Mamma li Russi! Ma i vertici europei temono più gli elettori di Putin

 

Negli ultimi due anni ci siamo sorbiti continue prediche sulla disinformazione di russi, filo-russi e “putiniani” nonostante anche Ucraina, UE, NATO e i governi occidentali ci abbiano “bombardato” di bufale, fake-news e propaganda che, a dispetto dell’intenso fuoco mediatico, non sembrano aver prodotto grandi risultati osservando l’orientamento dell’opinione pubblica europea rispetto al conflitto.

Anche in passato ci siamo occupati di come i media abbiano seguito per lo più da “tifosi” il conflitto in Ucraina (vedi l’editoriale “Credere, Obbedire, Soccombere” del febbraio 2023) ma recentemente alcune vicende hanno riportato questo tema alla ribalta.

Due importanti direttori di testate giornalistiche, Paolo Liguori alla testa di TGCOM24 e Maurizio Belpietro che dirige Panorama e La Verità, hanno espresso su questo tema valutazioni impietose. Liguori ha sottolineato come i media statunitensi siano molto più liberi di quelli italiani ed europei per la diffusione di notizie e valutazioni sul conflitto in Ucraina e il ruolo di Stati Uniti e Occidente nel favorirlo che la gran parte dei nostri organi d’informazione ignorano mentre, commentando la vittoria elettorale di Putin, Belpietro ha accusato media e politici di aver mentito per due anni.

Critiche confermate anche dal taglio con cui sono state diffuse un paio di notizie nei giorni scorsi. Leggendo i titoli di buona parte dei media italiani il 28 marzo scorso sembrava che Vladimir Putin avesse minacciato di aggredire NATO ed Europa nonostante che la notizia da titolo cubitale per prima pagina e apertura dei TG avrebbe dovuto essere di taglio opposto considerato che Putin ha definito l’ipotesi di attaccare nazioni europee una “totale assurdità”.

Nel discorso tenuto al personale del 344° Centro di Addestramento e Riqualificazione dell’aeronautica nella regione di Tver, Putin ha prima sottolineato che gli Stati Uniti spendono per la Difesa oltre “dieci volte di più” della Russia aggiungendo che l’idea che la Russia voglia attaccare le nazioni della NATO “è semplicemente un delirio” poiché “noi non abbiamo intenzioni aggressive nei confronti di questi Stati” e che “ciò che stanno dicendo sul fatto che la Russia attaccherà l’Europa dopo l’Ucraina è una assurdità colossale”.

Lo stesso giorno, durante una conversazione telefonica con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, Putin ha sostenuto che “la Russia è sempre stata aperta a un dialogo serio e sostanziale sulla risoluzione politica e diplomatica del conflitto in Ucraina”.

Putin attribuisce alle pressioni dell’Occidente l’impossibilità di poter trattare con Kiev, concetto ribadito anche dal portavoce presidenziale Dmitry Peskov secondo il quale “l’approccio di spingere l’Ucraina a combattere fino all’ultimo ucraino è ormai dominante in Europa e non verrà cancellato”. Una strategia, secondo Peskov, presente “con sfumature diverse nell’establishment politico europeo”. Del resto anche alcuni stretti collaboratori del presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno ammesso che nel marzo 2022 furono le pressioni di Londra e Washington a impedire a ucraini e russi di chiudere le ostilità dopo un solo mese di guerra con la mediazione della Turchia.

Ovviamente è più che lecito dubitare delle parole del presidente russo o non credere minimamente che le sue dichiarazioni corrispondano alla sua reale volontà, ma in questo caso affermazioni distensive che escludono la volontà di Mosca di attaccarci sono state ignorate o quasi mentre sono state evidenziate affermazioni interpretabili in senso opposto.

I media hanno infatti preferito titolare su quanto dichiarato da Putin circa un’ipotesi legata all’impiego futuro dei velivoli da combattimento F-16 che l’Occidente si appresta a fornire all’Ucraina.

Un militare ha chiesto a Putin: “I media stanno discutendo del fatto che gli aerei F-16 saranno utilizzati nella zona dell’Operazione Militare Speciale contro truppe e strutture russe, anche dal territorio dei paesi della NATO. Ci sarà permesso di colpire questi obiettivi negli aeroporti della NATO?”

La risposta era scontata: “Naturalmente, se gli F-16 verranno utilizzati da aeroporti di paesi terzi, diventano per noi un obiettivo legittimo, non importa dove si trovino”.

E’ evidente che nessuna nazione UE o NATO può pensare di mettere a disposizione i propri territori o gli aeroporti a velivoli ucraini impegnati in operazioni contro i russi poiché questo costituirebbe un preciso atto di guerra contro Mosca. Atto ancora più improbabile oggi che quasi tutte le nazioni europee e gli USA hanno escluso l’invio di propri militari a combattere nelle trincee ucraine come aveva proposto Emmanuel Macron.

Il tema di dove basare gli F-16 non è nuovo ed è stato più volte affrontato sui media statunitensi. Schierarli in Ucraina significa infatti installare attrezzature logistiche e addestrative in una o più basi aeree prima dell’arrivo dei velivoli e tali aeroporti verranno senza dubbio presi di mira dai bombardamenti russi rendendo quindi molto difficoltoso per Kiev impiegare e mantenere operativi gli aerei donati da alcune nazioni NATO del Nord Europa, che peraltro hanno oltre 40 anni di intensa vita operativa sulle spalle.

Anche per queste ragioni molti osservatori ritengono che neppure gli F-16 saranno “l’arma miracolosa” (o il “game-changer”, concetto caro a molti media che l’hanno attribuito a diversi sistemi d’arma forniti a Kiev) che porterà l’Ucraina alla vittoria.

La dichiarazione di Putin suona quindi più come un avvertimento a non porre in atto azioni che possano costituire un’escalation del conflitto coinvolgendo anche la NATO e riveste una rilevanza minore rispetto a quelle su aperture negoziali e diniego di voler attaccare le nazioni europee ma paradossalmente sui media il “peso” delle due notizie è stato per lo più ribaltato.

Un altro esempio di questa tendenza all’allarmismo esasperato è emerso a fine marzo quando quasi tutti i media hanno dato risalto di copertina e prima pagina alla doppia “intercettazione”, da parte di una coppia di Typhoon dell’Aeronautica italiana basati in Polonia, di aerei russi in volo sullo spazio aereo internazionale del Mar Baltico.

Notizia non certo eclatante dal momento che frequentemente gli aerei alleati basati nella regione baltica si alzano in volo per identificare tracce radar rappresentate da velivoli russi che, pur restando nello spazio aereo internazionale, si avvicinano a quello delle nazioni della NATO, cioè ormai tutte in quella regione.

Un’attività di routine quindi, non da oggi ma fin dai tempi della prima guerra fredda, tesa a saggiare la prontezza delle difese aeree della controparte e che non rappresenta una particolare minaccia ma che in questi giorni viene mediaticamente enfatizzata, anche con l’uso ambiguo del verbo “intercettare”,  come se si trattasse di una marcata escalation russa nei confronti della NATO.

Tra l’altro queste attività aeree si registrano regolarmente anche a ruoli invertiti sul Mar Baltico come altrove: i bollettini del ministero della Difesa russo (ma a volte anche il Pentagono) mostrano spesso le immagini di aerei e droni delle nazioni appartenenti alla NATO affiancati da caccia Sukhoi e Mig non appena si avvicinano allo spazio aereo della Federazione o all’area di operazioni istituita da Mosca sul Mar Nero.

Il tentativo di allarmare l’opinione pubblica europea ignorando alcune dichiarazioni di Putin, ingigantendone altre o drammatizzando i decolli su “scramble” dei caccia alleati schierati sul Fianco Est della NATO, lascia intendere come sia in atto il tentativo di tenere alta la percezione di “quasi guerra” con la Russia.

Mentre governi, media e alcuni think-tank lanciano l’allarme per la minaccia della disinformazione russa che tenta di influenzare le elezioni europee, l’impressione è che siamo tutti noi oggetto di vere e proprie operazioni psicologiche (Psy-Ops) tese a influenzare l’opinione pubblica, la nostra non quella russa.

Da tempo alcuni leader europei ribadiscono che dovremmo abituarci all’idea della guerra inevitabile con la Russia e per Emmanuel Macron dovremmo addirittura mandare truppe a combattere in Ucraina, benché le ragioni di tutto questo bellicismo sfuggano alla gran parte dei cittadini europei.

In Italia diversi esponenti del governo hanno smorzato i toni bellicisti: il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ha più volte precisato che non invieremo truppe in Ucraina e non siamo in guerra con la Russia mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto ben comprendere i limiti del nostro strumento militare (e di quelli di tanti altri partner europei) a far fronte a un conflitto come quello in corso in Ucraina.

Ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli in occasione dell’incontro ‘La NATO verso il 2030’ organizzato da Fratelli d’Italia ha espresso riflessioni di buon senso, peraltro comuni a diversi esponenti politici prima dell’attacco russo all’Ucraina due anni or sono.

“Se tu fai una politica imperialista gli altri si irrigidiscono. E per altri parlo della Cina, parlo della Russia. Probabilmente se avessimo fatto un’altra politica nei confronti della Russia, avremmo evitato la guerra in Ucraina” ha detto Cirielli. “Una politica più morbida, più diplomatica, aiuta a trovare la pace. Le politiche rigide, aggressive e imperialiste sono sempre negative” ha aggiunto precisando che “Questo non giustifica la violazione del diritto internazionale”.

Difficile coniugare le forzature tese ad aumentare gli allarmismi per una guerra con la Russia con queste dichiarazioni di buon senso, tenuto conto che persino il segretario della NATO Lens Stoltenberg ha detto più volte che non ci sono elementi che indichino un conflitto in vista o una minaccia russa ai nostri confini. Del resto è difficile immaginare i russi, che faticano a prendere il Donbass, giungere in armi alla “soglia di Gorizia”, sull’Oder o addirittura alle porte di Lisbona, come prefigurava qualche opinionista.

Ieri il comandante supremo delle forze dell’Alleanza in Europa, generale Christopher Cavoli ha detto che i Paesi membri della NATO “non credono di essere in guerra con la Federazione Russa e non vogliono entrarci” e sempre ieri Stoltenberg  ha dichiarato alla BBC che “deve essere l’Ucraina a decidere che tipo di compromessi è disposta a raggiungere. Dobbiamo consentire loro di essere in una posizione in cui possano effettivamente raggiungere un risultato accettabile al tavolo dei negoziati”.

Se Putin nega di volerci attaccare e i vertici NATO ammettono che nessuno in Europa vuole la guerra ed esortano l’Ucraina a negoziare con Mosca perché allora una parte della politica e quasi tutti i media lanciano l’allarme per il nemico alle porte?

L’impressione è che questi allarmismi abbiano l’obiettivo di rendere giustificabili gli aiuti militari ed economici all’Ucraina e le maggiori spese militari il cui peso crescente rischia di venire accolto negativamente da un’opinione pubblica che chiede più burro che cannoni.

Paventare l’imminente minaccia russa può risultare utile a nascondere le responsabilità di quanti ci hanno raccontato per due anni che le nostre sanzioni  avrebbero assicurato in breve tempo la disfatta economica e militare di Mosca, che Putin stava morendo di una mezza dozzina di malattie incurabili, che i russi senza munizioni combattevano coi badili e rubavano le schede elettroniche dagli elettrodomestici delle case ucraine per metterle nei loro sistemi d’arma o che avremmo rimpiazzato in fretta e senza danni il gas russo.

Ora  gridare “mamma li russi” è utile a convincerci che il nemico è alle porte per tentare di coprire con la paura gli errori commessi dai leader europei, l’infondatezza manifesta della loro fallimentare narrazione bellica (peraltro contestata da diversi osservatori liquidati per lo più come filorussi e putiniani). e le gravi conseguenze di quelle scelte.

Le ragioni di questa campagna mediatica tesa a prepararci a una guerra che non possiamo in ogni caso combattere, giova evidenziare due aspetti: in giugno si tengono le elezioni europee e molte affermazioni rivelatesi pateticamente infondate raccontateci da febbraio 2022 sono attribuibili a Ursula von der Leyen e Mario Draghi, i due maggiori candidati alla guida della prossima Commissione Ue.

Assuefare l’opinione pubblica al concetto di guerra imminente e minaccia russa costante è quindi necessario per abituarla alle conseguenze di questa crisi prolungata: maggiori spese militari (da incrementare nella UE da 240 a 320 miliardi annui per raggiungere il 2 per cento del PIL secondo un rapporto dell’European Defence Agency), de-industrializzazione, incertezza energetica e profonda crisi economica e sociale.

In ultima analisi questa propaganda martellante sembra puntare ad attribuire alla minaccia russa la responsabilità del disastro dell’Europa, nella speranza (forse vana) che l’8 e il 9 giugno i cittadini non lo addebitino ai propri leader che sembrano in realtà temere più gli elettori delle armate di Putin.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Presidenza Russa e Ministero della Difesa russo

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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