Covid-19 e crisi economica: dalla Ue l’unanimità nel non decidere

Al di là dei numeri, della retorica, delle partigianerie europee e nazionali la realtà emersa dal recente vertice dei capi di Stato e di governo della Ue rivela da un lato la spaccatura fra gruppi di stati sulle scelte più efficaci per affrontare una crisi senza precedenti, dall’altro il ricorso al solito rigido approccio burocratico utile a mascherare le divergenze ma del tutto inidoneo a portare le soluzioni concrete, immediate, straordinarie richieste dalla situazione economico sociale.

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Si è scelto di rinviare le decisioni di grande impatto operativo, quale la creazione del Recovery Fund e la sua urgente attivazione, per confermare gli interventi già stabiliti nella riunione dell’Eurogruppo del 9 aprile scorso, il pacchetto BEI, Banca degli investimenti europea, il piano SURE, di sostegno per le casse d’integrazione, e il famigerato ricorso al MES, presentato ambiguamente come senza condizioni, per la richiesta di prestiti relativi alle spese sanitarie.

L’opzione MES senza condizioni per le spese sanitarie tuttavia non riflette la realtà burocratica e procedurale. Per essere certi che le condizionalità non siano applicabili dopo le emergenze, fra mesi o qualche anno, si sarebbe dovuto procedere di comune accordo ad un’immediata modifica del trattato intergovernativo firmato nel 2012. Non è stata formalmente richiesta né tantomeno ipotizzata una tale eventualità.

Accanto quindi all’azione di sostegno, importante ma non sufficiente, della BCE, Banca centrale europea, ignorati gli Eurobond, caldeggiati in un primo momento da Italia, Francia, Spagna, Portogallo a cui si sono aggiunti altri 5 Paesi nella lettera firmata congiuntamente ed inviata al Presidente UE il 25 Marzo 2020, sono rimasti gli interventi già previsti attivabili peraltro da giugno.

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Il Recovery Fund, accettato per ora come principio di intervento, grazie soprattutto all’iniziativa e alla capacità negoziale di Francia e Spagna cui si è associata l’Italia dopo aver capito di aver perso senza appello la partita per gli Eurobond, sarà discusso solo a maggio quando la Commissione Ue avrà presentato una bozza di piano di utilizzo da sottoporre all’approvazione dei Capi di Stato e di governo.

Attivazione probabile non prima del 2021, se si troverà un accordo sulle modalità di spesa, sulla consistenza del fondo e sulla ripartizione delle risorse finanziarie fra dono e prestiti, così come voluto dalla Cancelliera Merkel e dai Paesi del fronte nord. Un rinvio che stride con la nuova realtà economico sociale creata dalla pandemia, non solo in Italia, tanto da essere malvisto persino dalla BCE la quale ha tenuto a precisare che le misure messe in campo ad oggi non sono sufficienti. Al massimo, e se andrà bene il negoziato, si potrà sperare in qualche anticipo quest’anno sui versamenti da effettuare nel 2021 e su una quota a fondo perduto del fondo stimato fra i 1500 e i 2000 miliardi di euro.

Tralasciando tecnicismi, rispetto dei trattati, procedure e altro, quel che sconcerta è che perfino di fronte a un cataclisma mondiale l’Eurozona non riesca a trovare concordia, seppur di facciata, né riesca ad accordarsi su misure eccezionali e sulla tempistica di attuazione nell’interesse, non solo dei cittadini europei, ma delle istituzioni stesse. Basterebbero un paio di modifiche regolamentari per rendere urgentemente esecutive decisioni dettate dagli eventi, scongiurando una crisi dagli esiti imprevedibili dell’impalcatura europea dimostratasi non adatta, nella forma attuale, a fronteggiare emergenze di tale portata.

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E’ mancata la visione dei grandi leader del passato capaci di guardare oltre l’interesse a breve termine, oltre barriere e steccati, che pur sussistono, fra Stati.

La Cancelliera Merkel vincitrice e dominatrice in Europa da tempo con i suoi paesi satellite, quali i Paesi Bassi, non potrà rallegrarsi in un futuro a medio termine anche se probabilmente, e se lo vorrà, diventerà la prossima Presidente del Consiglio Europeo completando così il dominio tedesco sull’Europa in questo 2020 cruciale. Presidente della Commissione europea tedesca, direttore generale dell’organizzazione intergovernativa Meccanismo europeo di stabilità (MES) tedesco, futura Presidente del Consiglio Europeo verosimilmente l’attuale Cancelliera Merkel.

Fra le righe sarebbe lecito porsi la questione: se la prossima presidenza del Consiglio Europeo, luglio-dicembre 2020, spetta alla Germania, per il principio della rotazione semestrale fra Stati, come mai ci ritroviamo con una Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, tedesca, non di alto profilo, e per giunta emanazione neanche troppo mascherata della potente Cancelliera? Non è bastata la precedente presidenza della Commissione affidata al lussemburghese Juncker anch’egli sponsorizzato dalla Cancelliera?  Così come sono messe le cose saremo quasi portati a rimpiangere la gestione Juncker.

Va comunque annotato che negli ultimi giorni corazzate dell’informazione quali il Financial Times e Der Spiegel, mai teneri con l’Italia, hanno criticato senza appello le misure sinora adottate dalla Ue, la mancanza di coraggio, il rinvio delle decisioni dalle conseguenze devastanti sul tessuto economico sociale.

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Hanno in pratica sollecitato gli unici interventi prioritari di impatto adeguati all’emergenza e alla situazione di Stati quali l’Italia in prima battuta ma anche di Francia, Spagna, Portogallo, Grecia: iniettare urgentemente liquidità a fondo perduto, e comunque senza pesare ulteriormente sul debito pubblico, stampare moneta, ricorrere in maniera massiccia agli Eurobond pena il crollo dell’impalcatura dell’Eurozona così come strutturata attualmente.

Non sono certo testate accusabili di sovranismo eppure le ricette proposte sconfessano gli europeisti accecati da approcci sostanzialmente burocratici e da ideologie improponibili nel contesto creato dalla pandemia, auspicando oggettivamente le stesse misure preconizzate da tempi non sospetti, dai partiti del nostro centro destra, Lega e Fratelli d’Italia in prima battuta, e anche dal nostro premier Conte, in versione aggressiva, nella prima fase negoziale sugli interventi anti crisi a livello europeo. Del resto la ricetta indicata da FT e Der Spiegel è la stessa messa in campo senza indugi da Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, dalla stessa Germania per quanto concerne le iniezioni di liquidità a fondo perduto.

Il forte richiamo alla realtà dei fatti ha spinto ultimamente la Cancelliera Merkel a dichiarare, per preparare i suoi concittadini, che la Germania dovrà dare e fare di più in Europa, lanciando la linea per i suoi satelliti pur non sconfessando le note rigidità, il rispetto dei trattati. Rinviare e prendere ancora tempo preannuncia qualche graziosa concessione tuttavia non è da escludere che possa rivelarsi tardiva, a rischio di far saltare il banco.

 

La posizione italiana

In una situazione mai vissuta in precedenza, dai tempi della seconda guerra mondiale, con il macigno del debito pubblico soffocante, diversi ministri imposti, non scelti per competenze, a salvaguardare gli “equilibri” ma assolutamente impreparati a gestire l’ordinario figuriamoci lo straordinario, con una burocrazia che prospera da decenni fuori dalle realtà decisionali e operative richieste dai tempi, sarebbe ingeneroso addossare troppe colpe oggi su un qualsiasi Presidente del consiglio in carica. Il declino delle istituzioni, il costante declassamento del nostro Paese vengono da lontano risalgono, per situarci più vicini nei tempi, almeno dal 2012.

Perdemmo, allora, una fetta consistente di sovranità e credibilità, abdicando al nostro ruolo accettando da subordinati tutti i diktat imposti da Germania e Francia.

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Il tutto per evitare che i nostri destini fossero affidati al controllo di una troika stile Grecia, le cui premesse, si scoprì poi, artificiosamente create e non rispondenti alla consistenza di un Paese importante come l’Italia. Si fece credere allora, e ancora oggi vi sono seguaci di quella infausta teoria, che l’Italia fu salvata, non svenduta, grazie alla pesante austerità il cui risultato finale fu di renderci meno competitivi e meno fastidiosi rispetto ai nostri principali alleati competitori, beneficiari, questi ultimi, delle nostre difficoltà.

Corsi e ricorsi storici, le lezioni apprese evidentemente continuano a non essere valutate da anni se ancora oggi invece di aver messo a punto strategie, visioni di medio lungo periodo, ricambi qualitativi a tutti i livelli delle amministrazioni ci si ritrova a impostare attività governative solo con provvedimenti ad hoc, emergenziali mai di lungo respiro. Quando si presenta una vera emergenza, pur imprevedibile, vengono clamorosamente a mancare le risorse necessarie la cui disponibilità avrebbe dovuto essere garantita da piani preventivamente studiati e predisposti.

Il nocciolo della questione è quindi lo scollamento fra le decisioni prese dal governo e la loro applicazione esecutiva da parte di amministrazioni incapaci di essere operative se non trincerandosi dietro una burocrazia deteriore, antiquata non orientata al conseguimento dell’obiettivo, alla flessibilità richiesta e consentita nel rispetto delle procedure. Qualsiasi decisore si troverebbe in difficoltà se non avesse ben presente la realtà dei fatti e non intendesse perseguire quanto ritenuto utile al Paese con umiltà, competenza, determinazione e amore patrio.

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Con le premesse sommariamente indicate l’Italia si è presenta già indebolita e declinante nel consesso internazionale aggiungendo, e qui torniamo all’attualità più stringente, tentativi di cambiamenti di rotta, linee guida giustamente più aggressive ma che purtroppo, dati i precedenti, gli altri Paesi sanno non potranno essere mantenute.

Abituati da tempo alla retorica e al vittimismo, utilizzabili per fini interni italiani, e al cane che abbaia per qualche giorno per poi accucciarsi docilmente allineandosi alle decisioni altrui. Delegare per anni alle istituzioni internazionali, Ue e Onu in primo luogo, anche le decisioni da prendere come importante Stato sovrano, non ha giovato se non per barattare qualche decimo di punto di flessibilità concessa sul nostro deficit nelle manovre finanziarie e poter dichiarare di svolgere un ruolo rilevante a livello comunitario e internazionale. Quanto ai successi internazionali conseguiti da questo governo non sembra sia andata esattamente secondo la logica narrativa proposta agli italiani.

Gli esempi chiari, difficilmente confutabili sono tanti, ma due in particolare colpiscono i nostri interessi nazionali: la questione libica e la gestione dei migranti irregolari che ci dobbiamo comunque tenere e mantenere. Anche quelli che avrebbero dovuto essere ufficialmente ripartiti in altri Paesi, Germania e Francia in primo luogo. Non appena si è tentato con continuità di ribaltare la dipendenza italiana dalle manovre altrui con i ministri Minniti prima e Salvini successivamente, peraltro costretti a imporsi sui rispettivi Premier e a sostituire in pratica i disinteressati, inutilmente felpati colleghi degli esteri sulle due questioni scottanti, si è ottenuto qualche risultato, soprattutto sono aumentate credibilità e posizionamento italiano nell’area del Mediterraneo allargato.

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La continuità dell’azione da Stato sovrano in settori prioritari per la tutela degli interessi nazionali è oggettivamente premessa per accomodarsi ai tavoli negoziali in una posizione più forte, da rispettare comunque. Per qualche mese era stata ribaltata anche la retorica, tutta italiana, che bastasse qualche frase smielata palesemente ipocrita e interessata di alti responsabili dell’Onu o della Ue sul ruolo italiano in Libia e sull’eroico sforzo a favore dei migranti, per lo più illegali, per compiacersi e far cantare le lodi dell’azione italiana sulla scena internazionale.

Purtroppo, in entrambi i casi, è già terminata l’azione italiana più muscolare. Cominciava ad incidere e preoccupare, un buon segno per noi, i nostri alleati competitori. Ci avrebbe reso più credibili al tavolo negoziale. Invece a valutare attentamente due episodi apparentemente non collegati si può probabilmente comprendere come si sia indebolita ulteriormente la posizione italiana nell’Eurozona.

  1. Il primo episodio accade dopo il primo parziale successo, va riconosciuto, della citata lettera del 25 Marzo scorso indirizzata al Presidente del Consiglio europeo su iniziativa italiana, francese e spagnola in prima battuta al fine di richiedere gli Eurobond non ascrivibili al debito di stato come integrazione alle misure proposte dalla Commissione BEI, MES, SURE. In contrasto con una logica di rafforzamento della nostra ormai declassata politica estera, pochi giorni prima del negoziato cruciale del 23 aprile scorso, il governo smentisce se stesso su una questione rilevante a livello internazionale.

Aveva giustamente dichiarato non sicuri i porti italiani durante l’emergenza corona virus, vietando sbarchi da parte di navi ONG e di natanti battenti bandiere straniere. Il ministro degli esteri Di Maio aveva dichiarato con enfasi che dal mese di Marzo erano state inviate note ufficiali (note verbali) a tutti i Paesi interessati informandoli della situazione e che l’Italia non avrebbe consentito sbarchi, ciascun Paese avrebbe dovuto quindi accogliere le navi battenti bandiera del paese convolto nei salvataggi.

Ebbene com’è noto due navi ONG battenti bandiera tedesca e spagnola decise, nonostante i divieti, a sbarcare solo in Italia vengono accolte nelle acque territoriali italiane, fornite di dovuta, doverosa assistenza, ma invece di essere prontamente reindirizzate verso i porti dei rispettivi Paesi di provenienza, come da comunicazioni ufficiali sbandierate dal ministro degli esteri, viene loro concesso di ripartire e sbarcare i migranti raccolti su una nave italiana più che confortevole per la quarantena. Il passo successivo non è stato altro che lo sbarco in Italia non solo dei casi di urgenza sanitaria, ma di tutti gli irregolari. Le assicurazioni sulla ripartizione dei migranti in altri Paesi, quindi incomprensibilmente anche in Italia, chissà quando, non rassicurano affatto, tutt’altro. Cosa avranno pensato della giravolta italiana criminali, trafficanti di esseri umani, scafisti, Ong e i Paesi dell’Eurozona impegnati nel negoziato più complesso dal dopoguerra ad oggi?

  1. Vanificato il tentativo, su iniziativa italiana, di inserire gli Eurobond nella trattativa, la Francia prende prontamente l’iniziativa di proporre il Recovery Fund cui si associano in seguito Italia, Spagna Portogallo e gli altri Paesi della sponda sud. Nel frattempo la Spagna presenta formalmente una richiesta alla Commissione, alcuni malpensanti hanno addirittura ipotizzato su impulso della Germania in quanto se proveniente dalla Spagna la richiesta susciterebbe meno reazioni negative rispetto ad una italiana, di messa a disposizione urgente di ingenti risorse esclusivamente a fondo perduto non caricabili sui debiti pubblici dei Paesi per favorire la ripresa dei Paesi più colpiti dall’emergenza. L’Italia in questa fase, poco prima del 23 aprile, sembra quindi proporsi in secondo piano rispetto all’attivismo di Francia e Spagna.

Alla vigilia del vertice altro colpo all’immagine del nostro Paese. A fronte delle dichiarazioni, in Italia, sul ruolo da protagonista svolto dal nostro governo, premier in testa, delle interviste rilasciate su importanti testate estere dal Premier e dal ministro dell’Economia a sostegno delle tesi italiane e per suscitare compassionevole solidarietà, la portavoce della Commissione europea a domanda di un giornalista ribatte che l’Italia non ha presentato nulla di scritto per il vertice.

Difficile immaginare un simile scenario se si fosse trattato di Germania, Francia e forse altri partner. E la nostra diplomazia è stata determinata, ha sostenuto in tutto e per tutto anche nei minimi dettagli procedurali e protocollari il nostro Presidente del Consiglio, l’immagine del nostro Paese?

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In conclusione si potrà forse affermare che fosse in atto un gioco delle parti, tuttavia non si può nascondere che in negoziati cruciali l’Italia venga costretta quasi sempre dagli eventi e dai retaggi di un certo provincialismo deteriore, a giocare al ribasso a svolgere un ruolo sempre meno rilevante, non confacente al suo status di terzo Paese della Ue. Altro che successo internazionale, alla fine si porta a casa il minimo, il Recovery Fund, su iniziativa francese, peraltro tutto da discutere e negoziare nei dettagli, non fruibile probabilmente prima del 2021.

A livello europeo l’Italia dovrà ormai riconoscere umilmente, per poi sperare in un riassestamento, che per ottenere qualche beneficio dovrà allinearsi alla Francia e persino alla Spagna le cui diplomazie hanno lavorato al meglio ottenendo il massimo in un contesto da tempo dominato da Germania e satelliti.

La lenta risalita potrebbe ricominciare solo quando ritorneremo a incidere sulla Libia, a mantenere una posizione determinata e realistica sul fronte migratorio, a tutelare con vigore, finora non manifestato, i nostri interessi nazionali e le nostre Zone economiche esclusive (ZEE) nel Mediterraneo, sostenuti da amministrazioni operative, non escludendo a priori azioni dissuasive se richieste dalle circostanze.

Foto: Governo.it, Consiglio d’Europa, BCE e Unione Europea

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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