Perché il piano cinese per l’Ucraina non piace all’Occidente

 

 

Si è  sentito parlare negli ultimi giorni (spesso con un certo malcelato fastidio) di quella che Pechino ha chiamato “Posizione Cinese in merito alla composizione politica della crisi ucraina” (China’s Position on the Political Settlement of the Ukraine Crisis).

In Occidente giornalisti e commentatori lo hanno pomposamente chiamato “Piano di Pace” cinese, dedicandogli critiche spesso tranchant del resto comprensibili poiché una mediazione di Pechino nella crisi ucraina, qualora venisse accettata e avesse successo, rappresenterebbe una debacle geopolitica di dimensioni impensabili per gli USA, per l’UE e per la NATO.

Gli USA vedrebbero rafforzarsi la caratura globale del loro principale competitor geopolitico, tra l’altro in relazione ad una crisi che vede gli Stati Uniti parte in causa e che innegabilmente riveste per l’attuale amministrazione statunitense una particolare rilevanza.

L’UE vedrebbe rafforzarsi il ruolo inquietante del Dragone ai propri confini, con la prospettiva di una maggior influenza almeno su tutta la sua fascia orientale, opzione non certo tranquillizzante per noi europei. La NATO dovrebbe accettare la mediazione della potenza che il suo recentissimo Concetto Strategico 2030 individua come il principale rischio strategico per l’Alleanza negli anni a venire.

Comprensibile quindi che l’iniziativa venga valutata con la massima cautela ma l’estrema celerità con cui USA, UE, NATO e G7 hanno bocciato senza appello il documento cinese stona leggermente con il ricordo di quante volte gli stessi organismi hanno dichiarato che a decidere quale dovesse essere la “pace giusta” doveva essere esclusivamente l’Ucraina.

Implicitamente, tali tempestive prese di posizione potrebbero essere interpretate da un uditorio ostile come una conferma che l’Occidente sia parte belligerante del conflitto sia pure non “direttamente”.

Tutto ciò premesso vale forse la pena esaminare la proposta cinese.

Il documento in 12 punti di Pechino è schematico, come del resto prevedibile in questa fase esplorativa. Contiene dei passaggi spesso ovvi, ne mancano altri che potrebbero essere importanti, alcuni altri punti sembrano diretti più agli USA che a Russia o Ucraina.

Non ha senso obiettare che Pechino non tracci i termini di un accordo poiché nella storia i termini “reali” di un accordo di pace vengono resi noti solo dopo che l’intesa tra le parti è stata raggiunta. I “punti cinesi” non indicano possibili soluzioni finali ma si limitano in questa fase a definire dei parametri su cui le parti dovrebbero successivamente lavorare.

 

Mediatore parte terza o schierato?

È stato detto che Pechino non potrebbe essere un “mediatore” credibile perché ha propri interessi connessi con l’esito del conflitto. Certamente, la Cina da un lato è danneggiata dal protrarsi di un conflitto che si riflette negativamente sugli inter-scambi commerciali globali. Inoltre, Pechino ha legami abbastanza stretti con Mosca, legami peraltro che non sono mai stati negati.

La Cina non si è formalmente schierata a supporto di alcuna delle due parti, a differenza di quanto fatto dagli USA. A parte alte autorità religiose o l’ONU, che anche in questa situazione conferma i propri enormi limiti, quando si è visto un mediatore che pur non essendo ufficialmente schierato con una delle parti in causa non avesse un proprio interesse alla soluzione della crisi?

D’altronde, i casi sono due: se un conflitto sul terreno viene vinto militarmente si può imporre allo sconfitto una resa “senza condizioni” o, comunque, alle “nostre condizioni”, come avvenne nei confronti dell’Italia nel 1943 e della Germania e del Giappone nel 1945.

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Ove non si sia in grado di vincere militarmente o non si sia disposti a impegnarsi ad un livello tale che consenta di sconfiggere il nemico, occorre mediare e trovare un compromesso che, ovviamente, non potrà soddisfare pienamente entrambe le parti. Ridicolo appare invece asserire in maniera quasi infantile che “se la soluzione proposta va bene per lui allora non va bene per me”. Dichiarazione che alcuni organi di stampa hanno attribuito al Presidente Joe Biden.

Siamo oggi in una fase in cui tutti i commentatori indipendenti ritengono che una soluzione militare del conflitto non sia prevedibile almeno per molti mesi e che, pertanto, non si possa ipotizzare a breve né una implosione né tanto meno una resa di alcuna delle due parti. È noto che le tecniche e procedure finalizzate a “mediare per trovare un accordo” siano diverse da quelle per “negoziare una resa”.

La mediazione dovrebbe essere condotta da una potenza che non sia, almeno ufficialmente, parte del conflitto. Appare pertanto abbastanza strano che si pretenda che l’ipotetico futuro mediatore “condanni” preliminarmente una delle due parti in conflitto, a meno che non si voglia comprometterne da subito il ruolo negoziale.

È opportuno evidenziare che in occasione della recente risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che ha condannato la Russia per l’invasione dell’Ucraina, la Cina si è astenuta. Scelta inevitabile e obbligata dato che contestualmente si proponeva come “mediatore”. Poiché qualsiasi altro voto ne avrebbe compromesso le possibilità di mediazione presso uno dei due contendenti. Ovvero, per i tanti che amano gli esempi calcistici, sarebbe stato come pretendere che l’arbitro di una partita di calcio si presentasse con la sciarpa da tifoso di una delle due squadre in campo.

 

La “Posizione Cinese”   

Venendo al merito della proposta, cosa dice esattamente la “Posizione Cinese in merito alla composizione politica della crisi ucraina”?  Ovviamente, trattandosi di un documento pubblico non può dire molto e deve limitarsi a enunciare principi generici che possano apparire accettabili da parte di tutti, rimandandone la coniugazione in accordi specifici a tempi successivi e a discussioni a porte chiuse. Alcuni di questi principi possono apparire banali, altri celano frecciatine nei confronti di USA e UE, ovvero del principale competitor geopolitico e di un importante competitor commerciale del Dragone.

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L’impressione è che la proposta cinese, più che mirare a trovare nell’immediato un’improbabile soluzione per una rapida cessazione dei combattimenti, intendesse comunicare a Washington e ai suoi alleati che la crisi ucraina è ormai diventata globale e che qualsiasi sua soluzione debba essere discussa tra quelli che oggi sono i due maggiori attori sulla scena geopolitica mondiale, cioè Cina e USA.

Al Punto 1 il Piano chiede il “rispetto della sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti i paesi”, chiedendo l’applicazione del diritto internazionale in maniera uguale in tutti i casi evitando l’applicazione di “double standards” a seconda di chi sia l’aggressore.

La formula appare tendere una mano a Kiev ma contiene una stilettata per Washington nel riferimento ai “double standards” della reazione internazionale nel caso di una nazione che ne aggredisca un’altra. Al Punto 2 si chiede di “abbandonare la mentalità da guerra fredda” e che “la sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari”.

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Ciò intende rappresentare un’esplicita accusa a USA e NATO. Inoltre, questo punto chiama tutti a lavorare insieme per un’effettiva e bilanciata “architettura di sicurezza europea”, che secondo 7Pechino dovrebbe essere perseguita “prevenendo il confronto tra blocchi”  e in un contesto di “ pace e stabilità del Continente Euroasiatico” (il riferimento potrebbe essere al link transatlantico su cui si basa la NATO e una richiesta all’Europa a guardare a est anziché a ovest!)

Al Punto 3 si chiede che tutti supportino Russia e Ucraina nel riprendere il dialogo al più presto, per favorire la de-escalation del conflitto, ovvero arrivare al più presto ad un cessate il fuoco e alla ripresa dei dialoghi diplomatici.

Ai Punti 4, 5, 6 e 7 si chiede rispettivamente di “riprendere i colloqui di pace”, “risolvere la crisi umanitaria e creare corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili dalle zone di conflitto”, la “protezione dei civili e dei prigionieri di guerra nel pieno rispetto  del diritto umanitario internazionale, e nel rispetto dei diritti dei prigionieri di guerra”, “garantire e la sicurezza delle centrali nucleari, evitando attacchi armati contro di esse e nel rispetto del ruolo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA)”.

Insomma, tutti passaggi obbligati se si vuole tendere a una de-escalation.

Il Punto 8 rappresenta una chiara censura alla Russia, dove in merito alla “riduzione dei rischi strategici” viene chiaramente dichiarato che “le armi nucleari non devono essere usate e le guerre nucleari non devono essere combattute. La minaccia o l’uso di armi nucleari deve essere contrastata. Occorre prevenire la proliferazione nucleare ed evitare le crisi nucleari. La Cina si oppone alla ricerca, allo sviluppo e all’uso di armi chimiche e biologiche da parte di qualsiasi Paese, in qualsiasi circostanza”.

Il Punto 9 chiede di facilitare le esportazioni di cereali richiedendo la piena implementazione da parte di tutti dell’accordo in tal senso raggiunto lo scorso anno con la mediazione turca.

Il Punto 10 rappresenta una forte condanna a USA e UE e chiede di interrompere le “sanzioni unilaterali” che insieme alle pressioni economiche non aiutano a risolvere le crisi e generano “nuovi problemi”.

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La Cina condanna qualsiasi sanzione che non sia autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Posizione che potrebbe apparire ragionevole e distaccata a una lettura superficiale, ma che sottintende l’illegittimità di sanzioni che, in virtù del diritto di veto concessole, non siano autorizzate anche dalla Cina stessa. Inoltre, sempre il Punto 10 chiede che “i Paesi interessati cessino di abusare del ricorso a sanzioni unilaterali quale strumento di  “giurisdizione a lungo raggio” nei confronti di altri Paesi quale precondizione per consentire una de-escalation della crisi ucraina”.

Il Punto 11 rappresenta anch’esso una censura alle potenze economiche occidentali. Infatti, nel richiedere di “mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento”, il documento condanna l’utilizzo di strumenti economici quale “armi per il perseguimento di obiettivi politici”.

In particolare, vengono condannate misure che possano compromettere la cooperazione internazionale nei settori energetico, finanziario, del commercio alimentare e dei trasporti.

Il Punto 12, infine, richiama l’esigenza per la comunità internazionale di adottare tutte le misure necessarie per la ricostruzione post-bellica nelle area del conflitto (scontato) e assicura che la Cina è pronta a fornire assistenza e a giocare un ruolo chiave in questo settore, eventualità  che sicuramente non entusiasmerebbe né gli USA né l’UE.

 

Valutazioni

Insomma, come scritto in precedenza, alcune dichiarazioni sono abbastanza scontate, altre rappresentano un’occasione per lanciare stilettate a USA e altri competitors politici. È chiaro però che un documento pubblico in questa fase non potrebbe essere più specifico di così. A parte i non pochi sassolini nelle scarpe che Pechino si è voluta togliere, vi sono dei punti che forse non meriterebbero di essere gettati immediatamente alle ortiche con aria di superiorità.

Dal punto di vista occidentale, il Punto 1, che chiede “rispetto  della sovranità, indipendenza e integrità territoriale  di tutti i paesi”, è di fatto una velata condanna di chi, come Mosca, tale integrità territoriale non ha  rispettato. Il fatto di non menzionare mai la tutela delle minoranze etniche (anche per ovvi motivi di politica interna cinese) toglie un ulteriore appiglio a Mosca, che invece si appella all’esigenza di  tutelare le minoranze russofone in Donbass e in altre regioni ucraine.

Per contro, al Punto 2 vi è una chiara condanna della politica dei blocchi (e implicitamente della NATO) nonché degli interessi USA in quello che viene chiamato “Continente Euroasiatico” e i punti 10 e 11 costituiscono una forte condanna della “guerra per sanzioni” condotta in primis ed estensivamente dagli USA non solo in relazione alla crisi ucraina.

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In sintesi, Pechino sembrerebbe voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte per non apparire fin dall’inizio troppo di parte: lo scopo è dare un avvio al processo negoziale, che sarebbe comunque molto lento.

È chiaro, soprattutto dal testo del Punto 3, che si mirerebbe ad un “cessate il fuoco” duraturo, rimandando eventuali accordi di pace a tempi successivi in cui potrebbero essere cambiate le attuali leadership politiche nelle capitali interessate. D’altronde, tra Israele e Siria sono ormai 50 anni (dal conflitto del 1973) che si va avanti con una “tregua” sulle Alture del Golan (unico confine tra i due paesi) sottoposta a supervisione ONU.

Tutto ciò senza che il contenzioso territoriale del Golan abbia provocato maggiori incidenti. I tanti motivi di frizione tra i due paesi sono infatti altri e relativi principalmente alla pesante presenza iraniana in Siria e al sostegno agli Hezbollah in Libano. Ovvio che la situazione del Golan non sia assolutamente paragonabile a quella del Donbass, in termini demografici, di estensione territoriale e di ricchezza delle risorse.

Possono pertanto apparire pretestuose le condanne alla proposta cinese basate sul fatto che non venga in questa fase iniziale preteso il preventivo ritiro russo dai territori occupati quale precondizione per il cessate il fuoco. Di norma infatti prima si giunge al cessate il fuoco e poi si negoziano le cessioni territoriali rispetto alle posizioni delle forze sul campo indispensabili per giungere a un accordo di pace

 

La Cina potrebbe essere un mediatore credibile?

Si tratta quindi di una bozza cui non pare si intenda dare molto credito da parte occidentale e in cui forse neanche Pechino, per il momento, vuole scommettere molto.

È indubbio peraltro che la Cina, quando avrà interesse a farlo, potrebbe essere l’unico negoziatore credibile in questa crisi. È infatti l’unico attore internazionale che ha leve da muovere, in una logica ‘do ut des’, con tutti gli attori del conflitto: può fare pressione sulla Russia, ma è anche l’unica che può trattare da pari a pari con gli Stati Uniti ed è forse in una posizione di superiorità nei confronti della UE.

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Peraltro, non è detto che sia giunto veramente questo momento e che il Dragone non voglia prendersi altro tempo per vedere USA, UE e Russia indebolirsi ulteriormente prima di proporsi seriamente come mediatore

Avevamo già scritto su queste pagine (In Ucraina si combattono tre guerre parallele – Analisi Difesa) che in Ucraina si stanno sovrapponendo tre livelli di conflittualità diversi. Se a livello tattico – operativo il conflitto è tra Russia e Ucraina, a livello strategico è tra Russia e USA mentre a livello geo-politico il conflitto rientra nella più ampia sfida geopolitica tra Cina e USA.

E’ ipotizzabile allora che ove non si riesca a trovare una potenziale mediazione ai livelli emotivamente più coinvolti nel conflitto la si debba ricercare più all’esterno. In fondo durante oltre 40 anni di guerra fredda USA e URSS si sono regolarmente consultate affinché le varie crisi che emergevano nei diversi continenti non sfociassero in livelli di conflittualità destabilizzanti per l’ordine mondiale dell’epoca. Nulla di nuovo sotto il sole, a parte che oggi è cambiata una delle due super potenze.

Accettare una mediazione cinese sarebbe un’onta sia per gli USA che per la UE, perché i primi non intendono comprensibilmente riconoscere un tale ruolo a quella che sanno essere l’unica potenza in grado di oscurare la superpotenza americana mentre la seconda vedrebbe con terrore un ruolo decisivo cinese in una crisi ai suoi confini (o all’interno degli stessi, dato che ormai è stato promesso a gran voce il prossimo ingresso di Kiev nell’Unione).

Un negoziato che avesse la Cina come mediatore avrebbe potenzialmente un respiro globale. Tra Pechino e Washington la discussione potrebbe non riguardare solo il Donbass e la Crimea e forse neanche solo l’Ucraina ma potrebbe estendersi ai conflitti economici tra Usa e Cina, alla concorrenza commerciale tra le due super potenze in America Latina (dove Pechino è subentrata a Washington come primo partner) e soprattutto alla contrapposizione tra USA e Cina nell’area dell’Indo-Pacifico, inclusa la spinosa questione Taiwan.

 

Immagini: Ministero della Difesa Ucraino  Xinhua, Ministero Difesa Russo, ISW e TASS

 

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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