Transaqua, il “Piano Mattei” boicottato da Francia e Ue

 

Troppo “stress ambientale”. Commentano così i ricercatori francesi le eventuali ricadute del progetto italiano volto a salvare l’ormai morente Lago Ciad, nel cuore dell’incandescente Sahel, dove siccità e fame sono da tempo carburante di conflitti e flussi migratori. Non solo. Secondo gli studiosi d’oltralpe la scomparsa del lago sarebbe una sorta di mito, una fake news.

“Devono smettere di dire che il lago Ciad non sta scomparendo”, chiedeva già nel 2012 l’allora Ministro dell’Ambiente Segolene Royal, e il riferimento era al famoso IRD, il French National Research Institute for Development finanziato dal Ministero degli Esteri francese che allora, probabilmente, non immaginava che la sua Françafrique si sarebbe sgretolata pezzo dopo pezzo, dal Mali alla Mauritania, dal Burkina Faso al Niger. Paesi dove la fragilità economica è terreno fertile per instabilità politica, per le campagne di reclutamento di Stato Islamico, al-Qaeda, Boko Haram, e ora, anche per l’avanzata dei military contractors russi.

Oltre a perdere influenza e a stanziare un miliardo di euro all’anno nella fallimentare missione antiterrorismo Barkhane, i francesi devono aver perso di vista anche le reali condizioni del lago che dagli anni ’60 si è ridotto del 90% mentre la popolazione circostante è passata da 5 a 60 milioni, di cui 34 milioni secondo le Nazioni Unite sopravvivono grazie all’assistenza umanitaria.

(Lago Ciad ieri e oggi.  1972 – 2022)

Il bacino del Lago Ciad è endoreico, cioè non ha uno sbocco al mare ove defluisca l’acqua in eccesso, e quindi è estremamente sensibile agli squilibri, di origine naturale e antropica, fra afflussi, evaporazione e consumi. Il cambiamento climatico e l’aumento demografico hanno quindi effetti devastanti

 

Il progetto italiano

L’idea italiana, partorita dagli ingegneri della società Bonifica, ex IRI, nel lontano 1972 e poi sviluppata negli anni ‘80 e che prende il nome di Transaqua, è quella di realizzare un complesso di invasi artificiali collegati fra loro grazie al quale trasferire per gravità l’acqua dal bacino del fiume Congo (e del suo principale affluente, l’Ubangi) al lago Ciad.

Un progetto che oltre a ripristinare la dimensione originale del lago e fermare l’avanzata del deserto, permetterebbe la produzione di corrente idroelettrica, la creazione di un’area di sviluppo agricolo più grande della Lombardia, la realizzazione di una grande via d’acqua interna e di migliorare la navigazione sull’Ubangi.

Lo sviluppo massimo del progetto potrebbe raggiungere i 2400 km di via d’acqua, ma esso potrebbe essere sviluppato per fasi successive, ognuna con ritorni immediati in termini ambientali, irrigui ed energetici e quindi sociali ed economici.

Un vero e proprio volano per i paesi che si affacciano sul bacino come, Nigeria, Ciad, Camerun e Niger, che per coordinare l’utilizzo dell’acqua e di altre risorse, insieme a Repubblica Centroafricana, Sudan, Libia e Algeria, hanno costituito la Commissione per il bacino del lago Ciad (LCBC).

“Transaqua è l’unica opzione perseguibile per ridare vita al lago”, dichiarava LCBC a conclusione della conferenza “Save Lake Chad” organizzata dall’Unesco ad Abuja (Nigeria) nel febbraio 2018. Eppure, per quanto promettente, il progetto italiano è stato sempre osteggiato da francesi e relativi “amici”.

Nonostante l’Europa continui ad esprimere preoccupazione per il Sahel e per il 2023 abbia stanziato 1,7 miliardi di euro in aiuti umanitari, quando l’eurodeputata Cristiana Muscardini già nel 2013 aveva presentato un’interrogazione al Parlamento Europeo per sapere se l’idea di costruire un’infrastruttura come Transaqua fosse mai stata presa in considerazione, il Commissario allo sviluppo Andris Piebalgs si trincerava dietro i soliti “rischi ambientali”. Rischi che però sono solo ipotetici dato che lo studio di fattibilità, step necessario per qualsiasi valutazione tecnica, ambientale ed economico-finanziaria, ad oggi non è ancora stato fatto.

“Quelle francesi sono obiezioni piuttosto curiose, come se in Africa non si debbano fare degli interventi infrastrutturali” commenta l’ex Premier nonché Inviato Speciale ONU per il Sahel Romano Prodi che il progetto l’ha visto nascere quando negli anni ’80 era Presidente dell’IRI. “Qui si tratta di aiutare la natura a recuperare una situazione di equilibrio interno a vantaggio dei popoli africani. E per capire l’importanza di Transaqua basta considerare che il bacino del Lago Ciad copre un ottavo del continente africano”.

Ma le preoccupazioni ambientali non sono gli unici deterrenti. Un report del 2020 finanziato dal Commonwealth britannico e istituzioni governative francesi (Soft PowerDiscourse Coalitions, and the Proposed Inter-basin Water Transfer Between Lake Chad and the Congo River), arriva addirittura ad accusare l’Italia di “mire neo-coloniali”. Secondo lo studio made in Canada, l’obiettivo di Transaqua, collocando la via d’acqua come parte del più ampio sistema di trasporto africano, sarebbe “in linea con i precedenti sogni espansionistici dell’Italia per la regione del Sahel”. Insomma, per l’Italia, un glorioso ritorno alle velleità imperialistiche del passato.

 

Studio di fattibilità: finanziamenti tra continui flop 

Una visione a dir poco paranoica rispetto alle reali intenzioni dell’Italia se si considera che ad oggi non sono stati trovati nemmeno i 3 milioni di euro necessari a realizzare lo studio di fattibilità.

Il governo Gentiloni ci aveva provato dando il via libera ad una prima tranche da 1,5 milioni di euro il 29 febbraio 2018 durante la conferenza Unesco di Abuja. L’altra metà l’avrebbe messa Power China con cui la società Bonifica aveva firmato un accordo di collaborazione su suggerimento di LCBC decisa a inserire il lago Ciad nella Via della Seta. Il colosso industriale cinese infatti ha l’expertise necessaria perché ha realizzato un’opera simile per salvare Pechino dalla desertificazione, il South to North Water Transfer Project che connette il fiume Yangzi con il fiume Huaihe e il Fiume Giallo.

Il 16 ottobre 2018 il Ministero dell’Ambiente italiano firma un Memorandum of Understanding (MoU) con LCBC, passaggio burocratico che avrebbe dovuto portare ad un bando di gara per la realizzazione dello studio di fattibilità insieme, si legge nel documento, alla ricerca di ulteriori finanziamenti da parte di Unione Europea, Banca Mondiale e African Development Bank. Invece, complice forse il cambio di governo, non se ne fa nulla e i finanziamenti finiscono in perenzione.

Nel gennaio 2019 è la volta di Giuseppe Conte che vola in Niger e Ciad deciso a combattere le cause dei flussi migratori. Nella conferenza stampa congiunta con il presidente ciadiano Idriss Déby, il progetto Transaqua torna sul tavolo come esempio concreto di programma di sviluppo per l’Africa. “Se il prosciugamento del lago continua, ci sarà un aumento della miseria, dell’immigrazione e della minaccia terroristica” osserva Conte. Il senatore della Tony Iwobi (Lega) reinserisce il finanziamento nella legge finanziaria ma anche questa volta, in seguito alla caduta del governo, se ne perde ogni traccia.

Costo stimato, molto approssimativamente, 50 miliardi di dollari. Certamente tanti ma non impossibili se si considera che solo gli Stati Uniti si sono impegnati a sostenere l’agenda 2063 dell’Unione Africana con uno stanziamento di 55 miliardi di dollari in tre anni mentre più di un miliardo di dollari sono stati spesi dagli USA solo per basi e presidi militari nell’area, di cui la metà solo in Niger.

 

Solo aiuti umanitari e progetti di breve termine

Chi prova da anni a fare da ponte tra le diverse anime della Commissione per il bacino del Lago Ciad, alle istanze del Congo che in cambio delle acque “cedute” ha sempre alzato la posta in gioco, e i paesi della sponda occidentale, è il Ministro delle Acque della Nigeria Suleiman Adamu che da tempo chiede interventi radicali e soluzioni a lungo termine.

“Purtroppo la Comunità Internazionale sembra volersi focalizzare più sugli interventi umanitari e ambientali di breve o medio termine” commenta con noi Adamu ricordando come anche le promesse del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che si era impegnato con la Nigeria a raccogliere i fondi necessari per realizzare Transaqua ad oggi non si sono concretizzate.

Nessun aiuto è arrivato nemmeno da parte dagli Stati Uniti la cui ambasciatrice presso le Nazioni Unite, Linda Thomas Greenfield, lo scorso 12 ottobre, parlando degli effetti dei cambiamenti climatici in Africa, ha definito la morte del lago Ciad inevitabile.

Uno scenario sconfortante secondo l’analista di politica ed economia africana Lawrence Freeman, vice presidente del comitato scientifico della Commissione del Bacino del Lago Ciad che ricorda come dalla morte di John Kennedy in poi, il concetto di “sviluppo dell’Africa” sia purtroppo scomparso dal vocabolario americano.

Prova ne sia, spiega, che nonostante miliardi di dollari stanziati per combattere il cambiamento climatico nel mondo ad oggi gli Stati Uniti non sono riusciti ad aiutare nessun paese africano a svilupparsi in un’economia industrializzata.

Una certa delusione si respira anche negli uffici di Bonifica, dove l’amministratore delegato Romina Boldrini mi mostra le comunicazioni di anni. Le chiedo se il fatto che l’Italia oggi sembri intenzionata a sfilarsi dalla Via della Seta possa rappresentare un problema ad un eventuale ripresa in mano del progetto. “Si può andare avanti anche senza di loro. Così come senza di noi. L’importante è la volontà di realizzare l’opera ma ad oggi nessuno da parte del governo sembra aver riportato il progetto sul tavolo”.

Curioso dato che a fronte di un’influenza francese avvertita con sempre maggiore insofferenza nell’ Africa sub-sahariana, per l’Italia sembrerebbe essere arrivata l’occasione giusta per rilanciare il progetto e porsi come riferimento europeo alternativo a Parigi nella regione.

“Transaqua potrebbe essere una meravigliosa proposta – conclude Prodi – e l’Italia, che oggi lavora ad un Piano Mattei per l’Africa, potrebbe fare da capofila perché da sola non può farcela.  Occorre una forte azione di sano lobbying, facendo appello all’Europa, alle Nazioni Unite, all’Unione Africana, agli Stati Uniti e anche alla Cina se serve. Occorre la collaborazione di tutti e un cambio di paradigma. E’ ora di finirla con gli approcci separati in Africa, per i quali, è ormai sotto gli occhi di tutti, la Francia sta pagando un prezzo altissimo”.

Foto: Unione Europea, Nazioni Unite, UNESCO, LCBC e World Water Database

 

Francesca RonchinVedi tutti gli articoli

Giornalista RAI (Agorà, Porta a Porta, Report) e La7. Ha scritto per il Corriere.it e Il Fatto Quotidiano. Oggi collabora con Panorama. Negli ultimi anni si è specializzata sul tema dell'immigrazione, approfondendo in particolare le dinamiche legate al flusso migratorio proveniente dal Corno d'Africa e realizzando reportage tra Italia, Macedonia, Polonia, Etiopia, Eritrea e al largo delle coste libiche. Un viaggio sulla nave della ONG sos Méditerranée, per un servizio andato in onda a Report, ha dato spunto al libro "IpocriSea, le verità nascoste dietro i luoghi comuni su immigrazione ONG".

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