Il “mistero” dell’attacco ai gasdotti Nord Stream

 

 

Gli attentati che hanno danneggiato, pare irrimediabilmente, i gasdotti North Stream 1 e 2 hanno un impatto non solo a livello energetico ma anche politico.

Le analisi sono oramai concordi sul fatto che si tratti di una vera e propria operazione di guerra, ma non sembrano del tutto concordi su chi ne sia l’autore. Russia e Stati Uniti si accusano a vicenda, come sempre.

L’Europa, che si trova in mezzo e che è sicuramente la principale vittima di tali azioni, per l’ennesima volta dà l’impressione di non essere in grado di sviluppare proprie valutazioni e analisi e pertanto appoggia senza se e senza ma la versione statunitense.

Certamente, Putin ci ha abituato a una serie di nefandezze e non avrebbe un solo attimo di esitazione a condurre un simile attacco “pirata” se gli convenisse.

Analisti di grido vedono in questa azione l’ennesimo tentativo di fare pressione sull’opinione pubblica europea utilizzando l’arma del gas e provocare cedimenti nel fronte occidentale, parlando alla “pancia” delle popolazioni dei paesi più dipendenti dalle forniture di gas russo. Alla domanda se non fosse stato più facile interrompere l’alimentazione dei propri gasdotti anziché renderli forse per sempre inservibili, si risponde che in quel caso Gazprom sarebbe stata tenuta a pagare le penali per i contratti cui non si sarebbe attenuta.

Possibile, anche se in una situazione in cui si rasenta, almeno a parole, una guerra nucleare in Europa, in cui la stessa sopravvivenza del regime moscovita sarebbe in pericolo in caso di disfatta militare e in cui i dettami contrattuali vengono regolarmente disattesi in virtù della guerra economica in atto tra USA/UE e Russia, le penali contrattuali potrebbero non essere tra le principali preoccupazione del Cremlino.

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Si può valutare che questa non sarebbe la prima mossa autolesionistica e azzardata di Mosca in questo conflitto ma se invece non si volesse seguire la pista del “pregiudicato sospettato numero uno”, si potrebbe pensare a Hernàn Cortés che appena giunto con i suoi avventurieri e mercenari sulle spiagge di quello che oggi chiamiamo Messico, si narra abbia fatto bruciare tutte le sue navi.

Una scelta che poteva sembrare autolesionistica, ma che prese perché non si fidava delle proprie truppe, il cui reclutamento era dubbio, e non voleva dar loro alternative alla missione che si era proposto.

In quest’ottica, il danneggiamento sembra ormai in forma irreparabile dei gasdotti North Stream 1 e 2 (anche se quest’ultimo non era ancora entrato in funzione), potrebbe essere un modo per far capire a quelle componenti dell’opinione pubblica tedesca e di altre nazioni, che appaiono più dubbiose ,che non si possono più avere ripensamenti.

Anche se fossero sofferenti per l’inevitabile prossima carenza di gas e l’impennata dei costi energetici, dovranno rendersi conto che non ci sono più alternative al blocco totale delle forniture russe. Ora come allora, non si può tornare indietro: le navi di Cortés sono bruciate e i gasdotti di Putin inservibili.

Messaggio che sottende anche l’invito a Berlino a dimostrarsi più generoso di quanto sia stato sinora nel fornire armi e fondi all’Ucraina: messaggio forse diretto non solo alla Germania, ma anche ad altri paesi.

Certo potrebbe trattarsi di dietrologia basata anche sul fatto che Washington ha sempre osteggiato, anche molto prima dell’esplodere della crisi ucraina, il ricorso da parte di paesi amici e alleati “amici” al gas russo per motivi sia di geopolitica che di concorrenza economica.

Molto meglio per noi europei allora concentrarci sul “pregiudicato sospettato numero uno” e ignorare le altre “piste”.

Foto: Ministero della Difesa svedese e Sky News

 

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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