La caccia al generale Suleimani, da 18 mesi nel mirino degli Usa

AGI – Non è stata una mossa dell’ultimo minuto: il generale iraniano delle Forze Quds dei Pasdaran era nel mirino degli Stati Uniti da 18 mesi. E, in particolare da maggio con l’escalation nel Golfo, l’intelligence americana lo aveva inserito nella lista dei possibili obiettivi da colpire come ritorsione. E’ quanto risulta da un lungo reportage del New York Times sui “sette giorni più pericolosi” dell’Amministrazione di Donald Trump.

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Il 31 dicembre scorso, mentre migliaia di manifestanti iracheni prendevano d’ assedio l’ambasciata americana a Baghdad, portando alle stelle l’irritazione del capo della Casa Bianca, ha cominciato a circolare una “nota top-secret” firmata da Robert C. O’ Brien, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, che elencava i potenziali obiettivi iraniani da colpire. Nella lista vi erano una struttura energetica, un comando e una nave usata dalle Guardie Rivoluzionarie per dirigere piccole imbarcazioni che attaccavano le petroliere nelle acque intorno all’ Iran.

Il memorandum elencava però anche un’opzione più provocatoria: colpire determinati funzionari iraniani con raid chirurgici. Tra gli obiettivi citati, secondo i funzionari che hanno potuto vedere la nota, c’era Abdul Reza Shahlai, un comandante iraniano nello Yemen che aveva contribuito a finanziare gruppi armati in tutta la regione.

E un altro nome nell’elenco: il generale Qassem Suleimani. Come capo della forza d’élite al-Quds, il generale Soleimani era effettivamente il secondo uomo più potente in Iran e aveva una mano nella gestione delle guerre per procura in Iraq, Siria, Libano e Yemen, inclusa una campagna di bombe lungo la strada e altri attacchi che uccisero secondo le stime Usa 600 soldati americani al culmine della guerra in Iraq. Negli ultimi 18 mesi, hanno raccontato i funzionari al New York Times, ci sono state discussioni sull’opportunità di prendere di mira il generale Soleimani.

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Pensando che sarebbe stato troppo difficile colpirlo in Iran, i funzionari avevano pensato di seguirlo durante una delle sue frequenti visite in Siria o Iraq e si sono concentrati sull’ infiltrazione di agenti in sette diverse entità  per riferire sui suoi movimenti: l’esercito siriano, la forza al-Quds a Damasco, Hezbollah a Damasco, gli aeroporti di Damasco e Baghdad e le forze di Kataib Hezbollah e di Mobilitazione popolare in Iraq.

Quando a maggio le tensioni con l’Iran sono aumentate con attacchi a quattro petroliere, John Bolton, allora consigliere per la sicurezza nazionale del presidente, ha chiesto alle agenzie militarie di intelligence di produrre nuove opzioni per scoraggiare l’aggressione iraniana. Tra quelle presentate a Bolton c’era l’uccisione di Soleimani e di altri leader delle Guardie rivoluzionarie. A quel punto, il lavoro per tenere traccia dei viaggi del generale divenne più intenso.

A settembre, il Central Command e il Comando congiunto delle operazioni speciali sono stati inseriti nel processo per pianificare una possibile operazione. Sono state discusse varie alternative, alcune in Siria, altre in Iraq. La Siria sembrava più complicata, sia perchè i militari americani hanno meno libertà di movimento nel Paese sia perchè  Soleimani trascorreva la maggior parte del suo tempo con gli ufficiali di Hezbollah che gli Usa non volevano mettere nel mirino per non rischiare rappresaglie contro Israele.

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Gli agenti reclutati in Siria e Iraq riferivano di volta in volta sui movimenti del generale iraniano. La sorveglianza ha rivelato che ha volato con un certo numero di compagnie aeree e talvolta i biglietti per un viaggio erano stati acquistati su più di una per confondere eventuali spie. Era sua abitudine salire sull’ aereo all’ultimo momento, quindi si sedeva in prima fila in business class per poter scendere prima e partire rapidamente.

Il generale Suleimani è partito per il suo ultimo viaggio il giorno di Capodanno, volando a Damasco e poi in macchina in Libano per incontrare Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, prima di tornare a Damasco quella sera. Lo stesso giorno, nella sede della Cia a Langley, in Virginia, la direttrice Gina Haspel stava lavorando per la mossa decisiva.

Le è stata mostrata l’informazione che indicava che Suleimani si stava preparando a trasferirsi dalla Siria all’ Iraq. I funzionari le hanno detto che c’era una nota di intelligence aggiuntiva sul fatto che stava lavorando a un attacco su larga scala destinato a cacciare le forze americane dal Medio Oriente.

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E quindi fu presa la decisione. L’aereo era in ritardo e la squadra di uccisione era preoccupata. Il tabellone dei voli internazionali mostrava che il volo 6Q501 di Cham Wings Airlines, in programma di decollare da Damasco alle 19:30 per Baghdad, era partito, ma in realtà, secondo un informatore dell’aeroporto, era ancora a terra e il passeggero bersaglio non si era ancora fatto vedere.

Le ore passavano e alcuni dei funzionari d’intelligence coinvolti nell’operazione si chiedevano se dovesse essere annullato tutto. Poi, poco prima che la porta dell’aereo si chiudesse, un convoglio di macchine si fermò sulla pista portando il generale Soleimani a bordo insieme alla scorta.

Il volo 6Q501 è decollato, con tre ore di ritardo, diretto verso la capitale irachena. L’ aereo è atterrato all’aeroporto internazionale di Baghdad poco dopo mezzanotte, alle 00:36, e i primi a sbarcare sono stati il generale Suleimani e il suo entourage.

In fondo alla passerella c’era Abu Mahdi al-Muhandis, ufficiale iracheno responsabile delle milizie scite vicine all’Iran. Due auto che trasportavano il gruppo si sono dirette nella notte, ombreggiate dai droni americani MQ-9 Reaper. Alle 00:47, il primo di numerosi missili ha colpito i veicoli, inghiottendoli in fiamme e lasciando all’ interno 10 corpi carbonizzati.

 

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