Il rafforzamento della compagine militare internazionale in Sahel ha visto il trasferimento dall’aeroporto nigerino di Niamey alla base di Gao, in Malì, di tre elicotteri Chinook britannici della Royal Air Force provenienti dalla base di Odiham e supportati da circa 90 militari.

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Gli elicotteri forniranno supporto logistico e aeromobile alle truppe alleate poste sotto il comando francese dell’Operazione Barkhane ma anche a stretto contatto con la missione Minusma delle Nazioni Unite.

Il dispiegamento di Chinooks in Mali aumenta il sostegno britannico all’operazione della Francia, che già conta i voli dei cargo strategici effettuati dai C-17 della Royal Air Force.

Il personale militare britannico non sarà coinvolto in operazioni di combattimento. Sempre in Malì in luglio il Canada sta ha schierato per un anno tre elicotteri Chinook CH-147F, cinque elicotteri CH-146 Griffon e 250 militari assegnati alla missione Minusma.

Il contingente canadese sostituisce a Gao due elicotteri NH90 Caiman TTH belgi che hanno lasciato il Mali il 6 luglio e gli 8 elicotteri NH-90 e Tiger tedeschi. Il comando dell’Operazione Barlkhane usa toni ottimistici nel commentare l’evoluzione della situazione sul campo ma fonti militari sentite anonimamente dall’Economist ammettono che la sconfitta contro i jihadisti sarà inevitabile se non vi saranno consistenti incrementi delle forze in campo.

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La tendenza a questo proposito è però contrastante. Gli Stati Uniti schierano oggi circa 6mila uomini in Africa impegnati soprattutto nell’addestramento e nel supporto degli eserciti locali ma la strategia dell’Amministrazione Trump sembra prevedere di incoraggiare gli alleati europei a gestire quel fronte contro i jihadisti e potrebbe presto dimezzare le truppe Usa sul campo (per lo più forze speciali). Un contesto in cui si inserirebbe anche il rinnovato supporto alla leadership italiana in Libia.

Se a Niamey la missione militare italiana resta bloccata dai “veti” del governo “suggeriti” da Parigi, in Libia Romna ha già una presenza militare nel porto di Abi Sittah (Tripoli) e a Misurata a cui dovrebbe aggiungersi presto una missione civile-militare a Ghat, nel Fezzan meridionale, per addestrare guardie di frontiera e presidiare i valichi di confine cin Algeria, Niger e Ciad.

(con fonte Defenceweb e AFP)

Foto: AFP, Africa Centre for Strategic Studies, Reuters, Bundeswehr e Ministero della Difesa Britannico

 

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