Dopo la morte di al Zawahiri e al-Masri, un altro egiziano alla testa di al-Qaeda?

La morte del leader di Al Qaeda e successore di Osama bin Laden, Ayman al- Zawahiri, “per difficoltà’ respiratorie dovute all’asma” è stata diffusa il 20 novembre da media arabi e pachistani incluso  Arab News Pakistan, sito arabo in lingua inglese di solito molto ben infirmato che cita quattro fonti qualificate tra Pakistan e Afghanistan che hanno assicurato il decesso “avvenuto una settimana fa” o “comunque questo mese” per cause naturali.

Al-Zawahiri sarebbe morto nella provincia afghana di Ghazni: 69 anni, era apparso l’ultima volta in un video in occasione dell’anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle l’11 settembre.

La conferma del decesso è arrivata anche da un funzionario della sicurezza pakistana attivo nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan: “Crediamo che non sia più vivo. Siamo rimasti al fatto che sia morto per cause naturali”. Anche una fonte vicina ad Al-Qaeda in Afghanistan ha confermato che il medico egiziano è morto questo mese e ha aggiunto che un numero ristretto di seguaci ha preso parte al suo funerale.

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La notizia era stata diffusa già la settimana scorsa da Hassan Hassan, direttore dell’istituto americano Center for global policy.

“Le informazioni girano in circoli chiusi. Mi rendo conto del problema di questo tipo di affermazioni, ma ho avuto la conferma da fonti vicine al ramo siriano di al-Qaeda (Hurras al-Din)”, ha twittato.

Il tweet era stato rilanciato da Rita Katz, direttrice di Site, specializzata nel monitoraggio dei gruppi jihadisti, che ha ricordato come sia “tipico di Al-Qaeda non pubblicare subito informazioni circa la morte dei suoi leader”.

La notizia della morte del leader di al Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, arriva meno di una settimana dopo le rivelazioni sull’uccisione in agosto del suo vice, Abu Muhammad al-Masri (Abdullah Ahmed Abdullah).

Secondo quanto scritto dal New York Times il 14 novembre, al-Masri è stato ucciso a Teheran da agenti israeliani grazie ad informazioni ricevute dagli Stati Uniti. Al-Masri aveva 58 anni ed era considerato il più probabile successore di al-Zawahiri. L’esecuzione è avvenuta il 7 agosto, anniversario degli – attacchi terroristici del 1998 contro le ambasciate americane in Kenia e Tanzania, che causarono 224 morti e di cui era considerato “la mente”.

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Al-Masri era al volante della sua auto vicino la sua casa a Teheran, quando è stato ucciso da 5 colpi d’arma da fuoco esplosi da una moto, una modalità già usata in passato da agenti israeliani per colpire scienziati iraniani.

Con lui è morta anche la figlia Miriam, vedova di Hamza, uno dei figli di Osama bin Laden. Le autorità iraniane hanno smentito affermando che sono stati uccisi un professore di storia libanese, Habib Daoud, con la figlia Maryam.  Secondo le fonti d’intelligence citate dal New York Times, Daoud era il nome di copertura di al-Masri, (nato ad al-Gharbiya, in Egitto) che si trovava in “custodia” dell’Iran dal 2003, ma almeno dal 2015 viveva “liberamente” nel quartiere Pasdaran di Teheran.

Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Saeed Khatibzadeh, ha negato ci siano “terroristi” di al-Qaeda all’interno dei confini iraniani. “Per sottrarsi dalle responsabilità per le attività criminali” di al-Qaeda “e di altri gruppi terroristici nella regione, Washington e Tel Aviv – ha aggiunto nella dichiarazione riportata dall’agenzia Tasmin – cercano di tanto in tanto di tracciare un collegamento tra l’Iran e questi gruppi con menzogne e informazioni false fatte trapelare ai media”.

Nessun commento da Gerusalemme e Washington, né al-Qaeda ha fornito conferme. Non è chiaro se l’esecuzione sia stata compiuta direttamente da agenti del Mossad o da killer stranieri assoldati da Gerusalemme ma l’esecuzione è avvenuta nello stesso periodo in cui si è registrata la gigantesca esplosione nel porto di Beirut e una di esplosioni in impianti strategici iraniani: la centrale nucleare di Natanz, una centrale elettrica, un gasdotto e il complesso militare di Parchim, vicino Teheran.

Bah Ag Moussa

Tempi duri per i leader qaedisti anche in Africa. Il 13 novembre, il comando dell’Operazione Barkhane guidata dai francesi nel Sahel,  aveva annunciato l’uccisione di un leader di al-Qaeda nel Maghreb Islamico, eliminato in Mali nella regione di Menaka insieme ad altri quattro miliziani.

Si tratta di Bah ag Moussa, considerato il capo militare del Gruppo di Sostegno per l’Islam e i Musulmani (GSIM), ucciso il 10 novembre anche se Parigi ne ha dato notizia qualche giorno dopo, nel quinto anniversario degli attacchi estremisti islamici che hanno ucciso 130 persone a Parigi, prendendo di mira il Bataclan, i caffè e lo stadio nazionale.

Il veicolo sul quale viaggiava Moussa è stato individuato anche grazie all’uso di droni ed è stato poi preso di mira dagli elicotteri e dagli incursori delle forze speciali francesi.

Scomparso anche il Numero 2 di al-Qaeda, secondo fonti citate dall’agenzia Adnkronos  il successore di al-Zawahiri alla guida dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden potrebbe essere Saif al-Adel,  egiziano, ex ufficiale delle forze speciali, esperto di esplosivi e nella leadership di al-Qaeda da una trentina di anni.  Sotto accusa negli Stati Uniti per il suo ruolo negli attentati contro l’ambasciata americana in Kenya, risulta latitante ed è stato accusato di essere coinvolto nella Jihad islamica egiziana, braccio di al-Qaeda.

Nato negli anni sessanta, al-Adel ha studiato economia alla Shibin Elkom University a Menoufiya, e si ritiene si sia radicalizzato qualche anno più tardi durante la sua frequentazione della moschea Fajr al Islam a Shibin el-Kom. Entrato nell’esercito egiziano diventò colonnello delle forze speciali negli anni Ottanta.

Coinvolto in attività estremistiche islamiche venne arrestato nel maggio 1987, assieme ad altri 6mila miliziani, accusato di voler uccidere l’allora ministro dell’Interno Hasan Abu Basha.

Rilasciato per mancanza di prove, entrò a far parte di al-Qaeda nel 1989. Nel 1993 in Somalia creò un campo di addestramento qaedista per i miliziani coinvolti in attacchi contro le forze internazionali e negli anni successivi fu operativo in diverse regioni ove al-Qaeda aveva esteso la sua presenza: Yemen, Afghanistan, Pakistan, Sudan.

Nel novembre 1998 una corte americana incriminò oltre 20 persone – tra cui al-Adel – per il duplice attentato dinamitardo del 7 agosto dello stesso anno contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. E’ sospettato di aver addestrato diversi dirottatori coinvolti negli attacchi dell’11 settembre 2001

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Nel dicembre di quell’anno, dopo l’avvio dell’operazione Enduring Freedom contro le installazioni di al-Qaeda in Afghanistan, Adel fece uscire un gruppo di membri di spicco dell’organizzazione portandoli in Iran. Nell’aprile 2003 venne arrestato in Iran dietro pressioni di Stati Uniti ed Arabia Saudita. Il mese successivo, al-Qaeda uccise oltre trenta persone in due attentati dinamitardi a Riad, orchestrati, secondo l’intelligence Usa, dai terroristi stabilitisi in Iran e forse dallo stesso Adel.

Secondo il Counter Extremism Project, al-Adel ed altri 4 miliziani qaedisti vennero rilasciati dalle autorità iraniane nel marzo 2015 nell’ambito di uno scambio di prigionieri con Al Qaeda nella Penisola Arabica, che aveva catturato un diplomatico iraniano in Yemen nel luglio 2013.

In attesa di un annuncio da parte di al-Qaeda che confermi la morte di al-Zawahiri e la nomina del suo successore, ricordiamo che secondo un rapporto Onu del 2018 al-Adel svolse in Iran un ruolo chiave per la rete globale di al-Qaeda in qualità di vice di al-Zawahiri e che nell’agosto 2018 il Dipartimento di Stato Usa ha aumentato la ricompensa per informazioni utili alla sua cattura, portandola da 5 a 10 milioni di dollari.

Nonostante la morte di molti suoi leader al-Qaeda resta protagonista del jihad in Sahel; Yemen e Penisola Arabica, in Afghanistan e Somalia e rappresenta con lo Stato Islamico un “marchio” consolidato del jihadismo e del terrorismo anti occidentale come ha dimostrato anche l’ultimo proclama di al-Zawahiri, considerato ormai da tempo una figura più simbolica che decisionale sul piano operativo, probabilmente proprio per ragioni di salute. La sua morte difficilmente porterà a mutamenti dal punto di vista della minaccia terroristica, che per l’Occidente resta la stessa. Al Qaeda del resto ha sempre mantenuto una struttura che garantiva autonomia alle sue componenti territoriali.

(con fonte Adnkronos)

 

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