Sea Breeze: La NATO sfida la Flotta del Mar Nero

 

 

Poche settimane dopo che il presidente americano Joe Biden, al vertice NATO tenutosi a Bruxelles il 14 giugno 2021, ha riaffermato la volontà di integrare l’Ucraina nell’alleanza, si sono concentrati in rapida sequenza episodi inquietanti mentre stavano per iniziare le grandi manovre navali “Sea Breeze” nel Mar Nero. Il 23 giugno hanno fatto scalpore cannonate e bombe d’avvertimento dei russi nei confronti del cacciatorpediniere britannico HMS Defender, avvicinatosi troppo al litorale della Crimea.

Poi, il 27 giugno la BBC ha ottenuto e pubblicato documenti segreti del Ministero della Difesa di Londra, “smarriti fin dal 22 giugno” a una fermata di autobus del Kent e riguardanti proprio la missione della nave HMS Defender. Il 29 giugno gli olandesi hanno rivelato che già il giorno 24, all’indomani dell’incidente dell’HMS Defender, una loro nave pure essa presente nel Mar Nero, la fregata olandese HMNLS Evertsen, è stata sorvolata da aerei russi.

Intanto è iniziata dal 28 giugno, con durata prevista fino al 10 luglio, la più affollata edizione mai organizzata dell’esercitazione Sea Breeze, che si svolge ogni anno dal 1997. Stavolta sono in campo ben 32 nazioni, anche di continenti ben lontani dal Mar Nero, con altrettante navi da guerra. E con la partecipazione dell’Italia, mediante la fregata antisommergibile Virginio Fasan, transitata il 1° luglio dal Bosforo e di cui Mosca ha già dichiarato di tenere “sotto stretta sorveglianza” le mosse.

 

Frontiere evanescenti

Il quadro della situazione è degno del più classico scenario da “guerra fredda” e la dice lunga sul pessimo stato dei rapporti fra la Russia e le nazioni occidentali, sensibilmente peggiorati dal 20 gennaio 2021, quando alla presidenza degli Stati Uniti il “moralista” Joe Biden è subentrato al pragmatico Donald Trump.

Fra i tanti nodi che dividono la Russia dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ad aggravarsi è proprio uno dei più potenzialmente dirompenti, cioè la possibile adesione dell’Ucraina alla NATO, che eliminerebbe un importante “cuscinetto” strategico lungo i confini occidentali russi.

E non è un caso l’emergere di una nuova crisi avente il suo epicentro nel Mar Nero e le sue radici nella diversa valutazione dell’appartenenza della penisola della Crimea.

Nei giorni precedenti all’inizio delle manovre “Sea Breeze 2021”, già diverse navi occidentali erano passate dal Bosforo entrando in quel mare quasi del tutto chiuso, che i russi considerano storicamente, non a torto, una loro “anticamera”.

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Fin dal 1696 il giovane zar Pietro il Grande varò proprio sul Mar d’Azov (la piccola diramazione del Mar Nero delimitata dalle penisole di Kerc e di Taman) i primi vascelli della Marina Russa, iniziando ad affrontare la flotta dell’allora ancora forte Impero Ottomano, poi nel 1783 la zarina Caterina la Grande mandò le sue truppe a occupare la Crimea, in precedenza soggiogata ad un khanato vassallo dei turchi.

La Crimea diventò un caposaldo strategico della Russia, che la difese fra il 1853 e il 1856 dall’alleanza fra Turchia, Gran Bretagna, Francia e Piemonte. Dopo la proclamazione dell’Unione Sovietica nel 1924, appartenne alla Repubblica Sovietica Russa fino al 1954, quando Nikita Krushev la regalò inopinatamente alla Repubblica Sovietica Ucraina, in segno di amicizia e coesione in seno all’URSS.

Non immaginava che quasi 40 anni più tardi, nel dicembre 1991, l’Unione Sovietica si sarebbe sfasciata, lasciando sul tappeto un contenzioso enorme per la presenza delle basi militari russe nella penisola, specie quella navale di Sebastopoli. Finchè la nuova Ucraina indipendente era guidata da governi filorussi o neutrali, il contenzioso era sopito da un contratto d’affitto per le forze russe a Sebastopoli.

Ma nel marzo 2014, a seguito della rivolta filo-occidentale della piazza Maidan di Kiev, che ha segnato la fine della neutralità strategica ucraina, è stato giocoforza per il presidente russo Vladimir Putin annettere la Crimea con un colpo di mano, irrobustito però dal plebiscito con cui la popolazione della penisola si è dichiarata a larghissima maggioranza a favore del ritorno alla sovranità della Russia. Tuttavia, né Kiev, né le capitali occidentali hanno riconosciuto legalmente questo passaggio.

E’ su queste premesse, sul fatto cioè che i russi considerano come proprie acque territoriali la fascia di 12 miglia marine che corre attorno alle coste della Crimea, che si è originato l’incidente dell’HMS Defender, il quale è stato molto probabilmente un messaggio deliberato nei confronti di Mosca per sondarne le reazioni.

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Del resto, è vero che i britannici sostengono di essersi attenuti alla posizione ufficiale dell’alleata Ucraina, secondo cui le acque della Crimea sarebbero tuttora sotto la sovranità di Kiev, che, come i paesi occidentali, considera illegittima l’annessione della penisola alla Russia. Ma è anche vero che Mosca aveva in anticipo messo in guardia gli altri paesi da eventuali intrusioni. Dal 14 aprile 2021 il Ministero della Difesa russo ha decretato un divieto assoluto semestrale di transito di navi da guerra straniere in tre zone delle loro acque territoriali nel Mar Nero, con decorrenza a partire “dalle 9.00 del 24 aprile, fino alle 9.00 del prossimo 31 ottobre”.

Per tutta risposta, l’ingresso di navi occidentali, soprattutto anglo-americane, nel Mar Nero si era intensificato proprio a partire da aprile. Diverse unità si sono avvicendate negli ultimi mesi, finchè, nei giorni a ridosso del vertice NATO, fra 13 e 14 giugno, hanno passato gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, diretti al porto ucraino di Odessa, il cacciatorpediniere americano USS Laboon, della classe Arleigh Burke, la fregata olandese Evertsen, che appartiene alla classe De Zeven Provincien, e, appunto, il cacciatorpediniere britannico HMS Defender, esponente della classe Type 45 o Daring.

L’arrivo di queste navi ha segnato simbolicamente l’inizio dei preparativi dell’esercitazione ”Sea Breeze 2021”. I russi, come già in altre occasioni, hanno concentrato la loro sorveglianza sull’americana Laboon, che come tutte le unità della sua classe imbarca decine di missili da crociera BGM-109 Tomahawk che, nei sospetti di Mosca, potrebbero avere anche testata nucleare.

Ma anche le altre unità, pur mancando di una potenzialità strategica intrinseca come quella delle navi tipo Arleigh Burke, sono state tenute d’occhio, in previsione di provocazioni nelle acque territoriali. Va inoltre tenuto presente che il blocco unilaterale della navigazione nelle acque della Crimea, decretato da Mosca per il citato semestre fra 24 aprile e 31 ottobre era seguito ad altre notizie preoccupanti.

 

La sfida politica

Fin dallo scorso 24 marzo il presidente ucraino Volodimir Zelenskij ha varato un decreto per la “strategia di recupero delle terre occupate dalla Russia”, ossia la Crimea e il Donbass. E il 2 aprile si è avuto il primo colloquio telefonico fra Zelenskij e Biden, durante il quale l’uomo della Casa Bianca ha spalleggiato il collega di Kiev parlando di “protratta aggressione russa in Crimea”.

Nei giorni seguenti si sono verificati ripetuti atterraggi di aerei militari americani da trasporto C-130J nella capitale ucraina, provenienti da basi NATO come quella di Ramstein, in Germania, e recanti a bordo persone o materiali non specificati, tanto per aumentare l’incertezza percepita dai russi.

Infine, il 14 giugno a Bruxelles, Biden ha ammesso di fronte agli alleati che l’Ucraina, prima di aderire all’alleanza atlantica, “deve ancora soddisfare alcuni requisiti e ripulirsi dalla corruzione”.

Ma ha anche in sostanza ribadito la prosecuzione del processo di integrazione militare con Kiev sostenendo che “non sarebbe un problema ammettere l’Ucraina nella NATO anche se una parte del suo territorio è occupata da forze russe”.

Con allusione alla Crimea e anche alla fascia di confine del Donbass, permeabile a invii di uomini e carri armati di Mosca in supporto ai secessionisti russofoni delle repubbliche ribelli di Donetsk e Lugansk, la cosiddetta Novorossija.

E’ palese che tutte queste premesse abbiano contribuito ad aumentare il nervosismo al Cremlino. Tantopiù che, rispetto all’amministrazione Trump, che pure aveva fornito agli ucraini missili anticarro Javelin, l’attuale presidenza USA è molto più smaccatamente filo-Kiev, forse anche a causa degli affari ucraini di Hunter Biden, figlio del presidente USA, nella società ucraina del gas Burisma, affari che già nella campagna elettorale delle presidenziali americane del 2020 erano stati stigmatizzati da un Trump che invece, durante il suo mandato, aveva tenuto con Kiev un atteggiamento più equilibrato.

 

La diplomazia delle cannoniere

L’episodio quasi bellico di mercoledì 23 giugno 2021, con la nave inglese oggetto di colpi russi, per quanto non mirati in senso letale, non nasce dunque dal nulla, ma da un retroterra molto profondo e complesso. Ricordiamo brevemente i puri fatti.

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Quella mattina, l’HMS Defender (nelle foto sopra e sotto), al comando del capitano Vincent Owen, era salpata da Odessa diretta verso la base navale di Batumi, in quella Georgia che pure aspira allo status di membro NATO, nonostante la sua disastrosa guerra di con la Russia nel 2008 per il territorio dell’Ossezia del Sud non sia certo garanzia di sicurezza e stabilità, bensì non debba cessare di far riflettere i vertici dell’alleanza.

Operativa dal 2013, l’HMS Defender, come le sue “sorelle” classe Daring, è una grande nave da circa 8500 tonnellate e lunga 152 metri, di quelle che, come le poco più grosse Arleigh Burke americane, meriterebbero assai più la denominazione di incrociatori che quella di cacciatorpediniere, ma comunque si tratta di un’unità prettamente tattica, il cui armamento privilegia la componente antiaerea, con missili Aster 15 e Aster 30, più una minore componente antinave, con missili Harpoon, oltre ad alcuni cannoni di piccolo calibro.

Non è certo un’unità suscettibile di trasportare, anche solo in via ipotetica, armi nucleari, ma agli occhi dei russi questa differenza tecnica non contava poiché il principio che li ha indotti ad agire è stata la pura e semplice violazione di ciò che secondo loro sono ormai le acque territoriali russe.

Stando a quanto dichiarato da Mosca dopo l’incidente, alle 11.52 del 23 giugno l’HMS Defender è entrata nelle acque territoriali afferenti la Crimea spingendosi per circa 2 miglia marine (3,7 km) al di là la linea delle 12 miglia. In quel momento la nave stava in pratica sfiorando la Crimea nei pressi di Capo Fiolent.

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Una volta rilevata la violazione di confine coi radar, i russi hanno reagito nel giro di pochi minuti. Fra le 12.06 e le 12.08 sono intervenute navi di pattuglia della Guardia Costiera Confinaria russa, che fa parte del servizio segreto interno FSB, in parole povere l’ex-KGB.

La Guardia Costiera dell’FSB dispone di vari tipi di navi da pattuglia ed è probabile che nell’azione di intercettazione sia stata utilizzata una delle relativamente nuove unità classe Rubin (nella foto sotto), divenute operative a partire dal 2009 e che, su 14 esemplari finora completati ne vedono ben 6 assegnate al solo Mar Nero.

Leggere, 630 tonnellate per 62 metri di lunghezza, le Rubin hanno un limitato armamento cannoniero, il cui pezzo principale può essere una torretta con cannone AK-630 a canne rotanti da 30 mm oppure, in talune occasioni, un cannone A-220M da 57 mm.

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Comunque, le navi di pattuglia si sono avvicinate alla nave britannica trasmettendo ripetuti appelli radio perchè lasciasse la zona. Poichè il capitano Owen ignorava le richieste radio dei russi, una delle unità di pattuglia dell’FSB si è avvicinata fino a soli 100 metri dal cacciatorpediniere, sparando in acqua diversi colpi di cannone come eloquente avvertimento.

Ma i proiettili navali non sono stati sufficienti, così alle 12.19 è sopraggiunto un aereo da bombardamento, un classico Sukhoi Su-24M supersonico che ha sganciato in mare 4 bombe da 250 kg l’una lungo la rotta dell’HMS Defender. Il Su-24M (nella foto sotto) ha sorvolato il cacciatorpediniere inglese da bassissima quota, come testimonia un filmato girato in soggettiva dallo stesso equipaggio del bombardiere e diffuso dal giorno successivo dallo stesso ministro della Difesa russo, generale Sergei Shoigu.

Dopo aver visto le enormi colonne d’acqua delle esplosioni, alle 12.23 finalmente il capitano Owen si è deciso ad abbandonare le acque reputate territoriali dai russi, venendo ancora sorvolata per ore da circa 20 aerei russi, che l’hanno sorvegliata a lungo. Infine l’HMS Defender è approdata a Batumi il 26 giugno.

Da Londra, il Ministero della Difesa ha subito minimizzato: “La nostra nave stava solo compiendo un innocente passaggio nelle acque ucraine, in accordo alle leggi internazionali”. I britannici si sono appellati a una pura categoria giuridica senza nessuna concessione al realismo e al pragmatismo, essendo di fatto quelle acque divenute russe.

Hanno semplicemente sostenuto che quelle acque erano ucraine e inoltre hanno utilizzato la definizione di “innocente passaggio” che è prevista dalla Convenzione ONU sulla Legge del Mare firmata nel 1982 a Montego Bay. Per “innocente passaggio” vi è definito il transito di una nave da guerra che non ponga minacce al paese rivierasco in quanto “non pregiudizievole della pace, del buon ordine o della sicurezza del paese costiero”.

Per giunta la Difesa britannica ha inizialmente ignorato la reazione russa sostenendo che “nessun colpo è stato diretto all’ HMS Defender, non riconosciamo che le bombe erano dirette lungo la nostra rotta, credevamo i russi tenessero esercitazioni”. Il ministro della Difesa Ben Wallace ha aggiunto: “La nostra nave era su una rotta di routine fra Odessa e la Georgia”.

Ma a smentire, sostanzialmente, la versione ufficiale del governo britannico è arrivata subito la testimonianza di un corrispondente della BBC imbarcato sull’HMS Defender.

Il giornalista Johnatan Beale ha così descritto ciò che ha visto coi suoi occhi quel giorno: “L’equipaggio era già alle sue postazioni, quando si è avvicinato all’estremità meridionale della Crimea occupata dai russi. I sistemi d’arma a bordo del cacciatorpediniere della Royal Navy erano già stati caricati. Questa sarebbe una mossa deliberata per segnare un punto contro la Russia.

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L’ HMS Defender stava navigando all’interno del limite delle 12 miglia delle acque territoriali della Crimea. Il capitano ha insistito che stava solo cercando un passaggio sicuro attraverso una rotta marittima internazionalmente riconosciuta.

Due navi della Guardia Costiera russa che stavano tallonando la nave da guerra della Royal Navy hanno tentato di forzarla a cambiare direzione. A un certo punto, uno dei vascelli russi si è fatto sotto, fino a circa 100 metri. Alla radio si sono sentiti crescenti avvertimenti ostili, incluso uno che diceva: ‘Se non cambierete rotta, aprirò il fuoco’.

Abbiamo udito alcuni spari a distanza, ma sono stati creduti molto distanti. Quando l’HMS Defender ha navigato attraverso la rotta, le hanno ronzato attorno aviogetti russi. Il capitano Vincent Owen ha detto che i radar della nave hanno rilevato più di 20 aerei militari nelle vicinanze. Il comandante ha detto che la sua missione è stata fiduciosa ma non conflittuale”.

 

Una provocazione anglo-americana

La natura premeditata dell’intrusione britannica è stata in parte confermata dal reporter Beale e a maggior ragione, come vedremo fra poco, dai documenti segreti del Ministero della Difesa inglese misteriosamente trovati da un anonimo cittadino e pubblicati dalla BBC. Ma una ulteriore conferma, a cui accenniamo subito, sarebbe rappresentata, secondo il presidente russo Putin, dalla presenza nei paraggi di un “aereo da ricognizione americano” che in pratica spalleggiava l’HMS Defender.

Lo “zar” è intervenuto sullo spinoso tema il 30 giugno, durante un’ampia intervista televisiva alla rete nazionale russa, e ha espresso senza infingimenti il suo punto di vista: “E’ stata una provocazione. E non solo i britannici, ma anche gli americani vi hanno preso parte.

C’era nella zona un aereo da ricognizione americano decollato da una base in Grecia, dall’isola di Creta, per monitorare la reazione russa. Perché fare questo? Per dimostrare che non riconosci la Crimea? Non la riconosci, ma perché provocare?”.

Putin ha poi concluso: “Anche se avessimo affondato la nave, sarebbe tuttavia difficile immaginare che il mondo sarebbe finito sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, perchè l’Occidente sa di non poterla vincere”. L’accenno di Putin a un “ricognitore americano” decollato probabilmente da Creta è molto interessante.

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Non ne è stato specificato il tipo, ma si sa che dalla base di Suda, nell’isola di Creta, operano spesso i grossi quadrimotori a turboelica Lockheed EP-3E Orion/ARIES (Airborne Reconnaissance Integrated Electronic System – nella foto sopra)) che vigilano non solo sul Mediterraneo, ma si spingono fin sopra il Mar Nero. Un’altra possibilità è che gli americani abbiano utilizzato come “angelo custode” dell’HMS Defender un Boeing P-8A Poseidon, un tipo di velivolo che però normalmente la US Navy tiene di base a Rota, in Spagna, o a Sigonella, in Sicilia, sebbene non sia da escludersi che i Poseidon facciano scali intermedi a Suda per rifornimenti o necessità operative.

E’ credibile che gli Stati Uniti possano aver concordato con la Gran Bretagna un’azione coordinata per testare la prontezza, militare e anche decisionale, dei russi nel reagire a violazioni delle acque della Crimea. In tal caso, a seconda del tipo di velivolo impiegato sarebbe stato diverso il tipo di funzione a esso assegnata nella missione. Nel caso di un EP-3E, abbiamo infatti un aereo da spionaggio elettronico, o ELINT (Electronic Intelligence) in grado con la sua ampia dotazione di sensori di bordo di captare e analizzare ogni più piccola emissione elettromagnetica avversaria, dalle frequenze radar alle comunicazioni, alle frequenze su cui lavorano le armi teleguidate.

L’EP-3E Aries è però disarmato e la sua funzione avrebbe potuto essere solo di testimone-chiave di una possibile aggressione russa all’HMS Defender, analizzandone ogni più minuto dettaglio, ma senza poterla aiutare fattivamente. Il P-8A Poseidon (nella foto sotto) è invece un velivolo da pattugliamento marittimo armato con sistemi antinave e antisommergibile, fra i quali siluri Mark 54 e missili Harpoon, pertanto avrebbe potuto eventualmente intervenire, almeno contro unità navali, nel caso di un combattimento.

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A proposito delle affermazioni di Putin, la portavoce del Comando Europeo USA, il capitano della Marina Wendy Snyder si è limitata ad ammettere la consueta presenza di aerei americani sul Mar Nero, come accade da decenni: “Sì, avevamo aerei in operazioni e stavamo osservando ogni cosa nella regione del Mar Nero, come facciamo sempre”.

Ha però smentito uno scenario da provocazione premeditata e congiunta Stati Uniti-Gran Bretagna. Se però non è comprovato, finora, un ruolo americano, lo sbalorditivo episodio dei documenti smarriti conferma che almeno gli inglesi avevano fin dall’inizio progettato di stuzzicare l’orso russo.

 

Un fascicolo “top secrete” dal nulla

Due giorni dopo la scaramuccia di Capo Fiolent, il 25 giugno, è intervenuto il Capo di Stato Maggiore della Difesa britannica, il generale Nick Carter, che ha direttamente accusato i russi di aver condotto “un gioco del gatto col topo”, giudicando l’episodio “un classico esempio di battaglia fra diverse narrative”. Ha aggiunto inoltre, dando un tocco melodrammatico:

“La cosa che mi tiene sveglio di notte nel letto è l’idea di un errore di calcolo dovuta a un’escalation. Il tipo di evento che abbiamo visto mercoledì nel Mar Nero è il tipo di cose da cui ciò può originarsi”.

Per ironia, la “battaglia delle narrative” evocata dal generale Carter era destinata un paio di giorni dopo a infiammarsi ulteriormente dopo la rivelazione di documenti riservati, stando ai quali sarebbe stata proprio la Gran Bretagna a orchestrare una sorta di “gioco del gatto col topo”, o meglio con l’orso, il che è evidentemente assai più pericoloso.

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Domenica 27 giugno la BBC dava notizia del fatto che fin da martedì 22 giugno, cioè un giorno prima dell’incidente dell’HMS Defender, un “cittadino che vuol rimanere anonimo” aveva ritrovato per caso “dietro a una fermata dell’autobus del Kent” un documento riservato del Ministero della Difesa.

Era un fascicolo di 50 pagine che conteneva vari rapporti stampati da presentazioni informatiche in power point su diversi temi, fra cui anche la crociera dell’HMS Defender. Il cittadino avrebbe, incredibilmente, trovato il plico frammisto a “cartaccia fradicia” che stava dietro la pensilina della fermata e poi, “resosi conto dell’importanza del materiale”, lo ha fatto avere alla BBC. A quanto riportato dal maggior organo d’informazione britannico, i rapporti sono stati preparati presso la sede del Permanent Joint Headquarters (PJHQ) di Northwood, sobborgo Nord di Londra.

Si tratta del Quartier Generale interforze che ha la supervisione su tutte le missioni militari britanniche all’estero e che è attualmente comandato dal viceammiraglio Sir Ben Key. Un consesso, quindi, di altissimo livello che si è occupato direttamente della pianificazione della missione dell’HMS Defender, denominata in codice “Operazione Ditroite” e avente lo scopo preciso di studiare le possibili reazioni russe allo sfiorare la costa della Crimea. Il documento è in sostanza sbucato a sorpresa, si può dire “dal nulla”, spiazzando totalmente il governo britannico, sia in relazione ai fatti del Mar Nero, sia, più in generale per aver mostrato una pericolosa falla nella riservatezza.

Da ciò che si evince dalle carte, il presupposto da cui sono partiti gli alti ufficiali del PJHQ è stata la constatazione che il comportamento tenuto nei giorni precedenti dalle forze russe in Siria all’arrivo della squadra della portaerei HMS Queen Elizabeth (belle foto sopra e sotto) non è stato “degno di nota” e “in linea con le aspettative”, ovvero relativamente tranquillo.

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Come noto, la nuova portaerei britannica ha iniziato la sua lunga crociera fin dal 22 maggio da Portsmouth e nei prossimi mesi, attraverso il canale di Suez e l’oceano Indiano, arriverà fino al Pacifico, dove parteciperà al contenimento aeronavale della Cina con manovre congiunte con gli alleati della regione. Ma mentre staziona ancora nel Mediterraneo si è portata davanti alla Siria e ha inviato i suoi F-35 a bombardare posizioni dell’ISIS.

I russi, inizialmente, hanno attuato una sorveglianza considerata di routine e definita “unremarkable” nel documento inglese. In effetti, solo dopo l’incidente dell0’HMS Defender, il 25 giugno, hanno mobilitato in quel settore maggiori forze per inquietare la squadra della Queen Elizabeth, per esempio tre bombardieri antinave Tupolev Tu-22M3 e due caccia Mig-31 armati di missili ipersonici Kinzhal inviati quel giorno nella base siriana di Hmeimm-Latakia.

Il documento spiega che gli ufficiali del PJHQ, stando alla BBC, “sapevano che questa situazione sarebbe presto cambiata”, cioè che le forze russe avrebbero potuto aumentare in intensità le loro reazioni ai movimenti aeronavali occidentali. Il rapporto “segreto” recita: “In conseguenza della transizione da un’attività di ingaggio della difesa a un’attività operativa, è altamente probabile che le interazioni della Marina Russa e delle Forze Aerospaziali Russe diventeranno più frequenti e assertive”.

A questo punto, gli ufficiali avrebbero escogitato il passaggio dell’HMS Defender presso un territorio “scottante” come la Crimea per eseguire una sorta di test. La missione sarebbe avvenuta come un “passaggio innocente” in acque territoriali dell’alleata Ucraina, come poi è stato rivendicato da Londra, che prevedeva cannoni coperti e l’elicottero in dotazione alla nave, ben chiuso nel suo hangar.

Il documento prevedeva per la nave due possibili rotte, una molto lontana dalle acque territoriali crimeane, tuttavia scartata perchè avrebbe dato l’impressione che “la Gran Bretagna si facesse spaventare e accettasse implicitamente la pertinenza russa di quelle acque”. E’ stata così scelta la rotta più audace, e provocatoria, definita “un transito diretto e professionale da Odessa a Batumi” attraverso una TSS, cioè Traffic Separation Scheme, ossia un sistema internazionale di catalogazione delle rotte marittime più battute, rasente alla Crimea Sudoccidentale. Ciò che si è verificato.

Gli ufficiali si aspettavano una gamma di possibili reazioni russe che andava dalla “sicura e professionale” alla “nè sicura, né professionale”, eufemismo per indicare un probabile scontro armato o collisione. La BBC e il resto della stampa britannica non hanno citato che poche parole del documento, evitando di dare dettagli per motivi di sicurezza.

Certo è che, alla notizia del ritrovamento, un imbarazzato Ministero della Difesa, sulle prime ha diramato un seccatissimo “sarebbe inappropriato commentare”. Poi ha spiegato che “i documenti sono stati smarriti da un alto funzionario ministeriale che ne ha subito denunciato la perdita”. Al che, il Ministero avrebbe subito aperto un’inchiesta sull’accaduto, per il momento togliendo al funzionario “sbadato” l’autorizzazione ad accedere a materiale riservato.

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Sulle considerazioni circa i possibili retroscena di un così sospetto smarrimento di un fascicolo top secret, torneremo fra poco. Per ora è importante notare la meccanica, da quel poco che si può ricostruire da accenni sparsi al contenuto del plico, che ha originato la missione dell’HMS Defender.

Sembrerebbe perfino che i britannici si aspettassero reazioni più forti dei russi in occasione dell’arrivo della portaerei HMS Queen Elizabeth a ridosso delle acque siriane, ma che, in qualche modo delusi, abbiano deciso di effettuare un passo in più, ordinando all’HMS Defender, già nel Mar Nero da vari giorni, di sfidare l’avversario sulla soglia della Crimea col triplice scopo di:

  • sollevare il problema della sovranità della penisola, con un assist importante a Kiev,
  • misurare in qualche modo l’entità della risposta russa in termini di tempi e modi, forse anche con l’eventuale assistenza di un aereo americano da ricognizione, come denunciato da Putin e infine
  • porre di nuovo, politicamente, il problema della Russia “cattiva”, ribelle rispetto alle norme del diritto internazionale.

Il punto C), in particolare, si presterebbe a essere degnamente inserito nella scia di episodi poco chiari che negli ultimi anni hanno offerto la possibilità di accusare Mosca di qualche misfatto, senza però prove decisive sulla sua colpevolezza. I due casi più noti ascrivibili a tale interpretazione sono senza dubbio l’avvelenamento mortale nel 2006, con polonio 210 radioattivo, dell’ex-agente del KGB Alexander Litvinenko, rifugiato in Gran Bretagna come dissidente, e una dozzina d’anni dopo un episodio quasi simile, sebbene non mortale, che ha visto nel 2018 l’ex-agente del GRU, che era passato agli inglesi, Sergei Skripal e sua figlia Yulia intossicati da gas nervino Novichok a Salisbury e salvatisi in ospedale.

Per non parlare dell’avvelenamento del dissidente Alexej Navalny nel 2020, su cui sono leciti alcuni dubbi, poiché se fosse stato davvero effettuato dai servizi segreti del Cremlino sarebbe stata un’operazione alquanto maldestra e controproducente.

 

I “segreti” di Londra

Tornando al contenuto del documento segreto britannico, esso non si limitava all’organizzazione della missione dell’HMS Defender, ma toccava altri temi, come l’export di armamenti britannico, la politica dell’OCCAR, l’organizzazione europea per la cooperazione negli armamenti, che prende la sua sigla dal francese Organisation Conjointe de Coopération en matière d’ARmement, e il ritiro delle truppe britanniche dall’Afghanistan.

Per inciso, secondo il documento, il ministro della Difesa Wallace sarebbe preoccupato del fatto che nella gestione dell’OCCAR, i cui sei membri sono Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Belgio e Spagna, non dovrebbe intromettersi la Commissione Europea, trattandosi di un organo strategico su cui non dovrebbe influire l’uscita di Londra dall’Unione Europea.

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In particolare, Wallace avrebbe usato espressioni come: “L’OCCAR non deve essere dirottato dall’entrismo (cioè dall’infiltrazione) della Commissione Europea”.

Riguardo all’Afghanistan si rileva come sia opportuno un ritiro nel più breve tempo possibile, pur esaminando la possibilità, o meno, di lasciare nel paese, forse, nuclei di forze speciali. Si rileva comunque: “Ogni presenza britannica che rimanga in Afghanistan sarà vulnerabile ad attacchi da parte di una complessa rete di attori e l’opzione del ritiro completo, rimane.

Nessun britannico è stato ucciso dopo gli accordi del 2020 fra americani e talebani, ma la situazione può cambiare”.

Non mancano valutazioni sull’atteggiamento del presidente USA Biden nei confronti della Cina e più in generale della strategia nella regione Indo-Pacifico, laddove si rimarca che “c’è ancora molta continuità con la precedente amministrazione”.

In sostanza gli alti comandi britannici approvano la prosecuzione sotto Biden del pugno duro con la Cina, dal punto di vista aeronavale, già esercitato da Trump e la prova concreta è appunto la meta finale della flottiglia della Queen Elizabeth in Estremo Oriente.

 

Gli agenti sbadati dell’intelligence?

Considerato che molte parti del plico erano, a quanto si dice, addirittura vergate con la scritta “Secret UK Eyes Only” e indirizzate alla segreteria del ministro della Difesa Wallace, ci si chiede come sia stato possibile una simile “fuga” di informazioni. E’ davvero da credere che un funzionario della Difesa abbia semplicemente smarrito, per pura distrazione, il fascicolo a una fermata di autobus?

A detta del governo di Londra, il ministero doveva già sapere fin dal 22 giugno della perdita dei documenti, se è vero che il funzionario stesso l’ha segnalato. Per diversi giorni, mentre si consumava l’episodio dell’HMS Defender, nessuno ha rivelato nulla, finchè lo scoop della BBC, imboccata da un “privato cittadino anonimo” che avrebbe trovato il plico, ha portato l’incidente sotto gli occhi del pubblico.

Non è da escludere a priori l’ipotesi che l’ipotesi del funzionario sbadato possa essere una sorta di toppa per mascherare la “caccia all’infiltrato” che magari sta scuotendo, nel più rigoroso segreto, la Difesa inglese. Ma, se così fosse, perchè mai una spia, indipendentemente dalla sua nazionalità, avrebbe dovuto abbandonare deliberatamente un documento dietro una fermata di autobus?

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Nella storia dello spionaggio, fin dagli anni della Guerra Fredda, è stata molto praticata, e probabilmente lo è ancora, la cosiddetta “Dead Letter Box”, letteralmente “cassetta per lettere morta”, da intendersi come un luogo concordato in cui nascondere documenti o materiale che poi verranno ritirati da un complice.

Per esempio, verso il 1960 l’agente del KGB Konon Molodij, infiltratosi in Inghilterra sotto falso nome Gordon Lonsdale, utilizzava il serbatoio dello sciacquone del gabinetto del cinema “Classic” di Baker Street, a Londra, come “cassetta postale” in cui far depositare alle sue talpe Harry Houghton ed Ethel Gee foto, disegni e microfilm dei sottomarini britannici e dei loro sonar e siluri, sviluppati dall’azienda Underwater Weapons di Portland presso cui lavoravano i due traditori.

Il materiale veniva avvolto in un profilattico ben chiuso, per proteggerlo dall’acqua, e lasciato nello sciacquone del cinema, dove attendeva che, a giorni stabiliti, Molodij/Lonsdale passasse a ritirarlo.

In tempi più recenti, il 18 febbraio 2001 una delle più celebri talpe dei russi in America, l’agente FBI Robert Hanssen, che passava informazioni al nuovo SVR erede del ramo estero del KGB, venne arrestato dai suoi colleghi presso il Foxstone Park in Virginia, dove si era appena recato a lasciare una busta di plastica contenente sette documenti cartacei e un dischetto informatico nella Dead Box Letter concordata con i russi, ovvero la trave arrugginita di un ponticello sopra il torrente Wolftrap che attraversa il parco. Già sospettato e pedinato, Hanssen abbandonò la busta sotto il ponticello e venne bloccato dall’FBI pochi minuti dopo, quando aveva appena lasciato una striscia di nastro adesivo bianco sulla cancellata del parco come segnale agli agenti SVR che il materiale era sul posto.

Questi sono solo due esempi di una pratica semplice ed efficace probabilmente diffusa ancora oggi e nel prevedibile futuro. Allo stesso modo, ma siamo nel campo delle congetture, si potrebbe pensare che il documento ritrovato il 22 giugno 2021 sia stato lasciato alla fermata dell’autobus da una talpa al soldo di servizi segreti stranieri, sebbene una fermata di autobus sia forse un po’ troppo trafficata per essere una vera Dead Box Letter.

Ma è un fatto che, finora, non sono state divulgate la località precisa né le caratteristiche del luogo, si è solo detto “una fermata bus nel Kent”. Può darsi che si sia comunque trattato di un luogo mediamente poco frequentato o con caratteristiche come muretti, siepi o altro che poteva facilitare un occultamento. A quel punto sarebbe bastato anche solo un disguido nell’arrivo dell’agente “controllore” della talpa per far saltare o ritardare il prelievo del plico abbastanza da favorirne il ritrovamento da parte dell’anonimo cittadino. Sempre che, proprio l’anonimo cittadino che ha recapitato tutto alla BBC non sia stato parte di un piano per far emergere, dal punto di vista di Mosca, la malafede britannica nei casi della Crimea.

D’altronde, episodi sospetti simili si sono già verificati in Gran Bretagna. Sull’onda delle rivelazioni della BBC, il 29 giugno la testata Kent on Line ha intervistato il 73enne Victor Smith, che “negli anni attorno al 1980”, mentre camminava sulla strada A2 fra Pepperhill e Gravesend trovò per caso “due o tre borse che contenevano documenti con dettagli tecnici segreti su navi e sottomarini”.

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Smith chiamò la polizia e a loro consegnò il tutto. Molti anni dopo, il 21 settembre 2004, la Metropolitan Police di Londra avviò un’inchiesta interna dopo che, nei giorni precedenti, un lavoratore pendolare sul treno fra Londra e Gravesend trovò abbandonato sui sedili della sua carrozza un sacchetto che conteneva un CD-ROM su cui era memorizzato un documento riservato di 68 pagine.

Era il piano segreto per l’evacuazione di massa di Londra in caso di grave attacco terroristico, intitolato Operation Sassoon – Metropolitan Police Traffic Plan for the Mass Evacuation of London.

Tutto ciò, certamente, contribuisce a tenere viva in Gran Bretagna la paranoia per le spie, vere o presunte. Del resto, il Regno Unito è già stato scottato, forse per sempre, dalla incredibile avventura dei “magnifici cinque di Cambridge”, i cinque infiltrati britannici eccellenti dello spionaggio sovietico.

Il più famoso fu Kim Philby, reclutato dai sovietici nel 1933 e protagonista di una incredibile carriera incistato nel seno stesso del servizio segreto inglese MI6, finchè, smascherato nel 1963 fuggì a Mosca dove morì nel 1988. Gli altri del cerchio “Cambridge Five”, tutti arrivati ad alti livelli come funzionari di governo, furono, per la cronaca, Guy Burgess, Donald Maclean, Anthony Blunt e John Cairncross, quest’ultimo rivelato al pubblico solo nel 1990. Ci sono quindi tutte le basi per sospettare che dietro l’abbandono di carte top secret a una fermata di autobus ci sia stato molto più che una incredibile dabbenaggine.

 

Un mare affollato

Mentre nell’ombra probabilmente si pongono le basi per nuove scelte future, alla luce del sole sono iniziate dal 28 giugno le manovre “Sea Breeze 2021! che vedono la partecipazione di ben 32 paesi, con 32 unità navali, 40 aerei e 5000 uomini. Fra le nazioni principali, oltre a Stati Uniti, Ucraina, Gran Bretagna e Turchia, spiccano Bulgaria, Georgia, Moldova, Romania, Estonia, Polonia, ma anche Italia, Grecia, vari altri paesi NATO e perfino nazioni che col Mar Nero nulla c’entrano, come Giappone, Senegal, Australia, Marocco, per citarne solo alcune.

Se si considera che la “Sea Breeze del 2020! aveva visto solo 8 paesi, ossia USA, Ucraina, Bulgaria, Georgia, Romania, Spagna e Turchia, possiamo ben parlare di “edizione record”. Le manovre dureranno fino al 10 luglio e il fronte delle flotte alleate si è rafforzato con l’arrivo di nuove unità, come il cacciatorpediniere americano Ross, passato dal Bosforo il 26 giugno.

Il Ross è l’ennesimo cacciatorpediniere classe Arleigh Burke a entrare nel Mar Nero e, come già lo USS Laboon (nella foto sotto) e altre unità gemelle in precedenza è particolarmente nel mirino di Mosca per il suo carico di missili Tomahawk suscettibili di impiego nucleare.

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Del resto i grossi cacciatorpediniere sulle 8000-9000 tonnellate fanno già parte, per quelle acque, della “fascia alta” del naviglio militare straniero per un motivo molto semplice, che la Convenzione di Montreux del 1936, che regola l’accesso dagli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, limita a 15.000 tonnellate il dislocamento complessivo di navi da guerra di paesi non rivieraschi del Mar Nero e vieta il passaggio a sottomarini e a portaerei che non appartengano a paesi rivieraschi.

Gli americani, in sostanza, non potranno comunque mai inviare in quel bacino unità grandi come una portaerei classe Nimitz o un sottomarino da attacco o SLBM. Il 28 giugno il Ross è arrivato alla base navale ucraina di Odessa, dove ancora stazionava qualche giorno dopo, e Washington ha così potuto fugare il 30 giugno voci di una imminente crociera del cacciatorpediniere diretta ancora verso le coste della Crimea.

I russi hanno da giorni intensificato la sorveglianza un po’ su tutta la flotta combinata NATO-associati e il 30 giugno la ministra della Difesa olandese Ank Bijleveld-Schouten ha rivelato che la fregata HMNLS Evertsen è stata sorvolata ripetutamente da aerei da combattimento russi già il 24 giugno, il giorno successivo all’incidente dell’HMS Defender.

Nella fattispecie si sarebbe trattato di un Sukhoi Su-24M e di un Sukhoi Su-30, che sono intervenuti, secondo i russi, per impedire all’ HMNLS Evertsen (nella foto sotto mentre attraversa il Bosforo), che stava navigando in acque neutrali a sudest della Crimea, di dirigersi verso Nord, verso lo stretto di Kerch chiuso fra due promontori russi, permettendo a Mosca di bloccare completamente l’accesso al Mar D’Azov.

La fregata HMNLS Evertsen e il cacciatorpediniere HMS Defender hanno lasciato il Mar Nero a inizio luglio per ricongiungersi con il Carrier Strike Group britannico guidato dalla portaerei HMS Queen Elizabeth.

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La ministra olandese Bijleveld-Schouten ha criticato la manovra degli aerei russi sostenendo che “la Evertsen ha tutto il diritto di navigare la’, non c’è alcuna giustificazione per questo tipo di atto aggressivo, che accresce senza necessità le possibilità di incidenti”.

Le ha però ribattuto il 1° luglio la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: “Considerato che l’incidente con la nave olandese è accaduto il giorno successivo a quello con l’unità britannica, non posso mancare di notare che l’unità olandese ha agito in modo coordinato con la NATO e con l’unità britannica, il che ci fa concludere che anche le manovre pericolose della nave olandese sono state una deliberata provocazione”.

La Zakharova ha inoltre sostenuto che “le esercitazioni sono chiaramente anti-russe e uno schieramento di tale portata vicino ai nostri confini evoca da parte nostra una reazione, Washington e i suoi alleati stanno trasformando il Mar Nero da area di cooperazione a zona di stallo militare”.

Nel frattempo il portavoce militare della Flotta Russa del Mar Nero, capitano Alexei Rulyov, ha annunciato che le batterie antiaeree missilistiche di sistemi S-400 stanziate in Crimea sono state preparate all’azione dopo un addestramento per calibrare la captazione dei bersagli e il controllo di fuoco, grazie a esercitazioni congiunte con le squadriglie aeree.

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Ha spiegato: “Gli equipaggi di aerei ed elicotteri della Flotta del Mar Nero e le formazioni d’aviazione del Distretto Militare Meridionale si sono allenati insieme ai battaglioni di missili antiaerei S-400 e a unità di semoventi antiaerei Pantsir in un’esercitazione di prontezza operativa delle difese della Crimea”. In aria sono stati utilizzati bombardieri Sukhoi Su-24, caccia Su-27 e Su-30 ed elicotteri Mil Mi-8 e Kamov Ka-27.

Le manovre a guida americana, così, proseguono in un’area sempre più critica, come testimonia anche l’oscuro fatto del documento segreto britannico, a indicare retroscena ignoti.

Dal 1° luglio, inoltre, è arrivata nella zona anche una nave italiana, che sancisce la partecipazione del nostro paese alla “Sea Breeze 2021”. Si tratta della fregata Virginio Fasan (nella foto sotto), una unità classe Bergamini che è stata la prima nave di quel tipo ad essere adattata nello specifico alla lotta antisommergibile. Varata nel 2012 alla Fincantieri di Riva Trigoso (Genova) ed entrata in servizio dal 2013, la Fasan è lunga 145 metri e disloca 6900 tonnellate.

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Armata con missili antisommergibile Milas e antinave Teseo, la fregata Fasan è al comando dello Standing NATO Maritime Group 2 (SNMG2) e il Ministero della Difesa di Mosca l’ha citata esplicitamente il 1° luglio, dichiarando che “verrà tenuta sotto stretta sorveglianza”.

Del resto, in questa lotta senza quartiere per conservare una residua fascia di sicurezza nell’Europa Orientale, di fronte a una NATO che ha continuato a espandersi verso Est fino ormai a toccare i confini russi, il Cremlino non può che irrigidire la sua posizione, specie se verrà messo con le spalle al muro.

Foto: NATO, US Navy, Boeing,, Royal Navy, Ministero della Difesa Russo, Marina Militare Italiana e BBC

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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