Militarmente scorretto

“Militarmente scorretto” è un libro di riflessioni in cui il Generale Marco Bertolini, soldato dal cursus honorum prestigioso, incalzato dal giornalista Andrea Pannocchia, spiega, a 360°, le sue posizioni, facendo ricorso ora alle sue memorie, ora a considerazioni militari, ora ad osservazioni geopolitiche. Molti sono gli accenti critici, o, appunto, “scorretti”. Sul significato del suo essere uomo di destra. Non è né un libro di memorie né un trattato militare né un saggio geopolitico, anche se tutti questi aspetti sono presenti. Sulla scarsa considerazione di cui godono in Italia i militari, sovente anche male utilizzati a fronte di capacità tecniche straordinarie. Sull’incapacità dell’Italia di capire e difendere i suoi interessi nazionali, e sui pericoli di perdere altre quote di sovranità.

Sugli errori nostri e altrui in politica internazionale, anche se Donald Trump è il male minore rispetto alla Clinton.

Sulla crisi della famiglia e di concetti quali cultura e identità nazionali, oggi più che mai necessari per affrontare i cambiamenti epocali del mondo.

Un mondo alle prese con problemi enormi, in costante ebollizione, con fortissime tensioni geopolitiche e con vere e proprie guerre in atto, e con un’evidente difficoltà a proporre soluzioni condivise, come si vede anche dal dramma del Corona-Virus, sul quale ci siamo fermati. Anche perché tutti noi siamo stati fermati dal virus.

Il generale Marco Bertolini ha comandato il 9°reggimento d’assalto “Col Moschin”, la Brigata Paracadutisti “Folgore”, il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali e il Comando Operativo di Vertice Interforze dal quale dipendono i contingenti “fuori area” nazionali. Ha partecipato a Operazioni in Libano, Somalia, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Afghanistan ed è opinionista di Analisi Difesa.

Andrea Pannocchia. Giornalista pubblicista, Dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione, un passato di docente universitario presso l’Università di Firenze in ambito sociologico e comunicativo, vive da sempre a Santa Croce sull’Arno. Libero professionista della comunicazione e consulente di comunicazione politica, è Direttore di Collane per Eclettica Edizioni,

 

 

Ho scelto “Militarmente scorretto” come titolo per il libro-intervista che mi è stato proposto da Eclettica Edizioni di Alessandro Amorese perché sono convinto che il primo dovere per chi voglia “restare umano” in questo tempo da lupi consista proprio nell’essere scorretto.

Essere scorretto soprattutto a partire dal linguaggio, utilizzando ostinatamente e pacatamente quelle parole che ci sono state insegnate da piccoli, in famiglia, sul lavoro, a scuola e in caserma. Parole che nulla hanno a che spartire con quella neo-lingua orwelliana inventata a tavolino dagli apprendisti stregoni che scorrazzano liberamente nel nostro presente e che ci impongono le loro finzioni come fossero realtà, con una protervia che vorrebbe far strame delle nostre vite, della nostra libertà, delle nostre stesse anime.

Attraverso le domande del gentilissimo Alessandro Pannocchia ho cercato, insomma, di mettere un po’ di ordine su alcuni dei pregiudizi che coltivo con cura maniacale e che considero fondamentali per non perdere l’angolo di bussola. Uso il termine pregiudizi senza falsi pudori – anche se per accontentare chi si sentisse a disagio potrei anche definirli valori – perché ritengo necessario attestarsi su punti fermi, che non subiscano le angherie della moda, delle fluttuazioni dei gusti e dei vizi, dei pensieri unici e obbligatori, dei bofonchiamenti dell’intellettualume che riscrive la storia e addomestica la realtà in funzione delle proprie fissazioni.

Ed è necessario avere punti fermi se vogliamo che il necessario adeguamento a un mondo che è sempre più complicato non si trasformi in un caos incontrollabile.

I danni fatti da questo approccio interessano moltissimi ambiti della nostra vita, fino a toglierci la capacità di leggere gli avvenimenti che mettono in pericolo la nostra stessa sopravvivenza come società organizzata, frutto dei sacrifici delle generazioni che ci hanno preceduto.

Lo vediamo dallo stupore col quale ci rapportiamo con gli altri Paesi, quasi increduli nel constatare che loro perseguono prima di tutto i propri interessi, a discapito del mito di una solidarietà internazionale che non li interessa se non solo a parole. Lo vediamo col riproporsi a poche centinaia di miglia dalle nostre coste di conflitti che si ostinano a non considerare che noi la guerra l’abbiamo abolita poco meno di ottant’anni fa per decreto.

E lo vediamo nel peggioramento della situazione generale, sotto il profilo economico, etico e della concordia nazionale, contraddicendo il mito di un’evoluzione che – al contrario – ci viene detto che porta solo cose buone. Abbiamo la prova, ormai, che non è vero.

Tra le vittime di questa situazione, valori come la Sovranità, politicizzata e transitata addirittura nel campo delle “ideologie”, per di più negative, con riflessi inevitabili sulle Forze Armate che ne sono l’indispensabile presidio. Riflessi di carattere pratico, connessi con un progressivo sottofinanziamento che le ha ridotte sotto il profilo quantitativo, contraddicendo il principio tuttora valido della Massa, e vanificando i vantaggi della professionalizzazione; quella professionalizzazione che ha dato ottime prove in tutti i più recenti “teatri operativi” ma che in Patria viene spesso sprecata in compiti di bassa manovalanza o umiliata con provvedimenti che sembrano voler appiattire il mondo militare su realtà  assolutamente diverse.

Ma anche con riflessi di carattere identitario per lo strumento militare stesso, che non può ridursi soltanto ad uno straordinario strumento di emergenza, ma che resta un ordinario e insostituibile mezzo di politica estera nonché protagonista di quello scandalo che continua ad essere la guerra. E con quello che sta succedendo attorno al nostro mare non c’è da stare tranquilli.

Altra vittima è la famiglia, componente fondamentale di quella Patria della quale si vuole disconoscere la sovranità. Famiglia umiliata dall’accostamento in termini di dignità a unioni fino a pochi anni fa improponibili, se non addirittura criminalizzata quasi fosse l’ambito nel quale si praticano le peggiori abiezioni e non la scuola nella quale si educano figli e genitori all’etica del dovere e dell’altruismo.

Sono questi alcuni tra i frutti amari del cosiddetto globalismo, che vorrebbe imporre l’abbandono di identità, tradizioni, interessi nazionali in cambio non si sa di che cosa.

Un globalismo che predica l’abbattimento dei muri e la costruzione di ponti, salvo poi costringerti tra le mura di casa per combattere il COVID-19 la cui esplosione a livello mondiale è stata favorita proprio dalla caduta delle frontiere.

Questa crisi del coronavirus ci ha fatto toccare con mano la dabbenaggine di chi ha ritenuto di poter fare cassa tagliando lo strumento sanitario nazionale contando sul fatto che noi del “primo mondo” saremmo al riparo di guai che fino a pochi mesi fa sembravano esclusiva del “terzo”. Speriamo di non doverci cospargere il capo di cenere anche per l’analoga trascuratezza per lo strumento militare.

 Marco Bertolini

 

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