Aspides: uno scudo a protezione del cluster marittimo nazionale

 

di  Margherita Opezzi – CESMAR 

Gli Houthi sono una formazione politico religiosa nata alla fine del secolo scorso nello Yemen del nord e nella parte occidentale che prende il nome da uno dei suoi primi esponenti, ucciso dalle forze armate yemenite nel 2004. Di fede musulmano-sciita, dal 2015 combattono una guerra civile per il potere contro i governativi sostenuti da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che ha lasciato un paese in grande povertà e divisioni interne.

Allo scoppio delle ostilità tra palestinesi e Israele gli Houthi decidono di mettersi a fianco dei palestinesi sia mettendo a rischio il traffico mercantile nello stretto di Bab el Mandeb diretto ai porti israeliani, sia lanciando missili contro il territorio di Israele.

Al fine di preservare la libertà di navigazione nell’area di interesse vitale, dopo il benestare del Consiglio dei Ministri, l’informativa al Presidente della Repubblica e l’attenta valutazione da parte delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato in seduta congiunta, il 5 marzo il Parlamento approva la sua partecipazione alla missione dell’Unione Europea Aspides[1] in Mar Rosso e Golfo di Aden, a protezione dei commerci e delle vie di transito marittime, messi in pericolo dagli attacchi provenienti dallo Yemen[2]. È stato un procedimento complesso, che ha comportato, come previsto in questi casi, il coinvolgimento di tutte le cariche dello Stato.

 

Non è stata un’autorizzazione scontata. Le delibere del Governo, relative all’area geografica interessata dall’operazione, agli obiettivi, ai mezzi, al personale e ai costi presunti, erano state approvate già il 26 febbraio, nel rispetto della legge 145 del 2016 relativa alle operazioni internazionali[3]; poi è iniziato il dibattito, che è stato vivo e combattuto ed ha comportato un inevitabile ritardo nell’approvazione[4].

Ciò che è tuttavia importante sottolineare è la concordanza finale di vedute tra i parlamentari della maggioranza e quelli dell’opposizione, che hanno riconosciuto la missione come strettamente connessa alla salvaguardia degli interessi nazionali, oltre che di quelli di molti Stati europei.

La genesi dell’operazione va fatta risalire alla volontà dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea, che, riunitisi l’8 febbraio sulla base della risoluzione 2722 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 gennaio 2024, avevano dato il via libera alla missione, in attesa della conferma su base nazionale. Nella risoluzione delle N.U. si affermano due principi, conformi al diritto internazionale, che rappresentano le fondamenta della missione: deve essere rispettato l’esercizio dei diritti e delle libertà di navigazione da parte delle navi mercantili; gli Stati hanno il diritto di difendere le proprie navi da attacchi eventualmente perpetrati e che minano i diritti citati nel primo principio.

La missione, il cui scopo è difensivo (sono escluse, cioè, azioni offensive nei confronti delle basi terrestri degli Houthi in Yemen), della durata presunta di un anno, è tesa, in particolare, ad assicurare la libertà di navigazione nello stretto di Bab el Mandeb, all’uscita/ingresso del Mar Rosso e quindi importante via di accesso al Canale di Suez. Contemporaneamente alla missione Aspides sono in corso altre due operazioni navali europee nel sotto-teatro operativo indo-persiano: la missione Atalanta, in funzione anti-pirateria[5] e la Agenor/EMASoH (European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz), che garantisce la libertà di navigazione nello stretto di Hormuz[6].

Area di operazioni[7]

 

Non va poi dimenticato che nella stessa regione opera anche un dispositivo aeronavale a guida statunitense che conduce due distinte missioni: una nell’ambito dell’operazione Poseidon Archer[8] (cui partecipano anche forze britanniche), che effettua anche azioni cinetiche[9] sul territorio yemenita controllato dagli Houthi, e una nel contesto dell’operazione Prosperity Guardian, condotta dalla CTF 153 – una delle cinque Combined Task Forces che compongono le Combined Maritime Forces, con sede nel Bahrain[10] – il cui obiettivo è contribuire alla sicurezza marittima nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.

Il Comando operativo dell’operazione Aspides è stato assegnato alla Grecia, in particolare all’ammiraglio Vasileios Gryparis, la cui sede di Comando si trova nella base di Larissa, mentre il Comando tattico in mare viene esercitato dall’ammiraglio italiano Stefano Costantino, che opera a bordo del cacciatorpediniere Caio Duilio, assurto agli onori della cronaca il 2 marzo, quando, già in area di operazioni, ma non ancora integrato nella missione, ha abbattuto per autodifesa un drone yemenita. Il 12 marzo la nave italiana ha ripetuto l’impresa, abbattendo altri due droni[11].

Una decisione così corale da parte della Comunità internazionale nel voler difendere questa importante via di comunicazione marittima potrebbe essere ricondotta all’intendimento di assicurare la garanzia di libero accesso al Canale di Suez sancito dalla Convenzione di Costantinopoli del 1888, estendendo tale garanzia anche all’interno del Mar Rosso e al suo ingresso meridionale. Secondo l’ammiraglio Fabio Caffio, infatti, si potrebbe ipotizzare di considerare, ai fini dell’applicazione della Convenzione sopra citata, il complesso Canale di Suez – Mar Rosso – Stretto di Bab el Mandeb come un unico maritime security complex[12]. D’altra parte, l’importanza del Mar Rosso è evidente quando si guardi al suo ruolo di congiunzione tra Mediterraneo e Oceano Indiano all’interno del Mediterraneo Allargato.

 

Le critiche

Alla consapevolezza e alla concordanza riscontrate a livello politico non corrisponde la stessa armonia a livello popolare o dei vari Centri di studio. Scorrendo i social e ascoltando i giudizi delle persone si rimane perplessi nel constatare la confusione generata dall’annuncio dell’avvio dell’operazione. Tutto questo ci fa capire due cose: la prima è che la politica estera e gli interessi nazionali sono argomenti poco conosciuti e, soprattutto, condizionati da pregiudizi[13]; la seconda è che la comunicazione istituzionale non è riuscita a fare breccia sull’inconsapevolezza diffusa per quanto attiene l’economia del mare e le relative dinamiche geopolitiche.

Critiche anche alcune considerazioni emerse a livello diplomatico. Alcuni commentatori ritengono che vi sia un elevato rischio che la missione non venga percepita dagli Houthi come difensiva, in quanto non esiste una chiara e univoca posizione europea sul conflitto israelo-palestinese[14]. Anche in questo caso Aspides potrebbe essere interpretata come un favore agli Stati Uniti, un inasprimento di un atteggiamento aggressivo che punta a un allargamento del conflitto, piuttosto che a un suo contenimento.

A giustificare questa valutazione vi sono alcune dichiarazioni da parte yemenita, secondo le quali la missione è effettivamente percepita come offensiva e che, quindi, merita di essere contrastata con le armi, in quanto l’Italia si è posta in guerra contro gli Houthi.

Molte delle critiche rivolte alla missione Aspides sono discutibili. Innanzitutto, la missione non è nell’interesse degli Stati europei del nord, in quanto la riduzione del traffico nel Mar Rosso non penalizza affatto la loro portualità, anzi dà ulteriore slancio a porti come Rotterdam. Le economie del Nord Europa sono tali da essere influenzate in maniera inferiore rispetto a quelle dell’Europa meridionale. Si potrebbe anzi aggiungere come non sia un bel segnale che alcuni Stati europei abbiano scelto di partecipare all’operazione Prosperity Guardian (e non ad Aspides), ma ciò rientra nella realtà delle cose, che vede la difesa delle Nazioni europee più spesso legata alle dinamiche NATO e delle coalizioni, piuttosto che all’Unione Europea.

In secondo luogo, la missione Aspides, sotto bandiera europea e sulla base di una risoluzione delle Nazioni Unite, non è certamente stata imposta dagli Stati Uniti, che, spesso, per motivi legati a una maggior libertà di azione, operano anche al di fuori di questa istituzione.

La partecipazione statunitense alle operazioni nel Mar Rosso si collega all’importanza di questo mare per almeno quattro ragioni fondamentali:

  • divide l’Asia dall’Africa, e quindi il suo dominio può rappresentare un limite all’espansionismo cinese e russo nel Continente africano;
  • costeggia la Penisola Arabica, la cui importanza geopolitica appare talmente ovvia da non dover essere spiegata;
  • serve a contenere l’espansione economica cinese visto il suo ruolo come via marittima della Belt and Road Initiative cinese;
  • vi operano diversi attori internazionali in un contesto degradato da pirateria, terrorismo, guerra, insicurezza e difficili condizioni di vita.

Non è quindi casuale che gli Stati Uniti mantengano nell’area 45.000 militari presso la sede della Quinta Flotta (nel Bahrain) e basi militari in molti Paesi[15]. Non va poi dimenticato che gli attacchi degli Houthi sono da ritenersi in funzione anti-israeliana e a sostegno della causa palestinese. Gli USA, come si è visto, sono storicamente vicini a Israele, ed è quindi normale che sostengano l’alleato contro i suoi avversari. A ciò va aggiunto che, da sempre, la US Navy si pone come difensore della libertà di navigazione ovunque esistano realtà, statuali e non, che la mettano in discussione.

Si evidenzia, inoltre, come Aspides si ponga in alternativa alla citata operazione Prosperity Guardian a guida USA (e, ovviamente, come è stato già sottolineato, non abbia alcun legame con l’operazione Poseidon Archer). Si può essere certi che gli Stati Uniti non siano affatto felici di questo e quindi non può essere interesse statunitense favorire Aspides. Tuttavia, onde evitare di enfatizzare la vulnerabilità europea nella sua evidente divisione tra due operazioni navali e ritenendo che tale situazione possa risultare vantaggiosa per gli interessi USA, qualora l’atteggiamento meno aggressivo degli europei possa portare a scelte diplomatiche inclusive, gli Stati Uniti hanno evitato di criticare apertamente l’operazione europea[16].

Inoltre, l’operazione offre a molti Stati della regione – o comunque interessati, come l’India – l’opportunità di esserne parte, in quanto gli obiettivi sono accettabili anche per Paesi non europei e, di massima, non apertamente conflittuali con gli Houthi o l’Iran che li sostiene.

La terza critica riguarda i costi per il mantenimento di Unità navali lontano dalla madrepatria e per il loro sostegno logistico. In questo caso va considerato quanto la nostra economia sia penalizzata dalle tensioni nel Vicino Oriente: attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso transita, infatti, una gran parte delle nostre importazioni ed esportazioni che, in assenza di condizioni di sicurezza accettabili nell’area, dovrebbero essere instradate via Capo di Buona Speranza.

Il problema non è solo l’aumento dei costi dovuto al tragitto più lungo (relativamente a combustibile, assicurazione, noli, ecc.) ma anche il dilatarsi dei tempi, la perdita di opportunità, la riduzione dei traffici nei porti italiani (in particolare, Trieste, Genova e Gioia Tauro). Infatti, “Tra i paesi europei l’Italia è tra i più colpiti. È proprio dalla viabilità nel Mar Rosso e dall’utilizzo del Canale di Suez, infatti, che dipende la centralità del Mediterraneo e di molti dei porti italiani. Seconda potenza industriale in Europa, la nostra penisola realizza il 54% delle proprie esportazioni via mare, di cui il 42,7% transita proprio attraverso il Mar Rosso, il Canale di Suez per poi arrivare nei nostri porti.”[17].

Le aree del territorio yemenita controllate dagli Houthi e colpiti dagli attacchi anglo-americani

Secondo Confartigianato la perdita economica per il nostro Paese, tra novembre 2023 e gennaio 2024, è stata pari a 8,8 miliardi di euro, ossia 95 milioni di euro al giorno, così suddivisi: 35 milioni per mancate esportazioni e 60 milioni per il mancato approvvigionamento di prodotti manufatturieri[18].

Repubblica arriva a ipotizzare che “La posta in gioco, per l’Italia, … sia … di 154 miliardi di euro. A tanto, infatti, ammonta il valore dell’import-export marittimo italiano che transita dal canale di Suez, il 40 per cento del totale. Rendere inagibile un’arteria tanto vitale può mettere in crisi l’intero sistema economico del Paese, se rapidamente non verranno individuate le contromisure. Il problema, per quanto riguarda la merce che si sposta via mare (il 90 per cento del totale), è che l’Italia è soprattutto spettatrice di una catena logistica governata dai grandi vettori marittimi.[19].

E, questo, senza considerare un tema essenziale come le risorse energetiche[20]. Alcune agenzie hanno parlato di sospensione dei traffici lungo il Canale di Suez per le navi che trasportano petrolio e gas naturale liquefatto. Questa evidenza non ha solo effetti sulla globalizzazione economica, ma impatta violentemente sulle esigenze delle persone, sia per i maggiori costi da sopportare, sia per la mancanza o assenza di beni essenziali per la quotidiana sopravvivenza. Va infatti ricordato che il 15% dei traffici marittimi mondiali passano dal Mar Rosso (tra cui il 12% del traffico di petrolio e l’8% del trasporto di gas liquefatto). Infine, qui passa circa il 17% del totale mondiale dei cavi sottomarini, collegando il Mar Mediterraneo con l’Oceano Indiano; e la criticità di tali risorse è testimoniata dal fatto che il recente danneggiamento (taglio?) di alcuni cavi nel Mar Rosso ha avuto conseguenze sul 25% delle comunicazioni tra Europa e Asia[21].

 

Il ruolo della Marina e della Squadra Navale

Da quanto si è detto fino ad ora risulta evidente che le operazioni in mare hanno un’importanza vitale per la sopravvivenza, la sicurezza e lo sviluppo economico del nostro Paese. Troppo spesso si dà per scontato che tutto questo possa essere difeso con facilità, dimenticando che la costruzione di una Forza Navale richiede anni di lavoro e un’attenta programmazione, nonché la capacità di guardare oltre alle esigenze del presente. Soprattutto, al di là di una pur perfetta organizzazione, correlata a chiari obiettivi strategici, ciò che conta è la definizione di una strategia delle risorse (anche chiamata strategia dei mezzi) e di una strategia operativa che siano in linea con le aspettative politiche e con le necessità da affrontare.

Nave Duilio mentre, in porto, effettua manutenzioni al sistema di combattimento. Foto CESMAR

Ma tutto ciò non esce dal cilindro di un mago, è frutto di anni di lavoro e di impegno da parte degli uomini che detengono i posti chiave dell’Istituzione. In una delle sue ricerche il CeSMar ha voluto studiare lo stretto legame tra la politica navale e la politica estera del nostro Paese, evidenziando come, in molte circostanze, le previsioni e gli assetti navali abbiano anticipato quelle che poi sono diventate direttive o obiettivi strategici della politica estera italiana. Guai se non fosse stato così: in caso contrario, infatti, la Marina sarebbe stata inadeguata alle aspettative e alle richieste politiche.

Analizzando la situazione odierna si possono facilmente individuare una serie di elementi importanti che vanno sottolineati:

  • i mezzi in dotazione alla Marina sono risultati efficaci a far fronte alle esigenze, sia per capacità di operare lontano dalle coste italiane, sia per la qualità dei sistemi di combattimento[22]. Va ricordato come ciò sia conseguenza di una perfetta integrazione e di un proficuo scambio di conoscenze tra la Marina e la cantieristica di riferimento (Fincantieri);
  • la qualità del personale indica che la formazione e l’addestramento sono stati curati in maniera attenta. A tal proposito si rammenta che le esercitazioni “Mare Aperto”, effettuate su base semestrale dalla Squadra Navale, si concentrano su scenari molto realistici che rispecchiano le operazioni “sul campo” sostenute un po’ ovunque nei mari del mondo. Tutto questo ha permesso la creazione di equipaggi affiatati e coesi, che hanno imparato a lavorare per tempi assai lunghi lontano dalla madrepatria; allo stesso modo, anche il personale degli staff ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle rotazioni dei Comandi tattici dell’operazione Mediterraneo Sicuro;
  • l’assegnazione del Comando di tre distinte Task Forces (TF) operanti nello stesso quadrante, quali la TF 465 (operazione Atalanta), la TF 466 (operazione Aspides) e la CTF 153 nel contesto delle Combined Maritime Forces, precedentemente citata, ad ammiragli della Marina italiana indica che quest’ultima gode di grande credibilità internazionale, guadagnata in anni di impegno.

 

 Nave Duilio, seguito da alcune fregate classe FREMM – Foto CESMAR

Non va tuttavia dimenticato il ruolo diplomatico, che la Marina svolge con continuità e in cui rientrano anche attività come il Regional Seapower Symposium per le Marine del Mediterraneo e del Mar Nero (in realtà ora esteso a Marine su scala globale), organizzato con cadenza biennale a Venezia. Proprio in tale sede ha preso vita l’iniziativa Virtual-Regional Maritime Traffic Centre (V-RMTC), ossia una rete fra le Marine partecipanti per lo scambio di informazioni non classificate, via internet, relative alle navi mercantili pari o superiori alle 300 tonnellate. Il sistema è stato successivamente integrato con altri sistemi analoghi già esistenti in una rete globale denominata Trans-Regional Maritime Network (T-RMN). Anche in questo caso il ruolo del Comando della Squadra è fondamentale, in quanto proprio la base di Santa Rosa è il luogo dove le informazioni vengono gestite e processate a favore delle Marine partecipanti all’iniziativa;

  • la leadership operativa si è dimostrata credibile e di ciò ne ha tratto vantaggio il Paese e la Marina il cui personale, ovunque operi, merita oggi una stima e un rispetto mai scontati;
  • si registra una sempre maggiore consapevolezza nazionale nei confronti del ruolo degli scambi marittimi, della portualità e nella logistica; ciò comporta una migliore condivisione di intenti tra i diversi attori marittimi (compresi nel cosiddetto cluster marittimo), e, quindi, azioni coordinate ed efficaci.

Oggi – come ieri – le Marine rappresentano il mezzo migliore per raggiungere rapidamente le aree di crisi e operarvi efficacemente, potendo contare su flessibilità di impiego, capacità di adattamento e sostenibilità logistica, a sostegno delle politiche e degli obiettivi strategici nazionali, peraltro in maggioranza legati a tematiche marittime.

Immagini: Marina Militare, CESMAR e Luca Gabella

 

 

[1]   Dal greco ἀσπίς, pronuncia “aspìs“, ossia “scudo”. Il termine “Aspides” ” (ασπίδες) viene erroneamente pronunciato con l’accento tonico sulla A iniziale che ci porta alla parola latina Àspis che significa serpente.

[2]   Nel momento in cui stiamo scrivendo gli attacchi degli Houthi hanno sortito due successi significativi: l’affondamento della portarinfuse Rubymar, di proprietà britannica e bandiera del Belize (2 marzo, dopo essere stata colpita da un missile il 18 febbraio) e il danneggiamento del mercantile True Confidence, di proprietà greca e bandiera delle Barbados, con la morte di tre marittimi (6 marzo). Alessandro Stringa, “Continua la crisi in Mar Rosso: aggiornamenti e prospettive”, IARI, 20 marzo 2024, https://iari.site/2024/03/20/continua-la-crisi-in-mar-rosso-aggiornamenti-e-prospettive.

[3]   Attualmente 46 in corso, più tre nuove tra cui Aspides.

[4]   Inizialmente era sembrato che l’approvazione potesse essere annunciata il 21 febbraio, poi che sarebbe slittata al 26 dello stesso mese.

[5]   Stabilita nel 2008, è attualmente sotto Comando Operativo di ALFLOT (Comando della Flotta spagnola, basato a Rota) e vede la partecipazione di Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Serbia, Spagna e Svezia.

[6]   Stabilita nel 2020, è guidata dalla Francia e vede la partecipazione di Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia e Portogallo.

[7]   https://saxafimedia.com/bab-al-mandeb-gate-tears/.

[8]   Nelle fasi di approvazione nazionale della missione Aspides da parte dei vari Parlamenti europei è stato messo bene in chiaro che non sarebbero state adottate le regole di ingaggio in uso nell’ambito dell’operazione Poseidon Archer.

[9]   Alcuni autori (Alessandro Stringa) hanno parlato di “diplomazia coercitiva”, per non usare un termine più noto al mondo della diplomazia navale quale Gunboat diplomacy. In ambito CeSMar si discute da molto tempo sul ritorno in auge della diplomazia coercitiva, in cui l’uso della forza è fine a sé stesso, senza sfociare in aperta conflittualità.

[10]  Ad aprile il Comando della CTF 153 sarà assegnato all’Italia.

[11]  https://english.alarabiya.net/News/gulf/2024/03/12/Italian-navy-ship-downs-two-drones-in-the-Red-Sea.

[12]  Fabio Caffio, “E se internazionalizzassimo il Mar Rosso? Il commento dell’ammiraglio Caffio”, Formiche.net, 29 gennaio 2024, https://formiche.net/2024/01/internazionalizzare-mar-rosso/.

[13] Cfr.: https://www.mediterraneaninsecurity.it/brevi-amare-riflessioni-del-generale-cuccchi-sul-rapporto-del-nostro-paese-con-la-politica-internazionale-gli-italiani-e-la-politica-internazionale-gen-c-a-giuseppe-cucchi/

[14]  Maria Luisa Fantappie, Nadia Bamoshmoosh, “Una deludente scelta europea”, Affari Internazionali, 11 marzo 2024, https://www.affarinternazionali.it/una-deludente-scelta-europea/.

[15]  Léonie Allard, Cinzia Bianco, Mathieu Droin, “With Operation Aspides, Europe is charting its own course in and around the Red Sea”, Atlantic Council, 7 March 2024, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/with-operation-aspides-europe-is-charting-its-own-course/.

[16]  “Already, the United States is unhappy with Europeans signaling their willingness to proceed differently from Operation Prosperity Guardian. Conversely, some in the Middle East feel that Europeans are contributing to raising military stakes in the region for their own interests“. Ibidem.

[17]  Maria Luisa Fantappie, Nadia Bamoshmoosh, op. cit..

[18]  Andrea Carli, “La crisi del Mar Rosso costa all’Italia 95 milioni al giorno”, Il Sole 24ore, 26 gennaio 2024, https://www.ilsole24ore.com/art/la-crisi-mar-rosso-costa-all-italia-95-milioni-giorno-ecco-norme-agevolare-missione-AF9BaHTC.

[19]  Massimo Minella, “Mar Rosso in crisi, la posta in gioco per l’Italia è di 154 miliardi”, La Repubblica, 4 marzo 2024, https://genova.repubblica.it/cronaca/2024/03/04/news/mar_rosso_in_crisi_la_posta_in_ gioco_per_litalia_e_di_154_miliardi-422245009/.

[20]  AA.VV., “Mar Rosso: crisi innescata?”, ISPIonline, 15 gennaio 2024, https://www.ispionline.it/it/ pubblicazione/mar-rosso-crisi-innescata-160344.

[21]  Léonie Allard, Cinzia Bianco, Mathieu Droin, op. cit..

[22]  Qualche commentatore ritiene, a ragione, che le navi dovrebbero essere maggiormente armate per far fronte alle minacce odierne. Il problema esiste, ma le dotazioni delle Unità navali risultano inevitabilmente frutto di una logica di compromesso fra costi, equipaggi, spazi, esigenze logistiche e tipologie di armamenti imbarcati. Un dilemma di non semplice soluzione, che vede anche le Marine più titolate, come la Royal Navy e la stessa US Navy, in grossa difficoltà.

 

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