F-16V o Sukhoi? Erdogan al bivio tra NATO e Russia

 

 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato il 21 ottobre che continuano le trattative con Washington per risolvere i problemi relativi al programma per la produzione di caccia F-35 da cui la Turchia è stata esclusa nel 2019 dopo aver acquistato il sistema missilistico di difesa aerea a lungo raggio S-400 (nella foto sotto) in base a un contratto del 2017.

“In un modo o nell’altro ci prenderemo i nostri 1.4 miliardi di dollari” ha detto il presidente turco, come riporta l’agenzia Anadolu, riferendosi alla cifra già pagata dalla Turchia per un programma di acquisizione previsto in 100 aerei da combattimento F-35°.

Erdogan ha affermato di volere parlare della questione direttamente con il presidente americano Joe Biden in occasione del G20 che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre.

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Recentemente Ankara ha chiesto a Washington di poter acquistare 40 caccia F-16 nuovi (probabilmente Block 70/72 o F-16V Viper, standard a cui verranno aggiornati 80 F-16 delle forze aeree greche che riceveranno anche 20 F-35A) ed altro equipaggiamento militare e il capo di Stato turco aveva menzionato la cifra già’ versata per gli F-35 come modalità di pagamento. Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere nei giorni scorsi che gli Stati Uniti non hanno presentato alcuna offerta finanziaria riguardo alla richiesta turca di acquistare gli F-16.

Erdogan il 17 ottobre aveva reso noto che la proposta di acquisire 40 nuovi F-16 per compensare la mancata consegna degli F-35 era giunta direttamente da Washington.

Parlando con i giornalisti prima della sua partenza per una missione in Africa, il presidente turco aveva detto che “c’è stato un pagamento di 1,4 miliardi di dollari che abbiamo fatto per gli F35 e gli Usa hanno avanzato questa proposta e noi abbiamo detto che faremo tutti i passi necessari per garantire le necessità di difesa del nostro Paese. Stiamo lavorando per sviluppare la nostra flotta aerea con l’ammodernamento degli F16 in servizio e l’acquisto di altri F16”.

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L’agenzia di stampa Reuters ha reso noto il 7 ottobre che Ankara ha presentato una richiesta agli Stati Uniti per l’acquisto di 40 caccia Lockheed Martin F-16 e circa 80 kit di aggiornamento per ammodernare una parte degli F-16C in servizio.

L’Aeronautica Turca schiera 245 F-16C/D Block 30/40/50 e Block 50 Plus prodotti su licenza dei quali un’ottantina biposto D impiegati per la conversione operativa dei piloti. L’ammodernamento della linea dei velivoli da combattimento rappresenta una precisa priorità per Ankara che deve far fronte al potenziamento dell’aeronautica dei rivali greci che tra pochi anni disporrà di velivoli avanzati quali F-16V, Rafale e F-35.

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Dopo l’esclusione dal Programma F-35, la Turchia non ha fatto marcia indietro sull’acquisto degli S-400 e ha rilanciato la cooperazione militare con Mosca, ribadita durante l’incontro tra Erdogan e Vladimir Putin il 30 settembre scorso in cui è emersa la volontà turca di acquisire ulteriori batterie del sistema antiaereo e antimissile russo e persino aerei da combattimento se non andasse in porto la fornitura di nuovi F-16 statunitensi.

Il 18 ottobre l’agenzia russa TASS ha reso noto che la Turchia è pronta a prendere in considerazione l’acquisto di caccia Sukhoi Su-35 e Su-57 di fabbricazione russa, come annunciato da Ismail Demir, a capo dell’industria della difesa turca e funzionario sottoposto a sanzioni dagli USA in seguito all’avvio del programma S-400 con Mosca.

“Se gli Stati Uniti non approvano un accordo sugli F-16 (nella foto sotto) dopo aver negato la fornitura degli F-35, la Turchia non rimarrà senza alternative. La questione dei Su-35 (nella foto sopra) e Su-57 potrebbe emergere di nuovo in qualsiasi momento”, ha detto Demir al canale televisivo turco NTV ricordando che già in passato Ankara aveva ammonito gli Stati Uniti ventilando l’ipotesi di affiancare agli S-400 anche i più moderni aerei da combattimento Sukhoi incentrando così l’intera difesa aerea nazionale su sistemi d’arma russi. Iniziativa che di fatto porrebbe la Turchia tecnicamente fuori dal sistema di difesa aerea comune della NATO.

Erdogan sembra quindi voler scommettere sulla convinzione che gli USA cederanno alle sue richieste per impedire che “l’abbraccio” con Mosca si consolidi almeno in termini di forniture militari, minando definitivamente il ruolo di Ankara come bastione sud orientale della NATO. Un ruolo di fatto già compromesso dal ruolo di potenza multiregionale sempre più autonoma della Turchia, protesa a ingigantire la sua influenza in diverse aree, dal Caucaso all’Asia Orientale, dal Golfo Persico Persico all’Africa.

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Mosca, pur confrontandosi con la Turchia in diversi scenari in cui le due nazioni hanno interessi divergenti se non contrapposti, ha tutto l’interesse a mantenere una relazione strategica speciale con Ankara, utile a sottrarre spazio ad altri protagonisti in molte aree di crisi (come in Libia e Siria) e ad alimentare i contrasti tra il governo turco e le nazioni della NATO.

Del resto la fornitura di F-16V sembra destinata a incontrare forti resistenze nel Congresso di Washington, rafforzate ora dalla decisione di Ankara di espellere gli ambasciatori di dieci nazioni, USA e Francia inclusi, dichiarati “persona non grata” per aver chiesto il rilascio di Osman Kavala, il filantropo in carcere dal novembre 2017 senza essere stato condannato.

“Ho ordinato al nostro ministro degli Esteri di dichiarare al più presto questi dieci ambasciatori persona non grata”, ha detto Erdogan nelle dichiarazioni riportate dal giornale Daily Sabah.

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Il 18 ottobre gli ambasciatori di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia e Stati Uniti avevano chiesto con una dichiarazione una “soluzione giusta e rapida” del caso Kavala, accusato di spionaggio e di aver partecipato alle manifestazioni antigovernative del 2013 al Gezi Park di Istanbul. Kavala ha respinto ogni addebito. Il 19 ottobre gli ambasciatori erano stati convocati al ministero degli Esteri di Ankara.

Erdogan, alle prese con una crisi crescente anche nei rapporti con la Francia, grande alleato di Atene nelle dispute greco-turche nell’Egeo e nel Mediterraneo Orientale, deve fare i conti anche con crescenti difficoltà interne, soprattutto finanziarie.

Ieri la lira turca ha fatto segnare un nuovo record negativo rispetto a dollaro ed euro, saliti rispettivamente al cambio record di 9,66 e 11,25. La Banca Centrale ha annunciato un taglio degli interessi di 200 punti percentuali, dal 18% al 16%, iniziativa inattesa dagli operatori finanziari considerato che l’inflazione ha raggiunto il 20%.

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Nonostante i molti fronti aperti sul piano economico, politico e strategico, il 20 ottobre il governo turco ha ottenuto dal Parlamento una mozione per estendere di due anni le missioni militari in Iraq e Siria, incassando il voto favorevole non solo dell’AKP di Erdogan e dei nazionalisti dell’MHP che costituiscono la coalizione di governo ma anche dei principali partiti di opposizione.

Le operazioni rinnovate fino alla fine del 2023 includono quelle contro i separatisti curdi del PKK nel nord dell’Iraq e il presidio dei territori di confine siriani occupati da Jarabulus e Afrin oltre alla presenza militare nella provincia di Idlib dove i turchi di fatto proteggono le milizie jihadiste anti-Assad.

@GianandreaGaian 

Foto: Ministero Difesa Turco, Lockheed Martin, Sukhoi e Anadolu

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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