F-35: Chollet e la favola dei 6 mila nuovi posti di lavoro

Arrivo, vi racconto quattro storielle infarcite di numeri e me ne vado. E’ più o meno quello che ha fatto Derek Chollet, Segretario aggiunto della difesa per la sicurezza internazionale del Pentagono, giunto a Roma a inizio giugno per un convegno.
“In tempi di austerity i governi devono tagliare” ma nel caso degli F35 sarebbe un errore, perché” è un investimento per il futuro e un componente fondamentale per accrescere le forze militari” ha detto Chollet. “L’Italia ha già investito molto. Parti di F35 sono state costruite in Italia e hanno dato lavoro a più di 6.000 persone. Chiediamo di riconsiderare gli investimenti sugli F35″ nel prossimo libro bianco. Naturale che Chollet difenda gli interessi americani (ogni Paese alleato che ritarda o ferma le acquisizioni degli F-35 fa aumentare del 2-3 % il costo degli aerei per le forze  USA come ha detto il generale Bogdan, alla testa del programma F-35) ma è il colmo sentire ancora parlare di quei 6 mila nuovi posti di lavoro che prima del taglio da 131 a 90 velivoli della commessa italiana erano addirittura stimati in 10 mila unità.

Nella “auto-intervista” del luglio 2013, il capo di Armaereo, il generale Domenico Esposito, aveva detto che al momento gli addetti delle industrie italiane al programma F-35 erano 1.100, e che “si prevede che a regime il numero di addetti coinvolti possa essere ben oltre le 6.000 unità”. Ma di quale regime stiamo parlando, e in quale anno? L’attuale rallentamento dell’acquisizione dei velivoli sta già facendo peggiorare le prospettive occupazionali, la stessa FACO di Cameri non sa se e quando potrà arrivare al totale di 1.800 addetti a regime calcolati dalla Difesa. Ma poi, quel riferimento “a oltre 6.000” a cosa si riferisce esattamente? Alla pia speranza di montare a Cameri oltre a quelli italiani e olandesi anche F-35 di altri partner? E se Norvegia e Olanda faranno manutenzione al di là della Manica (come sembra probabile) anziché da noi, è stato calcolato il danno che subiranno gli impianti novaresi?

Il mese scorso il ministro della difesa britannico Norman Hammond ha svelato l’esistenza di trattative per installare nella base di Marham, nel Norfolk, il centro di manutenzione europeo per l’F35. Londra è il secondo partmer del programma dopo gli USA ma il suo centro verrà utilizzato dai norvegesi (48 F-36) ed è stato proposto anche agli olandesi. I britannici acquisiranno prevedibilmente 138 F-35 e anche I turchi, con 100 esemplari previsti, hanno appena inaugurato una fabbrica per produrre parti del motore dell’F-35 e puntano a ottenere la completa linea di montaggio per i loro velivoli. Il rischio, paventato tempo addietro anche dal generale Leonardo Tricarico, ex Capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, oggi presidente della Fondazione ICSA, è che Cameri continui a lavorare a ratei produttivi molto bassi e quindi non convenienti tenuto conto che l’infrastruttura è costata ai contribuenti oltre 800 milioni di euro.

Il sottosegretario americano ha infine nascosto il fatto che i 6.000 posti di lavoro  non sono neppure “nuov” ma semplicemente rappresentano solo una parte dei “vecchi” posti d’impiego garantiti dalla produzione dell’Eurofighter Typhoon.  Circa le ricadute tecnologico-industriali infine non è il caso di aggiungere nulla poiché “Analisi Difesa” ne ha già ampiamente documentato l’inconsistenza con le inchieste di Silvio Lora-Lamia.

Ora più che mai, con la vicenda F-35 è condizionata da fattori politici e finanziari contrastanti, la scelta più opportuna ci sembra l’abbia fatta la Spagna, come l’Italia partner del programma Eurofighter e che utilizza per sua aviazione navale gli AV-8B Harrier. Madrid  non acquisirà il Joint Strike Fighter per la Fuerza Aerea ma  neppure per l’Armada che voleva sostituire gli AV-8B con una ventina di F35B. Gli Harrier invece verranno ammodernati per restare in servizio ancora a lungo, come potremmo fare anche noi in attesa di tempi migliori. In un momento in cui, da quanto apprendiamo,  le scarse disponibilità finanziarie impongono ai militari italiani di fare persino lavori di manutenzione, muratura e imbiancatura delle caserme la decisione di Madrid ci sembra molto saggia.

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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