La guerra siriana coinvolge anche la Cina

La lontana crisi siriana riesce a far sentire il proprio eco anche in Cina visti i collegamenti esistenti tra le forze ribelli che continua a combattere il governo di Assad ed i militanti uyghur della provincia di Xinjiang i quali, secondo quanto comunicato da Pechino, a partire dal 2012 stanno combattendo in Medioriente al fianco dei gruppi jihadisti locali. Le preoccupazioni cinesi circa gli influssi e le conseguenze del conflitto siriano nel proprio paese e nella vicina Asia Centrale sono state confermate nel mese di luglio dall’arresto di uno dei combattenti uyghur il quale aveva studiato ad Istanbul e combattuto contro il regime di Damasco con il Free Syrian Army ad Aleppo ed era stato sorpreso ad organizzare attentati ed attacchi nella provincia di Xinjuian. Secondo i dati forniti da Pechino il ritorno dei combattenti dalla Siria ha favorito l’incremento dell’escalation di violenza registrando nel periodo marzo-giugno di questo anno 5 episodi di violenza che direttamente coinvolgevano i militanti uyghur e che hanno causato in totale la morte di 83 persone.

L’arresto di luglio, quindi, dimostrerebbe sia  l’ampio raggio di influenza e di ripercussioni che il conflitto siriano detiene, non solo a livello regionale creando instabilità nell’area mediorientale e interessando direttamente il vicino Libano, Israele, la Palestina, la Turchia e l’Iraq, ma anche a livello mondiale avendo ripercussioni indirette in Asia Centrale ed in Cina; la paura di Pechino è quella che i militanti uyghur, una volta combattuto e apprese le tattiche di guerriglia in Siria, possano portare la propria esperienza nello Xinjiang e favorire la propria causa creando sinergie ed alleanze con i gruppi jihadisti centroasiatici e mediorientali, ulteriore motivo addotto dal governo cinese per giustificare il mancato appoggio alle forze ribelli siriane ed il veto passato sugli interventi militari nell’area.
Occorre ricordare che gli attacchi di fine giugno in Xinjiang hanno preceduto il quarto anniversario delle sommosse etniche del 5 luglio 2009 avvenute ad Urumqi, capitale della regione, in cui più di 200 uyghur e cinesi Han furono uccisi; tali sommosse provocarono la reazione di Pechino che impose per un anno il blackout delle comunicazioni in Xinjiang, decisione che portò la regione alla ribalta internazionale viste le connessioni esistenti tra gli islamisti mediorientali e turchi linguisticamente ed etnicamente legati ai militanti uyghur. Settimane dopo gli eventi del 5 luglio 2009 i Fratelli Musulmani d’Egitto compararono la politica di Pechino nei confronti degli uyghur a quella di Hosni Mubarak nei confronti degli islamisti egiziani, AQIM (al-Qaeda in the Islamic Maghreb) invece minacciò gli interessi cinesi nel Nord Africa ed il Primo Mnistro turco Recep Tayyip Erdogan arrivò a dichiarare lo stato cinese colpevole di aver commesso “quasi un genocidio” in Xinjiang.

Nell’agosto del 2009 AQI (al-Qaeda in Iraq) rilasciò un video in cui descriveva il “regime cinese” simile a quello “Sionista” di Israele; nell’ottobre del 2009 il braccio dei media di al-Qaeda as-Sahab produsse un video di Abu Yahya al-Libi in cui veniva discussa la situazione dello Xinjiang definendola una “ferita  dimenticata” del mondo musulmano.  Soltanto il Partito Islamico del Turkestan (TIP) , il quale opera con al-Qaeda, i Talebani e il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) in Pakistan, aveva dimostrato di supportare direttamente la causa dei militanti uyghur dichiarando infatti come suo obiettivo principale quello di favorire l’indipendenza del Turkestan orientale (Xinjiang) e di creare un califfato islamico il quale attraversasse l’Asia Centrale. Lo stesso TIP è direttamente collegato al conflitto siriano, come comunicato all’interno del suo magazine, e giustifica la propria presenza ed il proprio intervento in Siria come forma di opposizione all’appoggio di Pechino nei confronti di Bashar al-Assad e del regime di Damasco.

Pechino ha stimato che dai 30 ai 100 combattenti uyghur hanno ricevuto l’addestramento militare in Pakistan e sono giunti poi in Turchia per approdare infine in Siria e collaborare con i ribelli locali; cifre molto piccole se si pensa che nella sola Turchia vivono più di 20 mila uyghur a cui si devono aggiungere le diverse organizzazioni che forniscono aiuti umanitari in supporto al popolo siriano, come ad esempio la East Turkistan Educational and Solidarity Association accusata dalla Cina di inviare militanti in Siria. Come dichiarato da Pechino, non è possibile calcolare il numero esatto degli uyghur e dei membri di TIP presenti nello stato siriano inoltre, secondo quanto riassunto dagli esperti militari e dagli analisi dell’area asiatica, i recenti episodi di violenza che stanno caratterizzando lo Xinjiang sembrano essere maggiormente collegati a dispute su questioni locali sorte spontaneamente e quindi non appartenere ad un progetto di rivendicazione jihadista; resta però l’allarme di Pechino nei confronti del ruolo che potranno ricoprire gli uyghur che rientreranno in patria dalla Siria e nei confronti dei video jihadisti capaci di ispirare attacchi diretti contro le stazioni di polizia e la popolazione civile usando il sistema delle esplosioni suicide e facendo quindi pensare ad un collegamento diretto con il TIP.

Allarmano maggiormente i video rilasciati nel mese di luglio da TIP  chiamati “Military Quick Guides” il cui obiettivo è quello di educare le persone, o i futuri militanti, all’uso delle armi come la pistola Tokarev ed il famoso AK-47 in azioni di guerriglia congiunte.
Considerando le recenti dichiarazioni cinesi, il conflitto siriano scoppiato nel marzo del 2011 come forma di protesta contro il governo di Assad ed evoluto in una guerra civile sta assumendo dimensioni di portata internazionale e la sua influenza, oltre ad essere esercitata direttamente sull’area mediorientale e del Golfo Persico, sta debordando arrivando ad interessare direttamente l’Europa, in special modo l’area caucasica, turca e del Tatarstan, ed il continente asiatico portando alla ribalta uyghur, tagiki, uzbeki, kazaki e kirgiki i quali,  una volta combattuto in Siria, potranno beneficiare dell’esperienza acquisita per perseguire la propria causa nazionale gettando la regione in un clima di instabilità favorito inoltre dal ritiro delle truppe ISAF dall’Afghanistan previsto per il 2014.

Giuliano BifolchiVedi tutti gli articoli

Romano, è laureato in Scienze della Storia e del Documento all’Università Tor Vergata, e ha frequentato il Master II Livello in Peace Building Management presso la Pontificia Università San Bonaventura. Si occupa di Open Sources Intelligence e analisi della situazione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza rivolta soprattutto ai Paesi del Caucaso, Asia Centrale e Medio Oriente.

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