I piani di Trump contro gli attacchi elettromagnetici

Un attacco condotto negli Stati Uniti con impulsi elettromagnetici potrebbe provocare un blackout completo, in grado di riportare la prima potenza al mondo a uno scenario da inizio del secolo scorso. Un ordine esecutivo del presidente Donald Trump punta a evitarlo. Ecco come

Nei nuovi conflitti, condotti con armi che sfruttano la sempre maggiore digitalizzazione di ogni ganglio della vita di una nazione, sono entrati a pieno titolo gli impulsi elettromagnetici, potenzialmente in grado – secondo gli esperti del settore – di avere un impatto apocalittico.

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Con un ordine esecutivo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di affrontare in modo più ampio questa tematica, da tempo al centro della ricerca militare, proprio per gli effetti catastrofici che gli ‘electro magnetic pulse’ (o Emp) potrebbero avere su infrastrutture critiche come ad esempio la rete elettrica, le comunicazioni satellitari e informatiche o i trasporti, con effetti a catena su ogni ambito delle attività pubbliche e private. Ci si troverebbe di fronte a un blackout completo, in grado di riportare la prima potenza al mondo a uno scenario da inizio del secolo scorso.

Per farlo, la Casa Bianca intende lavorare col settore privato, con misure che possano spingere l’innovazione nell’ottica di una migliore conoscenza, identificazione, protezione e mitigazione della minaccia.

Gli impulsi elettromagnetici sono generati a seguito di eventi naturali come le tempeste solari o possono essere indotti attraverso l’esplosione di un ordigno nucleare specificamente mirato alla produzione di Emp. Quest’ultimo è genericamente indicato come Bomba-E, dove E sta per ‘elettromagnetica’, ovvero un’arma progettata per mettere fuori uso i componenti elettronici in un vasto raggio di azione.

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Cruciale è anche l’altezza alla quale l’ordigno esplode, diffondendo i propri raggi a cascata. Nell’infografica, pubblicata dal Daily Mail, si osserva come una bomba nucleare fatta detonare a 19 miglia (35 chilometri) sopra la terra colpirebbe il Kansas e gli stati circostanti. Una esplosa ad un’altitudine di 294 miglia (poco più di 461 chilometri) interesserebbe la maggior parte degli Stati Uniti continentali. La mappa sopra mostra le zone di impatto degli Emp (rosse) a seguito di detonazioni a diverse altitudini (i numeri neri).

Di Emp – identificati apertamente per la prima volta come una minaccia nella Strategia di sicurezza nazionale del 2017 – si discute con maggiore enfasi negli Usa almeno da un paio d’anni, ovvero da quando la Corea del Nord, dopo aver effettuato un test con un ordigno da 100 kilotoni che ha detto essere una bomba termonucleare, ha minacciato di condurre attacchi di questo tipo ai danni di Washington. Ma naturalmente il pericolo proveniente da Pyongyang non è il solo a preoccupare gli apparati di sicurezza statunitensi.

Secondo la direttiva, il segretario alla sicurezza nazionale Kirstjen Nielsen (tra l’altro esperta di cyber security) dispone di 90 giorni per creare un elenco di sistemi critici nazionali che, se interrotti, causerebbero danni alla sicurezza pubblica o a quella nazionale, e quindi un anno per identificare le infrastrutture critiche che potrebbero essere influenzate dagli Emp. Tra le realtà coinvolte in questo processo ci saranno i dipartimenti di Sicurezza interna, Difesa, Energia, Commercio e l’ufficio del direttore della National Intelligence.

Particolarmente rilevante, in questo ambito, è il know how maturato dal Pentagono, dotato da tempo (anche se sul tema ci sono, per naturali ragioni di sicurezza, poche informazioni) di scudi Nke, non-kinect effects, che dovrebbero mitigare i danni, depotenziando gli impulsi nelle aree più sensibili.

Fonte: www.cyberaffairs.it

 

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