Il (dimenticato) Fianco Sud della NATO

 

 

Da quasi otto anni l’Alleanza Atlantica convive con uno strabismo strategico che contrappone uno scacchiere operativo settentrionale-orientale, strettamente legato al confronto politico militare con la Russia, ad uno meridionale incentrato geopoliticamente sull’Africa settentrionale e sub-sahariana e il Medio Oriente, caratterizzato da una minaccia più evanescente, multiforme e complessa dove instabilità politica, terrorismo e traffici illeciti di ogni tipo sono molto più difficili da affrontare militarmente con la logica della difesa collettiva e della deterrenza.

Come evidenziato in una precedente occasione  come tra gli effetti principali del confronto strategico con Mosca scaturito dalla prima crisi Ucraina del 2014-2015 sia da annoverare quello della marginalizzazione del cosiddetto “Fianco Sud” della NATO dove, almeno fino a qualche settimana fa, sarebbe stato più utile parlare di capacità di gestione delle crisi che rimane, tuttora, uno dei core tasks dell’Alleanza.

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Oltre alla mancanza di una minaccia unificatrice come quella esercitata dalla Federazione Russa, tale marginalizzazione è da imputare anche all’assenza di una “lobby” mediterranea in seno alla NATO, a sua volta frutto delle divergenti politiche dei principali attori europei e membri dell’Alleanza (Italia, Francia, Spagna e Grecia), e non europei e membri dell’Alleanza (Turchia), riguardanti gli sviluppi geopolitici dell’Area.

Ognuno di questi non solo persegue individualmente i propri interessi in ciascuna nazione della regione per accrescere la propria sfera d’influenza, ma stipula accordi “fratricidi” che non vanno certo nella direzione di un quanto mai necessario approccio comune.

 

La “battaglia” del Mediterraneo

La Grecia, per contrastare l’assertiva e muscolare politica turca di espansione nel Mediterraneo orientale ha stipulato un importante accordo con la Francia per la fornitura di fregate e aerei da combattimento Rafale. La Spagna ha siglato un accordo di cooperazione militare con la Turchia per bilanciare la crescente influenza francese nella stessa area. Nel frattempo, la Germania intende fornire sottomarini alla Turchia per contrastare la presenza delle fregate francesi nel Mar Egeo.

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Atene ha chiesto all’Unione Europea di applicare sanzioni contro la Turchia per le sue attività di esplorazione per la ricerca di gas naturale in acque che Atene considera come parte della propria piattaforma continentale. L’Italia e la Spagna hanno posto il veto sulle possibili misure in quanto sono i maggiori fornitori europei di armamenti della Turchia. Ankara, infatti, nel periodo 2015-2019 ha importato da questi suoi alleati il 43% dell’ammontare complessivo di acquisti militari.

Per non parlare, poi, della questione libica dove Italia e Francia sono sempre state su fronti opposti.

Non c’è dunque da stupirsi se il ruolo della NATO in questo scenario sia stato limitato all’adempimento di tre compiti non particolarmente risolutivi:

1) La raccolta e la condivisione di informazioni

2) il monitoraggio e la comprensione delle dinamiche politico militari della regione (regional understanding)

3) lo sviluppo di partenariati e di programmi di assistenza per la formazione del personale e l’addestramento, in un contesto dove, tra l’altro, la spendibilità politica della NATO non è affatto scontata.

 

I russi nel giardino di casa

Nel frattempo, la caduta di Gheddafi e l’incapacità dell’Europa, in primis dell’Italia, di avviare e guidare un processo di stabilizzazione credibile e duraturo, hanno consegnato la Libia all’espansionismo turco e all’intraprendenza russa che hanno prontamente riempito il vuoto geopolitico creatosi.

Mosca è riapparsa militarmente in Cirenaica a seguito della campagna militare intrapresa dal generale Haftar nel 2019 volta a conquistare la Tripolitania e a scalzare il governo di Tripoli suscitando, a sua volta, la reazione di Ankara che è intervenuta bloccando l’offensiva.  Nel corso della guerra fredda la marina dell’Armata Rossa disponeva di approdi a Bengasi e a Bona in Algeria, e la Libia di Gheddafi era uno dei principali riferimenti strategici dell’Unione Sovietica nel Mediterraneo.

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I russi hanno colto subito l’occasione di rientrare nel gioco del Mediterraneo occidentale grazie alla paralisi europea e mossi principalmente da tre ordini di motivi:

1) Impedire che la Turchia o qualunque altro attore significativo acquisisca troppo vantaggio nell’estrazione degli idrocarburi nella regione. Il gigante russo del petrolio Rosneft e l’ente petrolifero libico National Oil Corporation (NOC) hanno siglato già nel 2017 un accordo di cooperazione che getta le basi per gli investimenti di Rosneft nel settore petrolifero libico assieme a Gazprom che già possiede due concessioni nel paese

2) Guadagnare crediti presso le capitali arabe.  Essere un partner credibile in Libia significa accrescere la capacità di influire sulle dinamiche mediorientali dove la Russia gioca un ruolo a tutto campo appoggiando gli interessi del mondo sciita e sunnita a seconda delle opportunità. Fatto salvo il sostegno all’asse Iran-Siria-Hezbollah, appoggiare Haftar attraverso l’Egitto di Al Sisi è funzionale alla politica di sicurezza di Mosca contro l’estremismo sunnita nel Caucaso di cui la Fratellanza Musulmana (sostenuta dalla Turchia) è forse il motore principale. Teniamo presente che nella Federazione Russa vivono circa venti milioni di cittadini sunniti.

3) Acquisire e consolidare il secondo sbocco nel Mediterraneo e replicare il modello siriano (porto di Tartus e aeroporto di Khmeimim nella provincia di Latakia) dove i russi hanno schierato i micidiali sistemi di difesa aerea integrata a lungo raggio Anti Accesso/Negazione d’Area (A2/AD) dislocati in Crimea e nella sacca di Kaliningrad, che impediscono a un avversario di occupare o attraversare un’area di terra, mare o spazio aereo con un raggio d’azione sino a 400 chilometri.

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È molto probabile che il porto di Tobruk e l’aeroporto di Benina ad una ventina di chilometri a est di Bengasi, il secondo più grande del paese dopo quello di Tripoli, possano diventare in breve tempo la replica di quanto è già stato sperimentato con successo in Siria.

La brutta notizia sta nel fatto che in caso di schieramento dei sistemi A2/AD in cirenaica la libertà di manovra delle forze aeronavali e terrestri della NATO risulterebbe fortemente compromessa in caso di confronto.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che nel maggio dello scorso anno, a seguito dei lavori di potenziamento della base aerea siriana di Khmeimim, sono atterrati tre bombardieri a lungo raggio Tu-22M3 con capacità nucleare. In quell’occasione il Ministero della Difesa russo aveva chiarito che i velivoli sarebbero tornati alle basi permanenti in Russia dopo aver terminato le missioni di addestramento necessarie per permettere agli equipaggi di “familiarizzare” con lo spazio aereo del Mediterraneo.

 

La ricreazione è finita

È quindi evidente che la NATO sarà obbligata ad applicare in tempi molto brevi il concetto della difesa collettiva e della deterrenza anche a sud dove le minacce convenzionali si aggiungeranno però a quelle con le quali conviviamo dal tempo delle primavere arabe.

Lo scenario del versante meridionale dell’Europa è già molto più articolato e complesso di quello del confronto strategico con la Russia a nord est, in quanto la geopolitica gioca sia per mare che nelle sabbie africane e del Medio Oriente e in futuro non potrà che complicarsi ulteriormente.

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La maniera di contrastare l’ascesa e l’espansione pressoché certa nel bacino del Mediterraneo di Mosca è tutta da scrivere, ma bisogna cominciare subito a concepire la trama e lo svolgimento del testo. Teniamo conto che a sud non esiste una Polonia che funga da riferimento, catalizzatore e baricentro politico militare come sta avvenendo nel confronto strategico a est.

Non ci sono i Paesi baltici, la Romania, o i paesi del Nord Europa con i quali condividere il tema unificatore di una minaccia diretta all’integrità territoriale e politica. Inoltre, agli Stati Uniti questa regione del mondo non interessa. Hanno lasciato campo libero alla Russia in Medio Oriente e si stanno ritirando anche dal Sahel lasciando l’iniziativa alla Russia.

Il nuovo sistema di sicurezza europea che nascerà, letteralmente, dalle ceneri della guerra in Ucraina dovrà necessariamente tenere conto anche dell’accresciuta complessità del versante meridionale dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, ma a sud gli europei giocheranno sostanzialmente da soli. La necessità di istituire la “lobby del Mediterraneo” è quanto mai impellente.

Qui l’Italia, che oltre a tutto è il quinto paese contributore della NATO, ha un ruolo fondamentale da giocare, soprattutto nel pretendere che la narrativa dell’Alleanza relativa alla direzione strategica meridionale cambi decisamente tono preparando il terreno per una inevitabile riallocazione delle risorse da destinare anche a sud.

Sarà questo, quindi, il vero banco di prova per la NATO dei prossimi trent’anni e per la neonata “Europa geopolitica”, mai così unita e forte, come è stato affermato, nei giorni dell’offensiva russa in Ucraina.

Foto:  NATO, Neodemos, Twitter, TASS e Deutsche Welle

 

 

Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.

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