La crisi del Trattato New START termometro delle tensioni tra USA e Russia

 

 

La guerra russo-ucraina dura ormai da oltre un anno e nonostante la resistenza ucraina sostenuta da un Occidente per ora compatto, Mosca non sembra mostrare segni di cedimento reale. Anzi, rialza la posta sul piano strategico-nucleare con la sospensione del trattato New START, probabile mezzo di pressione diplomatica sugli Stati Uniti perchè riflettano a fondo su quanto sia per essi davvero vitale il sostegno a Kiev.

E un primo importante risultato della mossa di Vladimir Putin è stato quello di spingere il Segretario di stato americano a parlare faccia a faccia, per la prima volta dall’inizio del conflitto, col ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, sebbene per pochi minuti, il 2 marzo 2023, a margine del vertice G20 di Nuova Delhi.

Evento che dimostra che lo scopo del Cremlino è rilanciare un dialogo franco tra e USA-Russia come unica via d’uscita possibile dalla crisi. Il passo russo è però, finora, meno grave di quanto già fatto dagli americani negli anni scorsi, con il loro ritiro unilaterale dai trattati ABM nel 2002, INF nel 2019, e Open Skies nel 2020.

Mosca rivendica con la carta nucleare la parità diplomatica e il diritto a una sua sfera d’influenza, rammentando, anche con le parole di Putin, che il suo arsenale atomico è mediamente più moderno di quello americano.

 

“Vogliono infliggerci una sconfitta strategica ed arrampicarsi sopra le nostre infrastrutture nucleari. Perciò, io sono costretto ad annunciare oggi che la Russia sospende la sua partecipazione al Trattato sulle Armi Offensive Strategiche. Ripeto, non si ritira dal trattato, no, sospende la sua partecipazione.

Ma prima di tornare a discuterne, dobbiamo capire che intenzioni hanno paesi dell’Alleanza Atlantica come Francia e Gran Bretagna e come terremo in conto i loro arsenali strategici, il che rappresenta il potenziale d’attacco combinato dell’alleanza”.

Così il 21 febbraio 2023, nel suo solenne discorso ai parlamentari della Duma e alle massime cariche della Federazione Russa, il presidente Vladimir Putin ha annunciato al mondo la sospensione dell’applicazione del trattato New START da parte russa.

Un modo per lanciare una sorta di “ultimo avvertimento” all’America e ai suoi alleati, anche ventilando che gli arsenali nucleari francese e inglese potrebbero essere conteggiati da Mosca insieme a quelli americani, in quanto deterrente cumulativo della NATO e data l’ormai non più velata ostilità tra la Russia e l’alleanza euroamericana.

Già il 22 febbraio la sospensione del trattato è stata approvata, pro-forma, dalla Duma e dal Consiglio della Federazione. Giovedì 28 febbraio Putin ha infine apposto la sua firma al provvedimento, che ha validità a partire dal quel giorno e riserva al solo capo dello Stato la decisione di un’eventuale retromarcia.

La mossa, fortissimo segnale diplomatico, sta allarmando non poco gli americani e non potrebbe essere altrimenti. Il 2 marzo, a margine del vertice del G20 a Nuova Delhi, in India, è finalmente avvenuto il primo incontro diretto fra il segretario di Stato USA Anthony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

Il colloquio, durato solo 10 minuti, ha toccato sia la guerra in Ucraina sia l’agognata liberazione di Paul Wehlan, l’ex-marine americano arrestato per spionaggio dai russi fin dal 2018.

Ma il tema principale è stato intuibilmente il trattato nucleare sospeso, il solo fattore dirompente che può davvero aver convinto il segretario di Stato americano a parlare con l’omologo russo dopo oltre un anno di guerra. Come ha dichiarato Blinken dopo la conclusione del fugace colloquio: “Ho sollecitato la Russia a invertire la sua irresponsabile decisione e a tornare a osservare il New START, che pone limiti verificabili agli arsenali nucleari degli Stati Uniti e della Federazione Russa. La mutua osservanza è nell’interesse di entrambi i nostri paesi. E’ anche ciò che la gente di tutto il mondo si aspetta da noi in quanto potenze atomiche”.

Agitando il New START come un ultimo avvertimento, quindi, i russi hanno già ottenuto un primo grande risultato, iniziando a far riflettere l’America sull’opportunità di risolvere la gravissima crisi con colloqui diretti, lasciando fuori l’Ucraina e, probabilmente, anche un’Unione Europea che di fatto è sempre al traino di Washington.

Il 6 marzo il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Ned Price, ha confermato quanto agli americani prema un ritorno della Russia all’osservanza del trattato: “Anche prima della sospensione, notavamo che Mosca tecnicamente non osservava il trattato. Così, prima di considerare il potenziale rinnovo del 2026, vogliamo concentrarci sul far ritornare la Russia alla piena osservanza del New START”.

Ma poco dopo, il 9 marzo, si mostrava pessimista il generale Anthony Cotton dell’US Air Force, attuale comandante in capo dell’US Strategic Command (USSTRATCOM) il comando supremo del deterrente nucleare strategico americano, che dal 1992 ha sostituito il vecchio SAC (Strategic Air Command). Ha detto Cotton, parlando davanti alla Commissione Forze Armate del Senato di Washington: “Spero che i russi ritornino sulle loro decisioni, ma la speranza non è un piano”.

D’altronde i russi hanno parlato chiaro più di una volta, rilevando che la sospensione del trattato è legata alla situazione strategica generale, cioè il sostegno USA e NATO all’Ucraina, scenario da cui il New START non può certo essere avulso.

Lo ha rammentato il 10 marzo il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, in un’intervista a RT: “A seguito delle decisioni del presidente Putin, gli americani hanno messo in campo tutti i loro sforzi per persuadere la Russia a cambiare idea e tornare a negoziati per far ricominciare le ispezioni. Ma ciò è impossibile. Il ritorno della Russia all’applicazione del New START è possibile solo se Washington riconsidera il suo atteggiamento verso la Russia”.

Sempre il 10 marzo, nell’ambito del vertice franco-britannico a Parigi, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier inglese Rishi Sunak hanno rinnovato la loro preoccupazione con un comunicato congiunto: “Lamentiamo la decisione russa di sospendere il New START, strumento essenziale per il controllo delle armi nucleari e la stabilità strategica. Sproniamo la Russia a ritornare sulle sue decisioni”.

E poi hanno aggiunto: “Francia e Gran Bretagna richiamano il loro impegno nella Dichiarazione congiunta dei governi delle 5 potenze nucleari sul prevenire la guerra nucleare ed evitare una corsa al riarmo e invitano la Russia a rispettare gli impegni di quella dichiarazione”.

Macron e Sunak si riferivano al cosiddetto Joint Statement of the Leaders of the Five Nuclear-Weapon States on Preventing Nuclear War and Avoiding Arms Races, firmato il 3 gennaio 2022, giusto un mese e mezzo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, dalle cinque potenze nucleari membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ovvero Russia, America, Cina, Gran Bretagna e Francia, allo scopo di fissare per iscritto una sorta di rinuncia a priori della guerra nucleare.

Del resto, gli anglo-francesi si sono sentiti tirati in causa nei giorni precedenti, come vedremo più oltre nell’articolo, quando i russi hanno fatto balenare che i loro arsenali venissero conteggiati insieme a quelli americani, nell’ambito del confronto attuale con la NATO come potenza aggregata.

 

Il Trattato New START

Come ben noto, il New START è il moderno erede della serie di accordi per limitare le armi nucleari strategiche iniziata col SALT 1 del 1972 e via via rivisti. Esso pone a Russia e Stati Uniti un “tetto” di 1550 testate nucleari strategiche (escluse dunque quelle tattiche e/o montate su vettori a breve raggio) e 700 vettori a lungo raggio operativi (elevabili a 800 considerando una riserva di un centinaio di vettori immagazzinati e non operativi), fra missili e aeroplani da bombardamento, per ciascuna delle due potenze, prevedendo anche un massimo di 18 ispezioni reciproche all’anno per verificare il rispetto delle clausole.

Tra le norme accessorie c’è anche il divieto di tenere montate, pronte all’uso, nelle ogive dei missili intercontinentali le testate MIRV, ovvero testate multiple a bersaglio indipendente, salvo alcune deroghe in campo navale considerato che, al momento attuale, ogni missile intercontinentale con base terrestre ICBM e una parte dei missili lanciabili da sottomarino SLBM, dovrebbe imbarcare un singolo ordigno anche se tecnicamente in grado, a seconda del tipo, di portarne da 3 a 8-10, senza contare eventuali “testate-esca”, esternamente indistinguibili da quelle vere, per ingannare le difese antimissile avversarie.

Il New START fu firmato l’8 aprile 2010 a Praga dagli allora presidenti russo e americano Dimitri Medvedev e Barack Obama, entrando in vigore dal 5 febbraio 2011. Aveva durata decennale, prevedendo la possibilità di rinnovi quinquennali.

E proprio nell’imminenza della sua prima scadenza, prevista nel febbraio 2021, gli Stati Uniti avevano posto crescenti problemi, facendo temere ai russi che il trattato fosse lasciato cadere. In particolare, l’amministrazione allora guidata da Donald Trump, aveva cercato per mesi di condizionare il rinnovo del New START a una sua riformulazione che avrebbe dovuto comprendere anche la Cina, trasformandolo così in un “trilaterale”.

All’ovvio diniego di Pechino, si era aggiunta la controproposta russa di conteggiare, in aggiunta alle testate americane, quelle anglo-francesi. Con la nuova amministrazione di Joe Biden si trovò un accordo in extremis il 3 febbraio 2021, due giorni prima della scadenza, assicurando la sopravvivenza quinquennale del trattato almeno fino al 5 febbraio 2026. Questo, almeno in teoria, dato che al prossimo eventuale rinnovo, fra circa tre anni, molta acqua sarà passata sotto i ponti.

 

Trattati stracciati

Il New START da un certo punto di vista era già in parte compromesso fin dal marzo 2020, quando a causa della pandemia Covid-19, che proprio allora stava iniziando a diffondersi in tutto il globo, vennero sospese a tempo indefinito le reciproche ispezioni, mai più riprese.

In seguito, lo scoppio, il 24 febbraio 2022, della guerra russo-ucraina e la crescente tensione Washington-Mosca ha impedito la ripresa concordata delle ispezioni, poiché, comprensibilmente, per la Russia si sarebbe trattato di aprire le porte delle sue basi nucleari a rappresentanti di una potenza rivale, gli USA, che sostiene il suo nemico diretto sul campo di battaglia, cioè l’Ucraina.

Tanto che il ministro degli Esteri Sergei Lavrov non ha mai fatto mistero di considerare il conflitto come una “guerra per procura” della NATO contro la Russia.

Della ripresa delle ispezioni agli arsenali strategici si era comunque riparlato anche dopo l’inizio della cosiddetta “operazione speciale” e ci si era andati vicini programmando nella settimana fra il 29 novembre e il 6 dicembre 2022 un apposito vertice bilaterale al Cairo. Ma alla vigilia del vertice, il 28 novembre, i russi hanno comunicato che avrebbero rinviato sine die il vertice per i motivi di sicurezza sopra esposti. Gioverà al proposito ricordare che il passo russo è assai meno drastico di quelli che gli Stati Uniti hanno già compiuto negli anni scorsi per smantellare tutta una serie di garanzie reciproche con la Russia.

Ovvero, già nel 2002, sotto la presidenza di George Walker Bush, l’uscita unilaterale dell’America dal trattato ABM, che risaliva al 1972 e limitava le difese antimissile delle due superpotenze allo scopo di salvare il principio della deterrenza reciproca, evitando che una delle parti s’illudesse di poter abbattere i missili nemici in arrivo, e quindi di poter attaccare per prima convinta di salvarsi da una ritorsione.

Ciò ha permesso agli USA di aumentare senza alcun limite, come poi anche le altre potenze, i sistemi antimissile, anche strategici, come i missili intercettori GBI (Ground Based Interceptor) di base a Fort Greely, in Alaska, e a Vandenberg, in California, che all’incirca dal 2028 dovrebbero essere affiancati e rimpiazzati dai nuovi missili NGI (Next Generation Interceptor).

In seguito, nel 2019, ancora gli Stati Uniti, ora retti da Donald Trump, si sono ritirati dal trattato INF del 1987 che vietava lo schieramento di missili a medio raggio, di fatto eliminando dall’Europa i pericolosi “euromissili”, troppo vicini alle reciproche frontiere e, dati i tempi di volo ridottissimi, incentivanti il rischio di attacchi a sorpresa.

Mossa che ha alimentato nei russi il timore che missili da crociera a testata nucleare Tomahawk vengano nascosti dagli americani nelle basi (ufficialmente difensive) antimissile di Deveselu, in Romania, e di Redzikowo, in Polonia.

A loro volta, gli americani accusavano i russi di aver già violato l’INF con lo sviluppo del missile da crociera Novator 9M729, che si dice derivato dal missile R-500 sparato dal sistema Iskander-K (Krylatja, “alato”). La NATO lo chiama SSC-X-8 e secondo Washington avrebbe una gittata di 2.500 chilometri mentre Mosca ribatte che non ha un raggio d’azione superiore a 500.

E’ stata poi la volta del trattato Open Skies, un multilaterale fra decine di paesi che garantiva un certo livello di sorveglianza aerea reciproca, da cui, anche in tal caso, gli USA si sono ritirati per primi nel 2020, il che ha spinto la Russia ad uscirne nel 2021 per ritorsione. Per contro, la Russia aveva deciso la sospensione temporanea, nel 2007 dell’applicazione del trattato CFE, che dal 1990 limitava le forze convenzionali schierate in Europa, come reazione all’allargamento della NATO.

Ma la sospensione è divenuta definitiva nel 2015, dopo che già dal 2014 la tensione era altissima a causa della rivolta di piazza Maidan a Kiev e tutte le sue conseguenze dirette: l’inizio della guerriglia nel Donbass, l’annessione russa della Crimea e l’ondata delle prime sanzioni occidentali.

 

Realtà schizofrenica

Sono dunque numerose le motivazioni che lo stesso Putin nel suo discorso del 21 febbraio alla Duma ha ribadito usando anche un’efficace immagine nel definire la situazione “un teatro dell’assurdo”. Si riferiva al fatto che gli USA e, impropriamente, la NATO nonostante non sia parte del trattato, pretendano un’osservanza del New START come se si fosse in tempi normali.

E come se esistesse una specie di realtà a doppio binario, effettivamente schizofrenica, in cui la NATO è contemporaneamente amica e avversaria della Russia. Per cui, ci si affronta, per mezzo delle forze di Kiev in Ucraina ma si pretende di visitare le basi più segrete dell’altro, che in qualche caso sono state anche attaccate dagli ucraini con droni, come ricorderemo fra poco!

La pretesa americana che il New START non debba essere legato alla questione ucraina e che quindi la sospensione russa sia inammissibile, suona come una paradossale rappresentazione della realtà a compartimenti stagni. Ciò non fa certo onore alla scuola diplomatica statunitense, dato che proprio sul “linkage” (il collegamento geopolitico, sia palese sia carsico, fra le varie crisi) giocò l’allora consigliere alla Sicurezza nazionale (poi segretario di Stato) Henry Kissinger (che compirà 100 anni il prossimo 27 maggio!) quando nel 1972 fece ammorbidire l’Unione Sovietica, anche intimorendola con la parallela apertura tra USA e Cina.

Eppure il 2 marzo, sul Bullettin of American Scientists, sono intervenuti due esperti statunitensi di disarmo che erano stati fra i negoziatori del New START nel 2009-2010, Rose Gottemoeller e Marshall L. Brown, commentando: “Noi abbiamo partecipato ai negoziati del New START e non ricordiamo alcuna dichiarazione fatta durante i negoziati o durante i processi di ratifica o nel testo e nel preambolo del New START, che alluda a ogni eventuale attività degli USA in Ucraina. Né il trattato né i suoi processi di negoziazione e ratifica riguardavano alcuna attività non correlata alle armi strategiche offensive, in quanto costituenti una base essenziale delle parti per essere vincolate dal New START. L’assistenza USA all’Ucraina non trasforma radicalmente la gamma degli obblighi ancora da adempiere nel New START. In altre parole, l’assistenza statunitense all’Ucraina non incide, né trasforma radicalmente, gli obblighi del New START quali ispezioni, notifiche e consultazioni”.

Parole forse impeccabili dal punto di vista legislativo ma che sembrano indicare un arretramento, in pragmatismo, rispetto ai tempi di Kissinger.

La portata del sostegno militare americano e occidentale a Kiev, che comprenderebbe un probabile aiuto in termini di intelligence e comunicazioni satellitari utili anche agli attacchi di droni in territorio russo, è tale che soltanto in malafede si potrebbe affermare che gli Stati Uniti non stiano minacciando interessi vitali della Russia, cioè l’influenza e la sicurezza in un territorio storicamente afferente come l’Ucraina, assai più di quanto la Russia non stia facendo con quelli degli Stati Uniti.

Per giunta, sfruttando il suo rapporto di vicinanza con la Cina per spaventare gli Stati Uniti, proprio la Russia sembrerebbe, nell’attuale momento storico, meglio giocare alle triangolazioni di Kissinger, ribaltando la situazione e ponendo gli Stati Uniti quasi nella posizione di accerchiamento virtuale (almeno temuto) in cui si era sentita l’Unione Sovietica 50 anni fa.

Per comprendere il contesto reale, torniamo a quanto diceva Putin nel suo discorso: “Ai primi di febbraio l’Alleanza Nordatlantica ha richiesto alla Russia di ritornare all’osservanza del trattato sulle armi strategiche, inclusa l’ammissione di ispezioni. Ma non saprei nemmeno come definirla. Questo è un teatro dell’assurdo. Sappiamo che l’Occidente è direttamente coinvolto nei tentativi del regime di Kiev di attaccare le nostre basi dell’aviazione strategica. I droni usati allo scopo sono stati equipaggiati e modernizzati con l’assistenza di specialisti NATO. E ora vogliono ispezionare le nostre difese? Nelle moderne condizioni del confronto ciò suona come un nonsenso”.

Il presidente russo si riferiva ad almeno due episodi noti, quando il 5 e il 26 dicembre 2022 droni ucraini Tupolev Tu-141 Strizh, piccoli aviogetti senza equipaggio di origine sovietica con un’autonomia piuttosto ampia, fino a 1.000 chilometri, hanno raggiunto due basi di bombardieri strategici nell’entroterra russo, quella di Engels, presso Saratov, e quella di Dyagilevo, nella zona di Ryazan.

Trasformati in droni-kamikaze, a partire da un’originaria configurazione di ricognitori, gli Strizh hanno danneggiato qualche bombardiere Tupolev Tu-95 parcheggiato e ucciso tre militari russi, in quelli che sono stati in sostanza raid dimostrativi dalla cui organizzazione non sarebbero esclusi gli americani. Soprattutto tenuto conto del fatto che, per controllare tali droni su distanze di centinaia di chilometri, aldilà della curvatura terrestre e del contatto radio in linea diretta, è necessario un appoggio satellitare, che nella fattispecie potrebbe essere lo Starlink o altri similari. Diversamente, il drone, entrato nella “zona cieca” proseguirebbe in modalità automatica, ma con un presumibile decadimento nella precisione degli attacchi.

Di fatto quindi satelliti americani potrebbero realmente aver contribuito a un attacco armato, ancorché di portata simbolica, a basi di bombardieri strategici che rientrano nel novero delle forze nucleari russe.

Qualcosa di inquietante se consideriamo la dottrina nucleare ufficiale della Russia che prevede l’uso di atomiche in vari casi:

  • arrivo di informazioni sul lancio di missili balistici contro la Russia o suoi alleati,
  • uso di armi nucleari o altre di distruzione di massa contro la Russia o suoi alleati,
  • attacco, anche convenzionale, che comprometta le capacità delle forze nucleari e attacco alla Russia con armi convenzionali qualora “l’esistenza stessa dello stato sia a rischio”.

I casi si desumono dall’articolo 19 di un decreto firmato da Putin nel giugno 2020. E se, certamente, danneggiare uno o due Tu-95 (impiegati nel conflitto in atto per lanciare missili da crociera contro obiettivi in Ucraina) sulla pista di Engels con un drone non è sufficiente a far scattare una rappresaglia atomica, la provocazione resta preoccupante.

Ci si può domandare se l’eventuale supporto satellitare americano a queste azioni fosse davvero voluto o no, dati i rischi di escalation. Consideriamo che il miliardario Elon Musk, donatore di Starlink all’Ucraina, ha dichiarato il 9 febbraio 2023 che avrebbe d’ora in poi consentito l’uso soltanto civile dei suoi satelliti agli ucraini per evitare che vengano usati “per guidare i droni di Kiev”. E il direttore dell’azienda spaziale di Musk SpaceX, Gwynn Shotwell, ha spiegato: “Starlink non è stato progettato per diventare un’arma. E’ stato concesso a Kiev solo per scopi civili come le comunicazioni, per i cittadini, gli ospedali, le banche”.

 

La sicurezza di Mosca

Che i raid sulle basi dei Tu-95 (nella foto sotto) siano stati graditi o sgraditi a Washington, comunque, è un fatto che hanno influito sulla percezione russa del rischio a cui sono sottoposte le proprie basi strategiche, rischio che ispezioni di funzionari americani, automaticamente in contatto con la CIA, non potrebbero che far aumentare.

Nuovi episodi hanno inoltre irritato ulteriormente la Russia. Il 28 febbraio droni ucraini hanno tentato di attaccare una raffineria della compagnia Rosneft a Tuapse, sul Mar Nero (nella mappa sotto la rotta del drone) , nella regione di Krasnodar, ma sarebbero stati abbattuti con sistemi di contromisure elettroniche. Lo stesso giorno, un drone ucraino UJ-22 è precipitato a 100 km da Mosca nella boscaglia innevata fuori dal villaggio di Gubastovo, sobborgo di Kolomna.

Le foto dimostrano che il drone s’è sfasciato senza far danni. Non solo! Nelle medesime ore, i russi chiudevano lo spazio aereo su San Pietroburgo, per un raggio di 200 chilometri, secondo media indipendenti come Baza, “per l’avvistamento di un oggetto non identificato che ha spinto l’aviazione a far decollare caccia intercettori”.

Oggetto che sarebbe stato un altro drone. Sono stati fermati i voli sull’aeroporto di Pulkovo, poi “i caccia non avrebbero trovato nulla” e il traffico aereo è ripreso. Il Ministero della Difesa sostiene che si trattava di “esercitazioni di difesa aerea con decollo di caccia per l’addestramento al rilevamento di bersagli”.

Un altro drone è stato abbattuto dai russi a Surazh, al confine con la Bielorussia. L’indomani, 1° marzo, dopo che sono state avvertite esplosioni in Crimea, fra Chernomorsk ed Evpatoria, il Ministero della Difesa russo ha affermato d’aver sventato un attacco di 10 droni ucraini.

Intanto il gruppo bielorusso d’opposizione Bypol guidato da Alexander Azarov, che lotta contro il governo filorusso di Alexander Lukashenko ha rivendicato d’aver danneggiato gravemente, con due droni esplosivi di tipo imprecisato, un aereo da ricognizione radar Beriev A-50 dell’aviazione russa stanziato sulla base bielorussa di Machulishchy, non lontano da Minsk.

Il 2 marzo i russi hanno dichiarato però che “l’aereo è operativo” e in effetti immagini satellitari del Beriev A-50 lo mostrano praticamente integro, salvo quelle che sembrano un paio di bruciacchiature superficiali. Certo è che l’idea di droni che colpiscano in profondità la Russia e che talvolta abbiano nel mirino anche sistemi, come il Beriev A-50, utili anche in caso di guerra nucleare per l’allarme precoce, è inquietante, considerati i dettami della dottrina nucleare russa.

Il 31 gennaio 2023 il Dipartimento di Stato USA accusava la Russia di “non rispettare il trattato rifiutando di consentire ispezioni sul luogo”. E il 3 febbraio si accodava a Washington il Consiglio Atlantico della NATO, con una nota in cui si leggeva: “Constatiamo che la Russia ha fallito nellì adempiere agli obblighi del trattato. Il rifiuto della Russia di tenere una sessione della commissione consultiva bilaterale prevista dal trattato e di facilitare le ispezioni americane sul suo territorio impediscono agli Stati Uniti di esercitare importanti diritti nel trattato e di verificare adeguatamente l’osservanza del trattato da parte della Russia”.

Putin ha ribattuto nel suo discorso: “Facendo tale dichiarazione collettiva, la NATO in realtà ha fatto un passo per diventare una parte del Trattato sulle Armi Strategiche Offensive. Per carità, concordiamo con ciò. Soprattutto, noi crediamo che una simile formulazione del problema sia risaputa, poiché, fatemelo ricordare, la NATO non è un’unica potenza nucleare, gli Stati Uniti, anche la Gran Bretagna e la Francia possiedono arsenali nucleari, che vengono migliorati, sviluppati e anche puntati contro la Russia”.

Il divario numerico è, per la verità, abissale, poiché i francesi hanno circa 290 ordigni fra tattici e strategici e i britannici 225, cioè un totale di circa 500 testate, che se anche fosse aggiunto all’arsenale nucleare americano, stimato in circa 4.000 testate operative, non muterebbe gran che la bilancia dato che la Russia vanterebbe ben 6400 testate nucleari, tra tattiche e strategiche.

Ciò che più preme a Mosca sono i principi delle pari dignità strategica e diplomatica, conquistate fin dai tempi dell’Unione Sovietica e che secondo il Cremlino sono state via via minate dall’euforia occidentale di aver vinto la Guerra Fredda e di poter considerare legittimi solo gli interventi militari guidati dagli Stati Uniti, o effettuati col loro beneplacito, senza considerare anche gli interessi altrui.

Anzi, paradossalmente, negli anni Novanta, proprio quando la Russia del defunto presidente Boris Eltsin era letteralmente prostrata, gli Stati Uniti le avevano di fatto riconosciuto una sfera d’influenza su tutta quella fascia ex-sovietica che i russi chiamano “estero vicino”, allo scopo di favorire la stabilizzazione di uno spazio turbolento.

In quella fascia rientrava anche l’Ucraina, che del resto nel 1996 rinunciò alle armi atomiche ex-sovietiche rimaste sul suo territorio consegnandole alla Russia. In seguito, come sappiamo, l’espansione a Est della NATO e il rafforzamento militare russo negli anni di Putin, processi per molti aspetti alimentatisi a vicenda, hanno fatto cambiare prospettiva negando ai russi una sia pur minima sfera d’influenza e/o di sicurezza sul versante NATO, eccezion fatta per la Bielorussia.

Per capire come la pensano a Mosca, del resto, basterebbe chiedersi quanto sarebbero allarmati gli USA nell’ipotesi in cui i confinanti Canada o Messico passassero sotto la sfera egemonica della Russia, della Cina, o di chissà chi altri.

Per la Russia la questione ucraina è di rilevanza assai più vitale che per gli Stati Uniti o l’Europa Occidentale, perciò si sente costretta ad agitare una volta di più la carta nucleare, il fattore principale che dovrebbe farla considerare una potenza con cui trattare e non una sorta di “ISIS formato gigante” di cui sia auspicabile una sconfitta totale.

Una porta aperta è stata lasciata da Mosca già il 22 febbraio, quando  Mikhail Ulyanov, rappresentante permanente russo alle istituzioni internazionali con sede a Vienna, ha spiegato: “La sospensione del New START è reversibile. La Russia può riconsiderare la sua posizione se faranno altrettanto gli Stati Uniti mostrando volontà politica e sforzi onesti per attuare manovre di de-escalation”.

Non sembra andare in questa direzione l’invio in Europa, il 23 febbraio, di quattro bombardieri strategici americani Boeing B-52H Stratofortress, con capacità nucleare, del 5° Bomb Wing provenienti dalla base di Minot, in North Dakota.

Due dei B-52, peraltro, hanno sorvolato la capitale dell’Estonia, Tallin, il 24 febbraio, nell’anniversario dell’indipendenza estone del 1918, che coincideva anche col primo anniversario del conflitto russo-ucraino. I B-52 sono passati su Tallin a bassissima quota, poche centinaia di metri, venendo osservati e fotografati dalla popolazione come segno di solidità dell’alleanza militare con uno dei paesi del fronte Est della NATO, ma anche come aperta sfida a Mosca, data l’estrema vicinanza ai confini russi.

Il generale dell’US Air Force James Hecker, comandante delle U.S. Air Forces Europe-Air Forces Africa e del Allied Air Command della NATO, ha commentato: “Stati Uniti ed Estonia sono stretti alleati. Rimaniamo costantemente impegnati per la libertà e la sovranità dell’Estonia e di tutti i nostri alleati del Baltico in quanto esercitiamo la deterrenza e la difesa contro ogni minaccia alla nostra sicurezza condivisa”.

Peraltro i B-52 stanziati in Spagna hanno compiuto nei giorni seguenti vari voli di esercitazione in ambito NATO che possono essere letti anche come monito a Mosca in ambito New START, dato che, anche se ufficialmente questi esemplari non imbarcano armi nucleari, possono essere armati rapidamente con missili da crociera a testata nucleare.

Il 9 marzo, come segnalato da Itamilradar, due B-52 provenienti dalla base spagnola di Moron si sono spinti nei cieli italiani per partecipare alle manovre aeronavali Dynamic Manta 2023 proprio mentre nelle acque del Mediterraneo incrociavano due navi russe: la fregata Admiral Kasatanov e la nave appoggio Akademik Pashin.

Itamilradar rilevava il giorno 9 il tracciato di volo del B-52H esemplare reg. 60-0026 – callsign NOBLE41, che ha sorvolato la Sicilia fra Trapani e Palermo, deviando a Nordest e passando sulla Calabria all’altezza di Cosenza. Itamilradar ha accreditato che questo B-52 fosse accompagnato da un altro B-52, non tracciato perché teneva il transponder spento. Più o meno nelle stesse ore, un terzo B-52 è passato a bassa quota sulla base portoghese di Beja, “come segno di solidarietà” all’alleato Portogallo”, come ha scritto su Twitter l’US EUCOM, il Comando americano per l’Europa.

L’indomani, 10 marzo, ancora due B-52 sono stati segnalati circuitare al di sopra della Bulgaria del Sud, dove, giunti sulla verticale di Panagyurishte, hanno deviato a Nordest, poi si sono separati; uno ha sorvolato la Romania, l’altro s’è spinto sulla Slovenia.

Un altro segnale leggibile come risposta americana alla sospensione del trattato nucleare sarebbe il recentissimo invio in Islanda di uno dei cosiddetti “giganti dell’Apocalisse”, ovvero un grande aeroplano posto-comando-volante Boeing E-6B Mercury che il 28 febbraio è atterrato a Keflavik, come annunciato dall’US European Command, che ha specificato: “L’equipaggio ha incontrato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Islanda, Kerrin Patman, e altri leader diplomatici e militari”.

L’E-6B Mercury, derivato dal Boeing 707, può volare per oltre 10 ore col carburante interno e fino a 72 ore consecutive con vari rifornimenti in volo. Assicura le comunicazioni strategiche in caso di guerra nucleare e di distruzione di Washington e dei maggiori comandi militari terrestri. Può trasmettere da alta quota, grazie a link satellitari e frequenze VLF (Very Low Frequency) ed SHF (Super High Frequency) gli ordini di lancio dei missili balistici ai sottomarini SLBM e alle basi ICBM secondo il profilo operativo detto TACAMO (Take Charge And Move Out), volto a far sopravvivere la capacità di comando e controllo USA.

 

Il rischio di “Mirvizzazione”

A un interrogativo su che cosa comporti, nella pratica, la “sospensione” del New START, non è facile rispondere. Se ci si riferisce soprattutto alle ispezioni, in sostanza non cambia nulla, essendo esse interrotte da ormai tre anni. Semmai la “sospensione” sarebbe da intendersi col diniego, temporaneo, di discutere nel breve periodo una loro ripresa.

Se si ipotizza un aumento apprezzabile del numero di testate strategiche russe esistenti, si tratta di un provvedimento che, da un lato, richiede tempi lunghi per la loro produzione, dall’altro mal si concilia con la dichiarata “reversibilità” della decisione del Cremlino, in caso di ripensamenti americani nella loro politica europea.

Produrre più testate non sembra quindi conciliabile con la pretesa russa che questo passo possa essere, almeno inizialmente, inteso come temporaneo, e utilizzato come leva diplomatica.

L’unica misura fisica, oltre al prolungare il divieto delle ispezioni, che i russi potrebbero adottare, o meglio dare a intendere di poter adottare, potrebbe essere la “re-Mirvizzazione” dei vettori. Ovvero ripescare dai magazzini quella parte di testate strategiche già esistenti per aggiungerle alle testate singole nelle ogive degli ICBM ed SLBM.

Tecnicamente, ripristinare i missili nucleari in modalità a testate multiple indipendenti, in modo che ogni singolo missile possa incenerire più obiettivi, potrebbe essere possibile nell’arco di poche settimane o mesi, computando tempi realistici di prelevamento dagli arsenali, trasporto, montaggio nelle ogive e riprogrammazione balistica del missile e delle sue testate.

E altrettanto velocemente potrebbe essere reversibile. D’altronde è anche intuibile che i russi, così come gli americani, abbiano già pronti piani segreti con procedure “preconfezionate” che consentano di riarmare i vettori con testate multiple in tempi abbastanza rapidi in caso di emergenza.

Un’interessante, quanto inquietante, analisi pubblicata dalla Federation of American Scientists (FAS) già il 7 febbraio 2023 a firma di Matt Korda e Hans Kristensen accredita che “in caso di collasso del controllo sulle armi, gli arsenali strategici di USA e Russia possano raddoppiare”.

I due esperti hanno riassunto con efficacia le possibilità di Mirvizzazione da parte degli USA e della Russia. A riguardo degli Stati Uniti hanno spiegato: “Anche se tutti i 400 ICBM americani portano correntemente una singola testata, metà di essi utilizza il veicolo di rientro Mk.21A capace di 3 testate. In più gli Stati Uniti hanno 50 silos addizionali che possono essere ricaricati con missili, se necessario. Con queste potenziali aggiunte, la forza ICBM americana potrebbe più che raddoppiare, da 400 a 950 testate. Gli USA possono anche sovraccaricare ognuno degli SLBM Trident con piena capacità di 8 testate, piuttosto che la media corrente di 4-5.

Contando il numero dei sottomarini che sono in manutenzione a ogni dato momento, gli USA possono raddoppiare le testate degli SLBM a circa 1920. Possono riattivare i 4 tubi di lancio per sottomarino disattivati per i limiti del New START, aggiungendo 56 missili e 448 testate. Quest’ultima possibilità è remota perché difficilmente sceglierebbero di riattivare i 4 tubi, mentre è imminente l’arrivo dei sottomarini della nuova classe Columbia. Queste azioni richiederebbero mesi, data la complessità di caricare le testate sugli ICBM. I sottomarini balistici dovrebbero inoltre rientrare nei porti a turnazione per ricevere le testate addizionali.

Dispiegare testate aggiuntive nelle basi dei bombardieri sarebbe invece rapido e gli Stati Uniti potrebbero imbarcare quasi 700 fra missili da crociera e bombe sui bombardieri B-52 e B-2”.

Riguardo invece alla possibile Mirvizzazione russa: “Molti degli ICBM russi esistenti sono pensati per essere sotto-caricati con un minor numero di testate rispetto alle loro massime capacità per restare nei limiti del New START. Senza i limiti del trattato, la forza russa di ICBM crescerebbe potenzialmente da 834 a 1197 testate. Le testate sugli SLBM dei sottomarini russi sono pensate per restare nei limiti. Senza il trattato il numero di testate dispiegate salirebbe dalle stimate 640 a circa 832 anche ipotizzando un piccolo numero di sottomarini in manutenzione.

Come nel caso USA, i bombardieri russi possono imbarcare velocemente con centinaia di armi nucleari. Il numero è incerto ma considerando circa 50 bombardieri operativi le testate potrebbero essere incrementate a quasi 600”. Le conclusioni di Korda e Kristensen sono quindi: “Se entrambe le nazioni caricassero i vettori col massimo numero di testate possibile, entrambi gli arsenali approssimativamente raddoppierebbero.

Gli Stati Uniti avrebbero più testate strategiche dispiegabili, ma la Russia manterrebbe un più vasto arsenale complessivo di armi nucleari, dati i suoi stock di armi non-strategiche non contemplate dal trattato”.

Ciò non significa che sia nell’interesse dei russi farlo davvero o dichiararlo. Basta lasciare la controparte nell’incertezza per sperare di ottenere effetti diplomatici, per esempio nella maggiore disponibilità al dialogo abbinata a pressioni sull’Ucraina affinché accetti la linea del fronte come nuovo confine. Le dichiarazioni fatte dal presidente ucraino Volodymir Zelensky ancora il 27 febbraio, che indicano la volontà di riconquistare anche la Crimea, annessa dai russi fin dal 2014, allontanano la possibilità di un dialogo diretto Mosca-Kiev e rafforzano, per contro, l’ipotesi che vede come soluzione più plausibile per il conflitto una sorta di diktat americano agli ucraini, preceduto da colloqui russo-americani in cui si concordino gli accorgimenti del caso per cercare di salvare la faccia di tutti.

Le parole di Putin e della sua squadra di governo, non ultimo il vicecapo della sicurezza nazionale ed ex-presidente Medvedev, che presentano la lotta in corso come vitale per la sopravvivenza stessa della Russia costituirebbero il necessario corollario situazionale per spingere gli americani ad ammorbidirsi in vista di un compromesso.

E in tale contesto, far velatamente intendere che si potrebbero perfino montare le testate multiple MIRV, ma senza dirlo apertamente, instillerebbe nella controparte quell’inquietudine necessaria a favorire una de-escalation e una trattativa che riconosca esigenze di entrambe le parti e non si concretizzi in una pretesa di resa o disfatta.

In effetti, il 27 febbraio, segnali apparentemente concilianti sono venuti da Washington, per bocca di un alto funzionario del Dipartimento di Stato, la vicesegretaria dell’Ufficio Controllo Armi, Mallory Stewart, secondo cui: “La sospensione russa del New START non è ancora effettiva, riceviamo da Mosca ancora notifiche regolari, anche se pensiamo che cesseranno. Stiamo cercando di capire cos’altro potrebbe essere compreso in questa sospensione”.

Teme anche la Stewart che vengano rispolverati i sistemi MIRV? Ma ha anche dichiarato che il dialogo è possibile in qualsiasi momento: “E’ nel loro interesse e nel nostro interesse, oltre che nell’interesse della sicurezza globale, continuare ad avere colloqui. Ci incontreremo con loro, abbiamo bisogno di incontrarci con loro. E’ qualcosa che entrambi i paesi hanno bisogno per continuare a focalizzarsi sulla stabilità internazionale e sulla riduzione del rischio”.

Ha però aggiunto: “Il nostro supporto all’Ucraina non sarà limitato dalla loro decisione sul New START”. Dal canto suo, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, parlando il 2 marzo da Ginevra, dove partecipava a una conferenza sul disarmo, ha sostenuto che “la Russia continuerà ad aderire alle restrizioni quantitative del New START. Ma l’escalation è stata innescata dagli Stati Uniti sondando la sicurezza delle nostre basi nucleari tramite l’aiuto a Kiev nel condurre attacchi armati contro di esse”.

Se per “limiti quantitativi” si intende il numero delle testate, come ricordavamo poco sopra, non c’è da stupirsi che i russi non intendano aumentarle, sicuramente non in un breve periodo. Ma resta sempre il dubbio circa la possibilità, anche ipotetica, che le testate vengano imbarcate sui vettori in modalità multipla. Un aspetto su cui i russi sembrano essere rimasti volutamente vaghi per generare a Washington quel livello di insicurezza necessario a far capire l’urgenza di colloqui diretti.

 

Plutonio per le bombe del Dragone

In tutto questo, come un “convitato di pietra” aleggia sempre il mistero dell’arsenale nucleare della Cina, stimato in forte crescita, ben oltre la forbice compresa fra 290 e 350 testate giudicata attendibile dalla maggior parte degli esperti.

La crescita degli arsenali nucleari cinesi dovrebbe molto all’aiuto della Russia, secondo quanto sostenuto l’8 marzo dal sottosegretario alla Difesa per le politiche spaziali John Plumb, che alla Sottocommissione della Camera per le Forze Strategiche ha denunciato la consegna di uranio arricchito alla Cina destinato ai reattori autofertilizzanti necessari per produrre plutonio “bombabile”, alias “weapon-grade”.

Secondo Plumb: “E’ inquietante vedere Russia e Cina che collaborano in questo campo. Si può discutere su molti punti, ma è un fatto che reattori autofertilizzanti significano plutonio e il plutonio è per le armi. Così, penso che il Dipartimento alla Difesa sia preoccupato. E che ciò collimi con i nostri timori sull’espansione delle forze nucleari della Cina, poiché hai bisogno di più plutonio, per avere più bombe”.

Il problema della disponibilità di plutonio per armamenti da parte della Cina è centrale, poiché negli ultimi anni si sono susseguite svariate stime sulle quantità di plutonio realmente stoccate da Pechino, che, a seconda delle teorie, consentirebbero nei prossimi anni un’espansione dell’arsenale nucleare cinese da 450-600 a 1000-1500, oppure nel caso più estremo, e anche più improbabile, fino a 3000 testate.

Perciò le forniture russe di uranio per i reattori cinesi in grado di produrre plutonio, oltre alla generale collaborazione dell’agenzia atomica russa Rosatom con la Cina, hanno valore come ulteriore, velata, minaccia di Mosca verso Washington affinchè gli Stati Uniti, che i russi sanno essere, in fondo, ben più spaventati dai cinesi, accettino un modus vivendi in Europa pur di evitare crisi su due fronti.

Ovvero, come già ricordavamo più sopra, sembrerebbero attualmente i russi più “eredi” di Kissinger che gli stessi americani nella triangolazione dissuasiva, anche se poi, ovviamente, un vero giudizio finale dipenderà dall’effettivo esito, ancora di là da venire, di questa loro politica.

 

L’ombra dei test nucleari

La partita è ancora tutta da giocare, ma certamente la crisi si intensifica proprio mentre, fra Russia e USA, è la seconda a essere colta a metà del guado di una modernizzazione dell’arsenale nucleare ancora agli inizi, che i russi portano avanti da almeno una dozzina d’anni.

Putin stesso ha sbandierato che “Il livello nell’equipaggiare il deterrente nucleare russo con i più recenti sistemi è superiore al 91 %, è del 91,3%”.

Si è fatto un gran parlare sui mass media del fatto che il presidente russo abbia minacciato di riprendere test reali di esplosioni nucleari, che i russi non compiono fin dai tempi sovietici. Ma riportando esattamente le sue parole, si nota che egli lo condiziona al fatto che, secondo Mosca, gli americani, accortisi che il loro arsenale sta invecchiando, potrebbero per primi effettuare esplosioni nucleari di prova, al che la Russia li seguirebbe.

Diceva Putin: “Sappiamo che il periodo di garanzia per la validità in combattimento di certi tipi di armi atomiche degli Stati Uniti sta terminando. Al riguardo, sappiamo con certezza che alcuni politici a Washington stanno già pensando a test reali delle loro armi nucleari, tenendo conto che ne stanno sviluppando di nuova. Esistono informazioni in tal senso. In tale situazione, il Ministero della Difesa russo e l’agenzia atomica Rosatom assicureranno la prontezza delle nostre armi. Non saremo i primi a fare ciò, ma se gli USA condurranno dei test, allora noi li condurremo”.

Sul delicato tema delle esplosioni atomiche sperimentali reali, cioè non simulate al computer, è opportuno fare chiarezza.

La Russia, nonostante la grande importanza da essa assegnata alle armi nucleari, è stata paradossalmente la prima a cessare esplosioni reali, quando ancora era Unione Sovietica.

Risale infatti al 24 ottobre 1990 l’ultimo test nucleare reale dei russi, effettuato in un pozzo scavato a una profondità di 600 metri nell’isola artica della Novaya Zemlia. La potenza dichiarata fu di 70 chilotoni, compatibile con un ordigno di categoria tattica.

Per trovare gli ultimi test russi di ordigni più potenti, di portata pienamente strategica, si risale più indietro. Al 1988 per l’ultimo test di potenza pari a 150 chilotoni, al 1984 per un ordigno superiore a 500 chilotoni e al 1975 per l’ultima esplosione superiore a 1 megatone (pari a 1000 chilotoni).

Gli Stati Uniti condussero il loro ultimo test il 23 settembre 1992, con una piccola esplosione da 5 chilotoni a 1.200 metri di profondità nel deserto del Nevada.

Altri test, programmati per il 1993, vennero annullati. Sempre in Nevada, ospiti degli alleati americani, i britannici avevano provato la loro ultima esplosione nucleare, da 11 chilotoni, il 26 novembre 1991. La Francia proseguì pochi anni in più, con i famosi test del 1995 nell’atollo polinesiano di Mururoa, per cui il presidente Jacques Chirac fu contestato in tutto il mondo, finché l’ultimo esperimento della “Force de Frappe” di Parigi fu condotto il 27 gennaio 1996 con una testata da 46 chilotoni nell’atollo di Fangataufa.

La Cina fece esplodere la sua ultima atomica, da soli 3 chilotoni, il 29 luglio 1996 sotto il deserto di Lop Nor, nella regione del Sinkiang. Dopo di allora, nel settembre 1996, entrò in vigore il trattato CTBT (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty) per la messa al bando delle esplosioni atomiche reali, anche sotterranee, mentre quelle in atmosfera erano già vietate dal 1963.

Ci furono però ancora altri test. Cioè le esplosioni sotterranee che nel 1998 India e Pakistan attuarono in palese rivalità, considerato che Islamabad e Nuova Delhi non hanno mai firmato il CTBT. E quelle della Corea del Nord, ben 6 collaudi nucleari concentrati fra il 2006 e il 2017.

La Russia, firmataria del CTBT dal 1996, lo ha ratificato nel 2000 e, come i paesi occidentali, si è affidata solo alle simulazioni su computer rispettando il divieto di esplosioni reali.

L’ipotesi, non confermata, di un test nucleare russo “pirata” effettuato in segreto il 13 novembre 2014 sopra la Siberia, circolò quando quel giorno fu osservata dalla popolazione locale una misteriosa “palla di fuoco” ad alta quota nei cieli sopra la regione di Ekaterinburg, vicino alla città di Rezh.

A parte il silenzio di Mosca, si pensa si sia trattato di una meteorite esplosa all’ingresso nell’atmosfera terrestre. La progettazione e gli studi sulle testate nucleari russe avvengono nel centro ricerche di Sarov, 400 chilometri a est di Mosca, una “cittadella della scienza” che in epoca sovietica era mascherata sotto la sigla Arzamas-16 e che oggi è nota come VNIIEF, sigla per “Istituto panrusso di ricerche ed esperimenti fisici”, peraltro “gemellato” dal 1993 con Los Alamos, nel Nuovo Messico, cuore del programma atomico americano. Nel VNIIEF lavorerebbero ancor oggi 20.000 persone e, sebbene le informazioni a riguardo siano scarse, il più recente supercomputer vi è stato installato nel 2011, definito “il supercomputer più potente della Russia”.

Era previsto il suo potenziamento “entro il 2020”, ma non si sa se sia avvenuto e se le sanzioni già in atto dal 2014 per l’annessione della Crimea, più quelle del 2022, possano aver interferito col programma.

Per confronto, a Los Alamos gli americani hanno attivato nel 2015 il più moderno supercomputer Trinity, e nel 2018 un altro centro nucleare militare americano, i laboratori Lawrence Livermore della California, hanno attivato il computer Sierra. Pochi mesi fa, il 21 ottobre 2022, è iniziata l’installazione a Los Alamos di Tycho, il primo “blocco” del nuovo megacalcolatore Crossroads, che una volta completo sarà “4 volte più potente di Trinity”.

Nessuna proibizione vige invece per i test dei missili balistici e gli americani sostengono che i russi avrebbero collaudato un ICBM Sarmat il 21 febbraio 2023, proprio durante la visita del presidente Joe Biden in Polonia, ma che “il test sarebbe fallito”.

Così sostengono, senza prove, anonimi ufficiali del Pentagono che lo avrebbero rivelato il giorno dopo alla CNN. Gli americani, dal canto loro, hanno condotto il 30 gennaio 2023 un ulteriore test del missile ipersonico sperimentale HAWC, o Hypersonic Air-breathing Weapon Concept, che utilizza l’aria atmosferica per il suo motore ramjet, o statoreattore.

Sviluppato dalla DARPA come dimostratore tecnologico, è stato sganciato da un bombardiere B-52 sopra il deserto del Nevada, toccando una velocità di oltre 6.100 km/h, cioè Mach 5, una quota di 18.000 metri e una distanza di 560 chilometri.

Il progetto HAWC è stato in realtà già tagliato dal Pentagono, ma si è voluto fare un ultimo esperimento per poter comunque raccogliere dati utili agli altri due programmi di missili ipersonici (ARRW e HACM) che l’USAF sta proseguendo per cercare di colmare il divario con la Russia, che ha già vari ipersonici operativi, tra cui lo Zircon lanciabile da navi e il Kinzhal sganciabile dai caccia Mig-31K, peraltro già usato operativamente anche in attacchi sull’Ucraina.

 

L’orso in vantaggio

Rispetto all’aquila americana, quindi, l’orso russo ha al suo attivo il primato nel disporre dei primi missili ipersonici operativi e anche utilizzati in reali operazioni. Nonchè un più generale vantaggio nel campo delle forze nucleari strategiche, in cui la presidenza Putin, in tandem con Medvedev, ha investito ingenti risorse. Ci si ricorderà che gli ICBM sono in Russia una forza armata indipendente, la RVSN, o Raketnye Vojska Strategičeskogo Naznačenija, ossia “Truppe dei Razzi Strategici da Guerra”.

La RVSN schiera 320 missili intercontinentali, molti dei quali con testate multiple MIRV. Il tipo più numeroso, con almeno 135 esemplari, è l’RS-24 Yars, introdotto nel 2010, con gittata da 12.000 km, lanciabile da autocarri e in grado di trasportare nella sua ogiva da 3 a 6 testate MIRV fino a 500 kilotoni di potenza, oppure fino a 9 da 150 kilotoni.

Su alcuni missili UR-100NUTTH sono state montate le rivoluzionarie testate ipersoniche Avangard, veicoli spaziali i cui dettagli sono segreti. S’ipotizza siano a forma di cuspide, lunghi 5 metri e dotati di razzi di manovra. L’Avangard, sganciato dal vettore, rientra nell’atmosfera alla fantastica velocità di 33.000 km/h eseguendo manovre evasive per schivare le difese antimissile. Si stima abbia a bordo un ordigno di potenza fra 800 kilotoni e 2 megatoni.

Il più recente ICBM russo è l’RS-28 Sarmat, collaudato per la prima volta il 20 aprile 2022. Sparato dal poligono di Plesetsk, nella regione di Arcangelo, ha centrato il perimetro-bersaglio di Kura. Intitolato all’antico popolo dei sarmati, è un missile lungo 35 metri con gittata di 18.000 km. Può essere lanciato solo da silos fisso, ma può portare da 10 a 15 testate da 750 kilotoni.

Anche il Sarmat può in alternativa trasportare 3 esemplari di Avangard. Per giunta, può immettere le sue testate in un’orbita spaziale circolare che le può portare sull’America da ogni direzione, sfruttando la sfericità del pianeta e complicando per gli USA la difesa antimissile.

Anche Marina e Aeronautica russe dispongono di migliaia di testate nucleari. La flotta conta 12 sottomarini per lancio di missili balistici SLBM, senza contare quelli con missili da crociera. L’unità più nuova è lo Knyaz Oleg della classe Borei, operativo dal dicembre 2021 e in grado di lanciare 16 missili Bulava con gittata di 9300 km e fino a 10 testate da 150 kilotoni.

Il 3 novembre 2022, l’ultimo test di un Bulava è stato effettuato dal sottomarino Suvorov, che lo ha lanciato dalle acque del Mar Bianco, sempre verso il bersaglio siberiano di Kura, ennesimo messaggio agli americani.

Passando agli Stati Uniti, il loro pur potente arsenale nucleare è pure in una fase di rinnovo iniziata però assai più tardi che in Russia, pertanto siamo attualmente all’interno di una “finestra” di alcuni anni in cui il Pentagono è più arretrato, tanto che il gap sarà colmato probabilmente attorno al 2030.

Intanto è stato deciso di ritirare dal servizio la bomba termonucleare a caduta libera B83 da 1,2 megatoni, poiché, essendo portata solo da bombardieri strategici, richiede d’inviare i velivoli sull’obiettivo, esponendoli alle difese nemiche.

Per armare i B-52 l’US Air Force punta ancora sul veterano missile da crociera Boeing AGM-86, con portata di 2400 km e una testata W80 di potenza regolabile fra 5 e 150 kilotoni. Verrà però rimpiazzato dal nuovo Raytheon AGM-181, che dotato della medesima testata W80, ha un raggio d’azione ancora segreto ma sembra superiore ai 2500 chiulometri e potrà essere lanciato anche dal nuovo Northrop B-21 Raider, il bombardiere che sostituirà il Northrop B-2 Spirit e che, in sostanza, ne è un derivato modernizzato e fabbricabile in numeri rilevanti.

“Il B-21 sarà la futura spina dorsale della flotta di bombardieri della nostra aviazione”, ha dichiarato il 7 marzo il generale Thomas Bussiere, comandante dell’Air Force Global Strike Command, intervenendo all’AFA Warfare Symposium tenutosi ad Aurora, in Colorado.

Il generale statunitense ha inoltre confermato che “avremo una flotta minima di 100 B-21 Raider, ma i piani a lungo termine dell’USAF prevedono oltre 220 bombardieri”. L’entrata in servizio dei primi B-21 operativi viene collocata grossomodo fra il 2025 e il 2027, salvo intoppi, e la loro vita operativa dovrebbe spingersi fin verso la fine del XXI secolo, fra il 2070 e il 2090.

La forza di missili balistici intercontinentali con base a terra (ICBM) è basata ancora su ben 400 vettori LGM-30G Minuteman III, da rampe fisse in pozzi sotterranei, che sono operativi dal lontano 1970. Il vecchio Minuteman III, con una gittata di 13.000 km, potrebbe portare in teoria tre testate a bersaglio indipendente MIRV, ma per via del New START, imbarca un solo ordigno W78 da 350 kilotoni o W87 da 457 kilotoni.

Sempre revisionati, i Minuteman III sono tenuti in efficienza e provati di tanto in tanto. Col crescere della tensione con la Russia, test molto ravvicinati sono stati compiuti il 16 agosto e 8 settembre 2022, quando due Minuteman III sono stati lanciati nell’Oceano Pacifico dal poligono di Vandenberg, in California.

E’ in progettazione il successore del Minuteman III, l’LGM-35 Sentinel di cui la Northrop-Grumman s’è assicurata per 13,3 miliardi di dollari l’appalto. Il nuovo missile sarà armato con la testata W87 ed entrerà in servizio fra il 2027 e il 2029. Il Sentinel sostituirà il Minuteman in un silo per volta, in modo da mantenere la forza USA di ICBM costantemente sui 400 esemplari, finché gli ultimi Minuteman andranno in pensione verso il 2040.

Per il Sentinel è invece prevista una vita operativa fino al 2075 circa. Per recuperare terreno rispetto alla Russia e per meglio indirizzare i fondi, gli statunitensi hanno deciso di eliminare i missili da crociera nucleare imbarcati su sottomarino, preferendo investire nell’aggiornamento dei missili balistici SLBM lanciabili in immersione Trident II D5, a cui verrà installata la futura testata W93 concepita dagli storici laboratori di Los Alamos.

La US Navy sostituirà inoltre i suoi attuali 18 sottomarini classe Ohio, con almeno 12 unità della futura classe Columbia. Del primo dei nuovi sottomarini, capace di lanciare 16 missili Trident è iniziata la costruzione il 4 giugno 2022 ai cantieri General Dynamics di Groton, in Connecticut, con completamento previsto nel 2030.

Dati questi presupposti, non c’è dubbio che una rinnovata tensione nucleare in un momento in cui le forze atomiche statunitensi sono in momentaneo svantaggio, almeno apparentemente, rispetto a quelle russe, moltiplica l’inquietudine, anche perché tale momento coincide con l’impegno prolungato di una lotta, quella in Ucraina, che è considerata dai russi di portata vitale per il futuro del loro paese, assai più di quanto il destino di Kiev, che per secoli è sempre stata nell’orbita di Mosca, possa esserlo per le nazioni occidentali. Spingere in un angolo un orso dagli artigli affilati va evitato a qualsiasi costo, per evitare che tragici errori di valutazione possano mandare in rovina molto più di quanto la vulgata dei grandi media lasci immaginare.

Foto: US DoD, Ministero Difesa Russo, US State Dept, Ministero Esteri Russo, Wikimedia, Stratrfor, KCNA, DARPA, Rybar e Boeing

 

 

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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