Quante ipocrisie sulle munizioni a grappolo fornite all’Ucraina

 

(Aggiornato alle ore 20,00)

Si discute molto in questi giorni in merito decisione USA di fornire munizioni a grappolo all’Ucraina.A chi scrive non entusiasmano le discussioni circa l’indispensabilità o meno di fornirle e nemmeno quelle di chi si scandalizza per l’uso in Ucraina di un munizionamento che pur se necessario resta comunque letale e pericoloso per i civili per molti anni anche dopo la fine della guerra.

Si tratta di discussioni abbastanza ipocrite. Così come è ipocrita per la superpotenza americana, che combatte la Russia “dal salotto” utilizzando sul campo i soldati ucraini, dichiarare di aver ricevuto “assicurazioni” che tali munizionamenti non verrebbero usati contro il territorio russo.  Perché mai l’Ucraina, il cui intero territorio fino ai suoi estremi lembi occidentali è soggetto da 500 giorni a bombardamenti russi, dovrebbe astenersi dal colpire i russi nelle loro case? Solo per non mettere in imbarazzo la diplomazia a “stelle e strisce”?

Teniamo conto che né gli USA, né la Russia né l’Ucraina hanno mai ratificato il Trattato di Oslo che mette al bando le munizioni a grappolo, quindi, anche se giustamente ciò ferisce la nostra sensibilità, non sono tenute ad attenervisi.

L’aspetto politico di supportare militarmente una nazione che usa munizionamenti ed armi che noi abbiamo bandito non dovrebbe risultarci nuovo, dato che in ambito NATO ci si trova da anni a confrontarsi con la diversa sensibilità in materia tra gli USA e gli altri alleati.

La discussione in corso potrebbe invece farci ragionare su altri aspetti. Dopo la fine della “guerra fredda”, o meglio della “prima” guerra fredda, con la caduta del muro di Berlino e il dissolvimento sia del Patto di Varsavia che della stessa Unione Sovietica, molti hanno ritenuto che ci si stesse avviando verso un periodo di stabilità globale. In effetti, anche dopo il “grande massacro” del 1914-18 in Europa molti si illusero che l’umanità ne traesse lezione e che si incominciasse a gestire in maniera diversa i contrasti tra gli stati.  Così, purtroppo, non è stato né in un caso né nell’altro.

È vero che il superamento della contrapposizione bipolare ha lasciato che emergessero tensioni locali (di origine etnica, nazionalistica o confessionale) che fino ad allora erano state in un certo senso “congelate” all’interno delle sfere d’influenza delle due superpotenze, come abbiamo visto nei Balcani e in varie parti del continente africano a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso. Si trattava, peraltro, pur sempre conflittualità locale, ma non guerra totale. Soprattutto non guerra totale che si combattesse a casa nostra.

In questo contesto ci si è mossi a livello internazionale per tentare di rendere meno “disumano” l’eventuale evento bellico che ancora poteva manifestarsi.

In tale quadro vanno sicuramente iscritti due  importanti Trattati : quello di Ottawa, ovvero la  Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione del 1997 , cui hanno aderito 160 nazioni, tra cui la stessa Ucraina, ma non , ad esempio,  USA, Cina, Russia, India, Pakistan, Israele e quello già citato di Oslo, ovvero la Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di munizioni a grappolo  del 2008, che ha avuto molto meno successo del precedente ed è stata ratificata solo da 111 nazioni, tra le quali non appaiono Russia, Ucraina e USA e molte altre.

La ratio di tali convenzioni era soprattutto di limitare l’uso di particolari armamenti che possono permanere indefinitamente sul terreno dove sono stati impiegati anche dopo la fine delle ostilità, costituendo per molti decenni un pericolo per le popolazioni civili. In relazione al munizionamento a grappolo ciò è dovuto all’alto tasso di malfunzionamento delle sub-munizioni che non esplodono quando lanciate.

In tempi non particolarmente remoti, gli USA hanno utilizzato “cluster bombs” in Kosovo, Iraq e Afghanistan. I russi ne hanno fatto uso in Siria. Tutti abbiamo visto i troppi bambini afghani, siriani, iracheni o di altre terre sventurate che hanno perso le gambe o le mani per via di ordigni inesplosi o di mine anti-uomo anche anni dopo l’impiego di tali ordigni.

Sono pertanto evidenti le motivazioni etiche che hanno ispirato queste due convenzioni. L’Italia, in particolare, è stata in prima fila nel sostenere entrambe tali convenzioni, anche se la loro implementazione ha danneggiato quei settori dell’industria nazionale che avevano expertise nel settore. Peraltro, occorre osservare che né le maggiori potenze militari del pianeta né i paesi che hanno contenziosi in corso hanno mai ratificato tali convenzioni.

In Ucraina oggi vengono usate sia mine antiuomo sia cluster bombs. Se domani scoppiasse una crisi militare per Taiwan sarebbero indubbiamente usate, da entrambe le parti, mine antiuomo e cluster bombs.

Che possibilità avrebbero le nazioni che hanno ratificato tali convenzioni di “convincere” le super potenze (USA, Cina, Russia) o nazioni che ritengono a torto o a ragione che la propria sopravvivenza come entità statuale sia minacciata (Ucraina, Israele, le due Coree, Taiwan) a rinunciare all’uso di campi minati o di munizionamento a grappolo?  Forse molto poche.

Quindi ben vengano queste convenzioni che sono indubbia manifestazione di civiltà, ma si sia anche consci che si tratta di “principi” cui è facile tener fede finché ci si limita a condurre peace support operations o counter-insurgency, ma più difficile tenervi fede se ci si trova in una guerra convenzionale come quella oggi in atto in Ucraina.

Ricollegandosi al sogno di pace seguito al “grande massacro” del 1914-18, in fondo tali convenzioni ricordano un po’ il bellissimo ma forse utopistico patto Briand – Kellog o “Trattato di rinuncia alla guerra”  del 1928 , con cui  le 63 parti contraenti dichiararono  “solennemente in nome dei loro popoli rispettivi di condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e di rinunziare a usarne come strumento di politica nazionale nelle loro relazioni reciproche” .

Inutile ricordare che tra le parti contraenti vi fossero Germania, Italia, Giappone, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e molte altre che poi parteciparono al secondo conflitto mondiale. Tristemente occorre prendere atto che, purtroppo, le regole per limitare la pericolosità degli ordigni bellici in guerra sono sacre solo fino a quando non siano in gioco gli interessi nazionali.

Foto: ARES, Human Right Watch, ITF e Gian Micalessin

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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