Venezuela: La diplomazia dei mercenari

Sul recente botta e risposta Washington-Mosca relativo al ritiro o meno dei contractors della società russa Rostec dal Venezuela, media ed analisti si sono prodigati per verificarne l’attendibilità e pronosticarne eventuali sviluppi.

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Al momento, l’unico dato certo è il forte coinvolgimento di contractors e PMSCs (Private Military and Security Companies)  nella crisi venezuelana.

A fine aprile, infatti Erik Prince avrebbe proposto un “regime-change privato” destando forti preoccupazioni in tutto il Mondo, mentre già a gennaio erano circolate voci su uomini della società russa Wagner schierati a protezione di Maduro; per non parlare della ben più consolidata e secolare tradizione “bolivariana” di ricorso ai mercenari. In un contesto tanto delicato, gli stakeholders internazionali – e non – sembrano preferire la cosiddetta “diplomazia dei mercenari” per perseguire i propri contrastanti obiettivi.

 

I contractors di Rostec

Il 2 giugno il Wall Street Journal era stato informato da fonti anonime vicine al Ministero della Difesa russo che la società Rostec aveva considerevolmente ridotto la sua presenza in Venezuela.

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Una decisione, secondo il WSJ, dovuta alla crisi economica ed all’impossibilità di Caracas di onorare i propri debiti con il Cremlino. Poco dopo il presidente Trump aveva tweettato di esser stato informato dalla Russia di un cospicuo ritiro di uomini dal Paese.

La smentita di Mosca, però non si è fatta attendere: il ministro degli esteri Lavrov ha dichiarato ai media di non aver fornito alcuna informazione a Washington. Anzi, non solo non vi sarebbe stato un abbandono dell’alleato sudamericano, ma è stato precisato come la presenza dei contractors della società moscovita che si occupa di sviluppo, produzione ed esportazione di prodotti tecnologicamente avanzati per uso civile e militare non sia legata all’andamento della crisi.

Putin ha infatti chiarito che, trattandosi di specialisti che si occupano di equipaggiamenti ed armamenti forniti da tempo, il loro numero è variabile a seconda delle necessità. Inoltre, il numero di 2mila operatori di cui ha parlato la testata americana sarebbe stato sovrastimato dozzine di volte.

 

Il piano di Prince

Erik Prince avrebbe elaborato un piano per rovesciare il presidente Maduro con un contingente privato. Una forza di 5.000 contractors in grado di fornire quell’“elemento dinamico” che consentirebbe ai venezuelani di uscire dallo stallo che si protrae dal 23 gennaio; da quando Guaidó si è autoproclamato presidente ad interim.

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Negli ultimi mesi Prince avrebbe cercato il supporto politico ed economico d’influenti sostenitori di Trump e facoltosi esponenti della diaspora venezuelana.

Meeting che avrebbero avuto luogo sia negli Stati Uniti che in Europa, perlomeno fino a metà aprile. Il budget richiesto, ottenibile attraverso donazioni o assets venezuelani congelati in giro per il Mondo, ammonterebbe ad almeno 40 milioni di dollari. L’operazione avrebbe previsto un’attività d’intelligence per preparare il campo a contractors che, provenienti da Colombia o altri Paesi sudamericani. Sia la Casa Bianca che gli staff di Guaidó e Prince hanno negato categoricamente la notizia; quello di Maduro, addirittura non ha rilasciato alcun commento.

 

Il Gruppo Wagner

I contractors russi della ChVK Wagner sarebbero invece già presenti in Venezuela dall’anno scorso per rinforzare il dispositivo di protezione del presidente Nicolás Maduro. Yevgeny Shabayev, leader di una sezione locale di Cosacchi con legami con la PMC di Yevgeny Prigozin – alias “lo chef di Putin” – ha parlato di 400 operatori, tra cui anche due o tre donne. Un primo gruppo sarebbe giunto già all’indomani delle contestate elezioni del 20 maggio 2018, attraverso dei charter partiti da Mosca, via Senegal e Paraguay, fino a l’Havana; da lì poi in Venezuela con voli commerciali. Altri, successivamente con aerei governativi “direttamente da Paesi terzi in cui stavano operando”Gabon, Siria e Sudan..

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Gli ultimi di cui si ha notizia, invece sarebbero atterrati all’aeroporto internazionale Simón Bolívar di Maiquetía il 23 marzo, con un aereo Ilyushin Il-62 passeggeri ed un cargo Antonov An-124 Condor del Ministero della Difesa russo.

Provenienti dalla base aerea di Chkalovsky con sosta in Siria, i due aerei avrebbero trasportato 35 tonnellate di carico e 99 specialisti tra militari e civili. Personale che, a detta delle autorità locali, non verrà impiegato in eventuali operazioni militari, bensì a protezione di obiettivi civili ed infrastrutture critiche: sicurezza informatica di centrali elettriche e complessi petroliferi per evitare ulteriori blackouts, danni all’economia locale e proteste.

Il 28 marzo Germán Dam, giornalista venezuelano ha dato notizia del dispiegamento di 28 russi presso Ciudad Guayana, sede del principale produttore di energia elettrica del Paese – CVG Electrificación del Caroní (EDELCA) – e delle importanti dighe di Tocoma e Guri. Secondo Sergey Sukhankin, analista di The Jamestown Foundation i contractors russi potrebbero esser impiegati secondo tre modalità:

  • la sicurezza di Maduro: protezione fisica del presidente e famiglia in collaborazione con forze armate ed altri apparati di sicurezza nazionali per scongiurare attacchi, arresti o rapimenti da parte di oppositori infiltrati.
  • Forza ibrida: partecipazione diretta ad eventuali ostilità al fianco o alla guida di militari e polizia
  • Partecipazione a 360°: mantenimento del controllo del regime su giacimenti di petrolio, infrastrutture critiche e principali città. Tra cui anche assicurare l’operatività del sistema antimissile venezuelano.

 

Libertadores e mercenari

Il Venezuela è talmente legato ai mercenari che perfino i suoi personaggi storici più importanti, Francisco de Miranda e Simon Bolívar, vi hanno fatto ricorso durante tutto il processo d’indipendenza dalla Spagna. Nel 1806 de Miranda, dopo aver combattuto gli inglesi sotto George Washington e con i francesi contro Russia e Prussia, cercò di sbarcare sulla costa venezuelana con un gruppo di mercenari newyorkesi.

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Dopo le guerre napoleoniche e la guerra contro gli Stati Uniti del 1812 migliaia di veterani britannici si sono ritrovati allo sbando; il Governo ha così favorito il loro reclutamento da parte di ufficiali stranieri sul proprio territorio.

Nel 1817 Luis López Méndez venne incaricato da Bolívar di reclutare sei colonnelli dell’Esercito britannico affinché costituissero ed addestrassero delle unità al combattimento e le dispiegassero oltreoceano.

I primi tentativi, tra morti e disertori, furono un disastro. Successivamente, tra il 1817 e il 1822 si unirono all’impresa oltre 5.500 tra inglesi, irlandesi ed anche qualche tedesco nella cosiddetta Legione Britannica. Anche se la maggioranza era spinta dal denaro, molti imbracciarono le armi per convinzione.

Si formarono così leggendari battaglioni quali il “Rifles”, “Albión”, “Carabobo” e “Los Húsares” che giocarono un ruolo determinante nella liberazione di Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia dal dominio spagnolo.

E proprio gli Ussari vennero elevati a guardia d’onore di Bolívar, nonché punta di diamante nelle battaglie del Pantano di Vargas, di Boyacá e Carabobo.  In seguito a tali scontri Bolívar disse di loro: “Questi soldati liberatori sono gli uomini che meritano questi allori” e li descrisse come “i salvatori della […] nazione”.

 

Un continente di contractors

Nonostante i Paesi dell’America latina si siano opposti fermamente all’invasione dell’Iraq, migliaia di loro cittadini vi hanno partecipato come contractors di Blackwater – tramite la controllata Greystone Limited, Triple Canopy ed altre società americane.

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Cileni, colombiani, equadoregni, peruviani, salvadoregni e panamensi si sono messi al servizio di grosse realtà statunitensi che nei latinos hanno trovato un’imprescindibile risorsa: “in quale altra regione del Mondo è possibile trovare persone ragionevolmente occidentalizzate, con esperienza militare, in alcuni casi anche di combattimento, che lavori per poco, che parli la stessa lingua di molti dei nostri militari” ha dichiarato Adam Isacson del Center for International Policy.

Basti pensare che almeno un quarto dell’Esercito americano è costituito da personale con origini latine e che proprio in America latina si svolge almeno il 40% dei programmi di addestramento militare straniero – FMT – dello U.S. Army.

Dal punto di vista economico i mille dollari al mese rappresentano uno stipendio ragguardevole per i contractors sudamericani, pari alla paga giornaliera di un ex operatore delle forze speciali occidentali in Iraq. Così, per il loro reclutamento, è bastato in molti casi pubblicare annunci sui giornali come El Mercurio cileno per ottenere candidati economici in massa.

Per un eventuale intervento in Venezuela, poi personale di nazionalità sudamericana e/o di lingua spagnola otterrebbe di certo una maggior legittimità rispetto a gringos od operatori di altra provenienza.

 

Qualche considerazione

Il piano di Erik Prince rappresenterebbe, a detta di molti, un pericolo se non addirittura l’anticamera di una vera e propria guerra civile: la strage di Piazza Nisour in Iraq ed altri crimini sono ancora ben impressi nella mente dell’opinione pubblica mondiale!

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Secondo altri, invece i contractors risulterebbero decisamente preziosi in caso di collasso del regime, garantendo un livello minimo ed immediato di sicurezza.

Oltre all’ordine pubblico, c’è da pensare anche all’enorme arsenale che il Venezuela ha accumulato negli ultimi 20 anni, giustificandolo con lo spauracchio di un’invasione Yankee: miliardi dalla Russia in armamento pesante, Kalashnikov e munizioni, ma soprattutto ben 5.000 lanciamissili spalleggiabili terra-aria Igla-S.

Militari venezuelani corrotti, potrebbero infatti venderli a guerriglieri e criminali dell’Ejército de Liberación Nacional (ELN), Família do Norte e Primeiro Comando da Capital (PCC) con cui mantengono già strette relazioni.

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O peggio, farli finire nelle mani del terrorismo internazionale: secondo il Dipartimento di Stato americano dal 1975 al 2017 quaranta missili a corto raggio sono stati lanciati contro aerei civili, abbattendone 28.

I contractors potrebbero quindi scongiurare situazioni apocalittiche quali il saccheggio degli arsenali libici o l’anarchia più assoluta del post-dissoluzione delle forze di sicurezza irachene.

Per quanto riguarda i russi della Wagner, il loro compito principale sarebbe quello di rafforzare il dispositivo di sicurezza del Presidente. Riorganizzato su differenti anelli di sicurezza concentrici, esso vedrebbe all’esterno personale venezuelano, cubano ed iraniano per poi trovare i russi a protezione diretta del Caudillo.

Maduro sarebbe infatti fermamente convinto dell’esistenza di un complotto della Casa Bianca per eliminarlo fisicamente ed i due droni esplosivi impiegati durante un suo comizio il 4 agosto 2018, ne sarebbero la prova. Tuttavia, l’attentato sembrerebbe più l’opera di un gruppo di disertori dell’Esercito, senza alcun aiuto esterno od addirittura una messinscena governativa per accusare l’estrema destra, il Governo colombiano ed anche Washington, nonché giustificare ulteriori giri di vite sugli oppositori.

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Guaidó, invece pur essendosi sempre dichiarato a favore di una soluzione pacifica alla crisi, avrebbe optato per un’inversione di rotta causata dalla frustrazione per il mancato appoggio dei militari. A metà maggio avrebbe cercato di organizzare un incontro con gli americani di SOUTHCOM per discutere i dettagli di una cacciata di Maduro e dei suoi alleati stranieri dal Paese.

In un’intervista a “La Stampa”, infatti aveva dichiarato che “se gli americani proponessero un intervento militare, probabilmente accetterei.” Opzione che, secondo Caracas, sarebbe destinata a fallire vista l’opposizione di oltre l’86% dei venezuelani ad un intervento militare straniero, così come quella dei tradizionali supporters di Maduro – Cuba, Cina, Iran e Russia –   e quelli di Guaidó – Cile, Peru, Colombia, Spagna e Canada.

Ed è qui che, tra posizioni ufficiali ed ufficiose, i contractors possono dare il “meglio di sé.” Per via del neo-isolazionismo trumpiano da campagna elettorale e le due guerre ultradecennali in Iraq ed Afghanistan, gli Stati Uniti si sono dichiarati apparentemente contrari ad un intervento militare.

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Complice anche il passato fortemente interventista ed imperialista nel continente, una loro azione militare risulterebbe difficilmente digeribile all’opinione pubblica interna e globale.  Tuttavia, per svariati motivi – non ultimo le grosse riserve petrolifere – essi non vogliono né possono abbandonare la presa sul Paese.

E come sostiene l’analista Aleksey Leonkov, se non fossero in grado di raggiungere i propri obiettivi diversamente, potrebbero ricorrere ad un intervento per procura come in Bosnia e nella Krajina con i contractors di MPRI.

Anche per la Russia gli interessi sono molto elevati. Il Venezuela deve ancora alla società Rosneft circa 2,3 miliardi di dollari ed altri 3,1 miliardi al Ministero delle Finanze russo per acquisti di armi, veicoli e grano. Per non parlare dei lucrosi contratti di manutenzione dei cacciabombardieri, carri armati ed altri sistemi d’arma  e la posizione privilegiata che Mosca ha recuperato nel continente con la rivoluzione bolivariana del 1999.

L’utilizzo dei contractors permetterebbe alle due superpotenze di usare i muscoli ed eventualmente sacrificare uomini senza i costi politici di una partecipazione diretta; attraverso quella che Daniel Iriarte di El Confidential chiama “la diplomazia dei mercenari.” Una diplomazia che, secondo l’opinione di molti esperti, anche alla luce della batosta inflitta dall’USAF alla Wagner in Siria, difficilmente vedrà scontri diretti.

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L’idea di Prince di un “regime-change” con dei contractors, non è una novità. L’aveva già estratta dal cilindro a fine 2017, quando nel mirino vi era il Qatar. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero infatti avuto intenzione d’invadere il Paese e sostituire l’attuale emiro con uno più accondiscendente a Riad ed alle altre monarchie del Golfo.

Il tutto attraverso un esercito privato di 15.000 uomini, a maggioranza colombiana e sudamericana, addestrati ed ammassati presso la base emiratina di Liwa da ex militari occidentali.

Per quanto riprovevole possa sembrare il progetto di Prince per il Venezuela e lo si definisca per l’ennesima volta un moderno signore della guerra, al momento è Maduro l’unico ad aver assoldato dei contractors.

La notoria inaffidabilità delle proprie forze armate l’ha infatti spinto a finanziare gruppi paramilitari come i colectivos prima e a rivolgersi alla Wagner poi. Clima di preoccupazione generalizzata a parte, chi sta vivendo il tutto con un certo entusiasmo sono veterani da tutto il mondo che si stanno strofinando le mani per tornare in azione, indipendentemente da un guadagno che potrebbe esser più o meno elevato. Un tale Carlos Lopez scrive sui social: “Dove devo firmare? Posso portare le mie armi.”

Foto: Ministero della Difesa Russo, US DoD, AFP, AP, Academi e Reuters

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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