Siria: chi perde e chi vince con gli accordi di Astana

Astana, Kazakistan. I giornali italiani non ne hanno parlato molto ma nell’indifferenza generale la scorsa settimana (il 3 e 4 maggio) si è svolto il quarto incontro nel quadro dei colloqui di pace per la Siria.

Peraltro a rilevanza di questo incontro travalica di molto i confini della martoriata Siria. Si potrebbe trattare, dopo esattamente un secolo, del seme di un nuovo “Asia Minor Agreement” (quello raggiunto nel 1916 dai sempre denigrati Sykes e Picot), con il quale, con attori totalmente differenti di quelli dell’epoca, si gettano le basi di una nuova spartizione di aree di influenza nella regione. Forse esagero … e me lo auguro!

Sappiamo che in aprile, ONU e Lega Araba hanno dichiarato che il bilancio delle vittime di quello che queste due Organizzazioni hanno definito “il conflitto più mortale del XXI secolo” sarebbe ormai di ben 400.000 morti. Purtroppo, mi sembra che – oltre a tenere la macabra contabilità delle vittime – entrambe le Organizzazioni in questi sei anni abbiano fatto ben poco per contenere l’incremento delle vittime o dei profughi. Non parliamo neanche della ricerca di una soluzione politica alla crisi (settore in cui i veti incrociati pro e contro Assad hanno impedito qualsiasi progresso della situazione).

Invece, forse, questo quarto incontro internazionale potrebbe portare a qualcosa di nuovo. Non so se i precedenti tre round di colloqui in Kazakistan avessero contribuito a facilitare il dialogo tra le parti in conflitto. Possibile, ma difficile dirlo, non avendo conseguito visibili effetti sul perdurare dello spargimento di sangue in Siria, dove, per contro, la situazione sembrerebbe essere persino peggiorata negli ultimi mesi.

In tale contesto, le aspettative degli analisti internazionali per questo quarto round apparivano forse limitate.

MOSCOW, RUSSIA - DECEMBER 20, 2016: Iran's Foreign Minister Mohammad Javad Zarif, Russia's Foreign Minister Sergei Lavrov, and Turkey's Foreign Minister Mevlut Cavusoglu (L-R) give a joint news conference following their talks. Alexander Shcherbak/TASS –осси€. ћосква. 20 декабр€ 2016. ћинистр иностранных дел »рана ћохаммад ƒжавад «ариф, министр иностранных дел –оссии —ергей Ћавров и министр иностранных дел “урции ћевлют „авушоглу (слева направо) во врем€ пресс-конференции по итогам встречи. јлександр ўербак/“ј——

I fuochi d’artificio a base di TLAM (Tomahawk Land Attack Missile ) lanciati contro la base aerea di Shayrat (vicino a Homs) in risposta ad un presunto (e mai dimostrato) uso di armi chimiche a Khan Sheikhoun aveva probabilmente fatto tramontare anche le poche speranze residue.

Comunque, hanno partecipato ai colloqui sia il Governo di Assad sia i rappresentanti delle fazioni armate anti-Assad, successo non indifferente, visto che tale partecipazione era stata in forse sino all’ultimo momento e ben tre potenze “garanti”: Russia, Turchia e Iran.

Inoltre erano presenti, sia pure solo in qualità di “osservatori”, Staffan de Mistura (inviato speciale dell’ONU per la Siria), Stuart Jones (Acting U.S. Assistant Secretary of State for Near Eastern Affairs) e Nauaf Oufi Tel (in rappresentanza del Ministro degli Esteri della Giordania).

Ovvero…”visto che ormai non possiamo avere un ruolo di giocatori in campo, almeno tentiamo di farci notare sugli spalti!” Alla fine, nonostante visibili segni di insofferenza da parte delle fazioni anti-Assad, è stato firmato dalle tre potenze garanti un “memorandum” che prevede, a partire dal 6 maggio, la creazione di quattro “de-escalation zones” dove devono cessare i combattimenti tra forze governative ed anti-governative.

I tre “garanti” si sono dati tempo fino al 4 giugno per stabilire i confini effettivi di tali “de-escalation zones”, mentre i particolari su chi di fatto supervisionerà il cessate il fuoco e la distribuzione di aiuti umanitari non sembrano ancora chiari.

Il “memorandum” stabilisce una tregua di sei mesi a partire dal 6 maggio, rinnovabile nel tempo. Inoltre vieta all’aeronautica governativa di sorvolare le “de-escalation zones”.

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La Russia ha chiarito, comunque, che le operazioni militari contro ISIS e al-Nusra continueranno anche all’interno di queste zone e ha sottolineato che le ostilità dovranno cessare  tra le parti presenti ad Astana. Il governo siriano nell’impegnarsi a rispettare i termini del memorandum, ha confermato, però, il proprio intendimento di combattere il terrorismo ovunque si nasconda.

Comunque, la Siria si è impegnata al rispetto dei termini del “memorandum” finché le forze ribelli faranno altrettanto, chiudendo però la strada a qualsiasi ruolo dell’ONU al riguardo.

Dovranno essere realizzate le condizioni per garantire l’assistenza sanitaria alla popolazione e il ripristino delle infrastrutture del rifornimento idrico e di altre forniture vitali. All’interno delle zone individuate, sotto la supervisione del governo siriano, dovrà essere fornita assistenza umanitaria a tutta la popolazione senza distinzioni.

Insomma, vi sono in ciò che è stato reso noto dei punti che appaiono poco chiari e forse contraddittori. Che la finalità fosse di creare delle “safe areas” umanitarie o gettare le basi per una ripartizione etnica del paese è presto per dirlo (verosimilmente entrambe le finalità). Le quattro aree individuate, lungo un immaginario asse meridiano che va dal confine con la Turchia (nel nord) a quello con la Giordania (nel sud)  sono:

  • La zona 1 (la più vasta) comprendente la provincia di Idlib (sede per un certo periodo dell’autoproclamato governo interinale del’opposizione anti-Assad, dove sarebbero presenti forze anti-governative islamiste di Hayat al Tahir al-sham) e alcuni territori circostanti. Si tratterebbe di un’ampia zona in prossimità e confinante con la Turchia.
  • La zona 2 (di estensione limitata) a nord di Homs (Rastan e Talbiseh).
  • La zona 3 in prossimità di Damasco (Ghouta orientale, area ad est della capitale, teatro di importanti scontri tra i governativi ed i ribelli soprattutto nel periodo aprile –maggio 2016 ). In tale area sembrano essere presenti forze anti-governative filo-saudite di Jaysh al-Islam.
  • La zona 4 ingloba alcune aree di confine nel sud della Siria, in particolare Deraa (città sul confine con la Giordania, il cui sanguinoso assedio da parte dei governativi nel 2011 fu sicuramente elemento di escalation nella rivolta anti-Assad) e Quneitra (la “città fantasma” sul Golan, di cui dal ’73 israeliani e siriani si rimpallano la responsabilità della distruzione). In tali aree sembrano essere presenti forze anti-governative definite “moderate”.

Sicuramente, nonostante la presenza di aspetti tutt’ora poco chiari, non si deve sottovalutare l’importanza sul campo del presente accordo. Era difficile prevedere un percorso verso la soluzione di una crisi che dura da sei anni, ma le cui radici covavano sotto la dittatura da quasi mezzo secolo.  L’istituzione delle zone de-escalation potrebbe rappresentare un primo timido passo verso una normalizzazione.

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Naturalmente, il prosieguo è pieno di incognite e abbiamo visto fin troppe volte come accordi come questo non sopravvivano più di qualche giorno. Comunque, i negoziati dovranno continuare sia ad Astana (il quinto incontro è previsto per luglio) sia , soprattutto,  a Ginevra.

Ciò che mi interessa, invece, non è tanto vedere ciò che succederà all’interno e intorno alle quattro “de-escalation zones”, ma vedere,  come ne esce il contest geo-politico più ampio.

Intanto, chi ha rinforzato la propria posizione.

  1. In primis la Russia, che ha saputo ritagliarsi il ruolo di sia di negoziatore sia “gendarme internazionale ” in relazione alla Siria. Ruolo che potrebbe espandersi ad altre aree della “mezzaluna fertile”. La crisi irachena vede il coinvolgimento delle stesse potenze regionali (Iran e Turchia) e di entità statuali o meno presenti ana (Giordania, confinante con entrambi, Curdi, presenti in entrambi i paesi, conflittualità sciiti-sunniti, ecc). Inoltre, sembra ormai sicuro un consolidamento navale russo nella parte occidentale del Mediterraneo, garantito dal riacquisito controllo sulla Siria (riacquisito, perché prima degli anni novanta del secolo scorso la presenza militare sovietica in Siria era un dato di fatto). Probabilmente la Russia si aspetta anche qualche “dividendo” dei suoi accordi con Turchia e Iran in relazione al contrasto della turbolenza che pervade le comunità islamiche della CSI.
  1. L’Iran, ovviamente , che viene di fatto “sdoganato” (nonostante i mal di pancia statunitensi) quale elemento di stabilizzazione nella regione. Inoltre, l’Iran si afferma sempre di più come paladino delle comunità islamiche scite o comunque non sunnite, ovunque si trovino.
  1. La Turchia,ha ottenuto un successo politico non indifferente, che le consente di fare la voce grossa nei confronti dei Curdi (verso Est) e di ritagliarsi un ruolo totalmente autonomo e sicuramente di forza nei confronti di UE e NATO (verso ovest). Inoltre, la creazione di una vasta “de-escalation zone” intorno ad Idlib (area confinante con la Turchia) potrebbe consentire un forzato rientro di profughi siriani in quell’area e, forse, essere la premessa per la “generosa offerta” di un consistente “aiuto” turco nella gestione della sicurezza e dell’assistenza umanitaria all’interno dell’area.
  1. Da Astana sembra uscita bene anche la Giordania, sia per la visibilità garantita dalla presenza (anche se solo con lo status di osservatore) sia per la possibilità di un forzato rientro di profughi nella “de-escalation zone” di Deraa (area confinante con la Giordania)
  1. Ebbene anche Assad, non ne è uscito troppo male, soprattutto perché i “garanti internazionali “dell’accordo sembrano favorevoli a mantenerlo in sella (almeno per il momento, ma si sa che nulla è duraturo in Medio Oriente!

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Chi sono invece i tanti che hanno perso un po’ di  prestigio e di  credibilità?

  1. In primis, gli USA e il loro Presidente. L’amministrazione Trump, presentandosi platealmente come rottura con il passato, avrebbe forse potuto tentare di riempire il vuoto lasciato da Obama in relazione alla crisi siriana ed impostare un diverso rapporto con Putin al riguardo. Purtroppo, così non è stato! La mancanza di visione a lungo termine, il bisogno maniacale di far vedere che si è presenti subito e comunque, per far “vedere chi comanda”, hanno tradito il Tycoon e la sua ristretta corte di consiglieri! Il lancio (peraltro senza serie conseguenze tattiche!) di Tomahawk contro la base aerea di Shayrat è sembrato più il capriccio di un bambino viziato che la scelta lungimirante di uno statista.
  1. L’ONU, il cui Consiglio di Sicurezza ancora dopo una settimana chiede alla Russia di avere più informazioni sui termini dell’accordo e sulle modalità organizzative per la gestione delle “de-escalation zones”. Peraltro, la Russia preme perché il Consiglio di Sicurezza ratifichi il “memorandum“ di Astana (dandogli un crisma “super partes”). L’ONU ha dimostrato di non essere riuscito a porsi come interlocutore credibile nella soluzione della crisi ed è stato autorizzato a partecipare ai colloqui solo in qualità di innocuo osservatore (insomma, “tappezzeria” cui però oggi la Russia chiede di convalidare quanto da lei fatto). Interessante notare che il ministro degli esteri siriano, Walid al-Moallem, l’8 maggio ha dichiarato fermamente: “Non ci sarà alcuna forza internazionale sotto il comando delle Nazioni Unite nelle zone di de-escalation. Non ci sarà alcun ruolo per l’ONU o per le potenze internazionali in queste aree!”
  1.   La Lega Araba, che per l’ennesima volta si è dimostrata spettatore incapace di alcuna mediazione in relazione ad una crisi interna ad un proprio paese membro, crisi che è stata innescata da un fenomeno maturato nel mondo arabo (le così dette “primavere”, che però sono sembrate più cupi e grigi  autunni  che hanno portato a rigidi inverni). Tale fallimento è reso più cocente dal ruolo che due potenze regionali islamiche non-arabe (Turchia e Iran) hanno invece saputo ritagliarsi
  1. Arabia Saudita, che sarebbe (al pari di Turchia e Iran) una potenza regionale dell’area e a cui si ispirano varie milizie anti-Assad presenti in Siria. Invece, i sauditi non hanno avuto voce in capitolo in un accordo di fatto imposto da 3 potenze che gli sono più o meno apertamente ostili. Inoltre, l’accordo che rinforza la posizione di Assad, ovviamente non è certo gradito a Riad!
  1. L’Unione Europea, che pur essendo da sei anni testimone inerme della mattanza siriana e risentendo politicamente ed economicamente della pressione dei profughi provenienti dalla Siria, non è riuscita ad aver alcun ruolo in un processo di pacificazione etero-diretto,  di cui  comunque continuerà a pagare una parte del conto.
  1. La NATO. Non che ci si aspettasse un ruolo politico-militare dell’Alleanza nella soluzione della crisi, che sarebbe stato fuori luogo. Però l’Alleanza, che si basa sulla coesione dei suoi membri e in cui vi è un nutrito partito anti-russo non può non prendere atto della deriva della Turchia che si pone come interlocutore della Russia  per la soluzione di una grave crisi alle porte dell’Alleanza.
  1. Israele. Anche se una de-escalation zone sul Golan siriano potrebbe rappresentare una buona notizia, abbiamo visto come da Astana escano “vincitori“ dei nemici di Israele (Iran, Hezbollah, Assad) o potenze con cui ha lo Stato Ebraico ha una storia di rapporti problematici (Russia e Turchia). Inoltre, l suo principale sponsor (gli USA di Trump) è stato messo in ombra e ciò dovrà certamente preoccupare Gerusalemme.
  1. I Curdi in fondo non ne escono troppo bene, in relazione soprattutto al ruolo assunto da ben 3 loro nemici: Turchia, Iran e Assad. Ma il gioco per loro è ancora tutto aperto.
  1.  La Francia ha sempre mantenuto un rapporto particolarmente stretto con i suoi ex-possedimenti coloniali. Siamo abituati a vederne interventi militari in ex-colonie. Interventi normalmente a fianco delle locali forze governative condotti su base bilaterale senza necessariamente la copertura di un mandato da parte di organizzazioni internazionali. Nel corso della lunga crisi siriana, Parigi ha frequentemente strizzato l’occhiolino ai ribelli anti-Assad e ha invocato interventi internazionali in tal senso. Sorge il dubbio sul perché allora non abbia assunto (come ha fatto in molti altri casi) iniziative militari nazionali, eventualmente limitate nel tempo e negli obiettivi. Non voglio qui andare a ipotizzare quanto sulla politica estera francese nella regione pesino i principi umanitari e di salvaguardia dei diritti umani, quanto pesino le pressioni da parte della comunità islamica francese (circa il 7,5% della popolazione, senza contare gli immigrati, popolazioni quasi esclusivamente sunnite) o quanto, infine, gli interessi delle monarchie petrolifere della penisola arabica e i contratti della TOTAL. Sicuramente un mix delle tre. Comunque la posizione francese non sembra essere stata premiata dall’outcome di Astana e la Francia, oggi, avrebbe meno autorevolezza di quella che aveva fino a un paio di anni fa nella crisi siriana.

Per il futuro a breve termine cosa possiamo aspettarci?

Per la Russia il successo politico-diplomatico in Siria potrebbe essere in prospettiva il primo passo per inglobare l’intera regione nella sua sfera d’influenza. A brevissimo termine, comunque, le garantisce l’ampliamento di un’importante sbocco sul Mediterraneo.

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Inoltre, Putin, stringendo accordi politico con ’Iran, si assicura un rapporto con la potenza regionale sicuramente più influente a sud delle repubbliche caucasiche ex-sovietiche. Gli interessi russi a cooperare con l’Iran sono molteplici (geo-politici, energetici e militari, per citarne solo alcuni).

In quest’ottica non si può escludere nel prossimo futuro:

  • L’incrementata presenza politico-militare russa nel Mediterraneo;
  • L’incremento dell’influenza Iraniana e Turca nella regione;
  • Ampliamento del “footprint” navale russo nella fascia costiera che va da Tartus a Latakia e della presenza navale russa in generale nel Mediterraneo;
  • L’incrementata influenza di Hezbollah in Libano;
  • L’esigenza per Israele di considerare l’opportunità di un proprio riposizionamento tra USA e Russia.

In tale interessante contesto, “le stelle” (sia quelle della bandiera americana sia –soprattutto- quelle dell’Unione Europea) stanno a guardare!

Foto: SANA, TASS, Reuters e Ministero Difesa Russo

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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