Coronavirus: Usa e alleati contro i silenzi, i misteri e le responsabilità di Pechino

L’intelligence statunitense indaga sull’ipotesi che il Covid-19 non sia stato diffuso per cause naturali dal mercato degli animali di Wuhan ma sua “sfuggito” dal laboratorio di ricerche biologiche militari della città cinese, dove si effettuavano ricerche sui coronavirus dei pipistrelli.

A rivelarlo ieri alla Cnn sono state diverse fonti d’intelligence emerse dopo che il Capo di stato maggiore congiunto, il generale Mark Milley, ha ammesso che i servizi segreti americani stanno dando “un’occhiata seria” a questa eventualità, riaprendo lo scambio di accuse tra Washington e Pechino che aveva dominato il dibattito sul Coronavirus all’0inizuo della pandemia.

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Da quanto emerso Washington non ritiene che il virus sia legato a ricerche sulle armi biologiche ma, benchè la gran parte della comunità scientifica propenda per un virus proveniente dagli animali e non da provetta, negli USA non si esclude che ci possa essere stato qualche incidente che lo abbia fatto uscire dal laboratorio, forse per un errore o per l’inadeguata gestione dei materiali che ha infettato qualche dipendente.

Le fonti ritengono che sarebbe prematuro trarre qualsiasi conclusione, ma le indagini sono incorso.

“Stiamo conducendo un’inchiesta completa su come questo virus si è propagato”, ha spiegato il segretario di Stato Usa Mike Pompeo a Fox News. “Quello che sappiamo è che questo virus è nato a Wuhan e che l’istituto di Virologia di Wuhan è solo a qualche chilometro di distanza dal mercato all’aperto”, ha aggiunto Pompeo, che recentemente ha accusato il Partito comunista cinese di aver nascosto e manipolato molti dati.

A rafforzare i timori di un incidente sono anche due messaggi inviati nel 2018 da diplomatici dell’ambasciata americana a Pechino che avevano visitato diverse volte l’istituto di virologia di Wuhan, realizzato nel 1956 ma ammodernato con nuovi laboratori nel 2015, in cui evidenziavano preoccupazioni per la sicurezza della struttura e le ricerche che vi si effettuavano.

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Tanto da mettere in guardia sulle carenze gestionali e di sicurezza del laboratorio suggerendo più attenzione e aiuti non solo per l’importanza degli studi sui coronavirus dei pipistrelli ma anche per la loro pericolosità.

Le fonti del quotidiano americano sostengono che la versione di Pechino che il virus sia emerso dal “wet market” di Wuhan è poco credibile anche perchè ricerche di esperti cinesi pubblicate su Lancet hanno evidenziato che il primo paziente noto di coronavirus, identificato il primo dicembre, non aveva alcun legame con il mercato così come molti altri tra i primi contagiati. Il mercato, inoltre, non vendeva pipistrelli. Se può apparire scontato che anche il Covid-19 diventi terreno di scontro e polemiche tra le superpotenze rivali USA e Cina (Pechino accusò gli americani di aver portato il virus a Wuhan nell’ottobre scorso con la delegazione militare che partecipò ai giochi sportivi militari mondiali nella città cinese), è però innegabile che, al di là dell’origine del virus, il regime comunista cinese abbia gravissime responsabilità di cui la comunità internazionale dovrebbe chiedere conto.

Pechino ha imposto un blocco totale sulle informazioni relative al virus, non ha ancora fornito campioni del nuovo coronavirus raccolti dai primi casi, ha ritardato l’allarme sull’epidemia permettendone la diffusione in tutto il mondo.

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Errori di valutazione o preciso calcolo per far si che la Cina non fosse l’unico Stato a subire gli effetti sociali ed economici della Pandemia?

Difficile non riflettere sul fatto che il laboratorio di Shangai che l’11 gennaio pubblicò il genoma del Covid-19 è stato chiuso rapidamente dalle autorità per “rettifica”, mentre diversi medici e giornalisti che riportarono notizie sull’epidemia o sul numero reale di morti e contagiati sono scomparsi.

Molti dubbi sulla sincerità di Pechino erano stati messi in luce da Analisi Difesa nell’ampio articolo di Mirko Molteni del 19 marzo scorso. Tra le diverse notizie riportate. l’articolo evidenziava che “il 18 settembre 2019, l’aeroporto Tianhe di Wuhan è stato teatro di un’esercitazione di contenimento biomedico, riguardante, come ipotesi di lavoro, “l’arrivo di un passeggero affetto da coronavirus”.

La notizia di questa esercitazione è passata in sordina, ma fra le poche testimonianze reperibili in rete che la confermerebbero oltre a svariate immagini, c’è un resoconto di Hubei TV che narra: “Nel pomeriggio del 18 settembre le dogane del Wuhan Tianhe Airport hanno ricevuto un rapporto da una linea aerea secondo cui ‘un passeggero non si sentiva bene, avendo difficoltà a respirare, e i suoi parametri vitali erano instabili.

Immediatamente, le dogane dell’aeroporto hanno iniziato un piano di contenimento e hanno iniziato a trasferire il passeggero in ospedale. Due ore più tardi, il Centro Medico di Wuhan ha reso noto che al passeggero è stata clinicamente diagnosticata una infezione da Coronavirus”.

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Molteni sottolineò inoltre che “le direttive del regime volte inizialmente a minimizzare, nonchè il fatto che a Wuhan fosse presente il famoso laboratorio virologico hanno indotto a credere il virus si fosse diffuso a partire proprio dall’Istituto per un incidente.

E’ stato assodato ad esempio, poichè confermato il 16 febbraio dalla rivista del Partito Comunista Cinese “Qiushi”, che il presidente cinese Xi Jinping conosceva la gravità della situazione fin dal 7 gennaio 2020, quando nel corso di una riunione a porte chiuse del Politburo del partito ordinò di fermare a ogni costo l’infezione. Cioè 13 giorni prima che, il 20 gennaio, egli parlasse in pubblico del virus. L’indomani, 21 gennaio, le autorità cinesi ammettevano per la prima volta che era confermata la trasmissione da umano a umano del virus.

Va poi rilevato che oggi, a esacerbare i rapporti tra Washington e Pechino, contribuiscono inoltre i sospetti, contenuti in un rapporto del Dipartimento di Stato Usa non ancora pubblicato, che la Cina conduca segretamente test nucleari sotterranei nel poligono di Lop Nor con potere esplosivo molto basso.

La Cina ha sempre dato rassicurazioni sul pieno rispetto del trattato internazionale del 1996 che vieta qualsiasi test nucleare che non è mai stato ratificato né da Washington né da Pechino.

Un altro fattore che alimenta i sospetti americani è l’interruzione negli ultimi anni della trasmissione di dati dalle stazioni che monitorano il territorio cinese e che sono designate a rilevare emissioni radioattive e scosse sismiche, incluse quelle prodotte da esplosioni atomiche.

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Dubbi sulla credibilità cinese circa il Coronavirus sono stati espressi senza mezzi termini anche in Francia dove il presidente Emmanuel Macron si è detto certo che sono ancora molti i tasselli mancanti: sulla gestione del virus in Cina “sono successe cose che non sappiamo”.

In un’intervista al Financial Times, Macron ha aggiunto che sarebbe “ingenuo” affermare che la gestione della crisi da parte della Cina possa essere migliore di quella fatta da altri Paesi.

Pure Londra si punta il dito contro i silenzi e i misteri cinesi. Il ministro degli Esteri Dominic Raab, che sta sostituendo il premier Boris Johnson ancora convalescente, ha assicurato che quando la bufera sarà passata la Cina dovrà rispondere a “domande difficili” su “come tutto questo sia accaduto” e “come non si sia potuto fermarlo prima”.

La Cina ha risposto alle accuse e ai sospetti con un appello all’unità motivato dal fatto che la pandemia da Covid-19 non è “ancora sotto controllo” come ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, hao Lijian.

“È inutile discutere di pro e contro sui diversi sistemi e modelli. La massima priorità per tutti i Paesi è quella di unirsi contro la pandemia”, ha detto Zhao nel corso della conferenza stampa. “È indispensabile che tutti i Paesi si uniscano per combattere la pandemia e per vincere la guerra”, ha aggiunto il portavoce.

 

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