La nuova strategia di Sicurezza nazionale del Giappone

Un cambiamento (a dir poco) storico
Per quanto in qualche modo prevedibile alla luce delle indiscrezioni trapelate in questi ultimi mesi, l’approvazione dei nuovi documenti di indirizzo strategico da parte di Tokyo rappresenta comunque un passaggio importante, segno inequivocabile di una svolta epocale nella politica di sicurezza e di difesa del Paese del Sol Levante.
Premesso che nel momento in cui queste note vengono scritte mancano ancora alcuni dettagli, ciò non di meno gli elementi a disposizione consentono (già ora) di trarre delle conclusioni; e, come detto, si tratta di conclusioni sicuramente degne di un’attenta analisi. Il primo aspetto da sottolineare è rappresentato dalla linearità (nonché razionalità) del processo adottato dal Governo guidato dal Primo Ministro Shinzo Abe; quest’ultimo, in carica dal 26 dicembre del 2012, non aveva mai fatto mistero fin dalla campagna elettorale dei mesi precedenti di voler affrontare con decisione tutte le questioni legate alle crescenti tensioni nella regione. Non è dunque un caso che, non appena insediatosi, egli abbia dato il via proprio a quel processo di ridefinizione delle politiche di sicurezza e difesa del proprio Paese. Un compito di certo non facile alla luce delle ben note limitazioni costituzionali introdotte alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di un’opinione pubblica particolarmente sensibile su questi stessi temi e alle prevedibili reazioni internazionali di alcuni Paesi ancora memori delle passate esperienze (riferibili sempre all’ultimo conflitto mondiale).
D’altra parte però, non era certo più possibile negare che i profondi mutamenti (di ogni tipo) nel frattempo intervenuti nell’area non richiedessero dei cambiamenti; e, in questo senso, occorre dare atto al Primo Ministro Abe di aver avuto la forza di superare tali resistenze. Il tutto nel solco di una volontà politica che aveva già visto lo stesso Abe, in occasione del suo primo mandato fra il 2006 e il 2007, tra i protagonisti di un altro cambiamento epocale e cioè l’elevazione a vero e proprio Ministero della Difesa di quella che prima era solo un’agenzia.
Ma, come detto, nei giorni scorsi si è compiuto un nuovo passo in avanti. Dopo mesi di discussione, il National Security Council (cioè, il Consiglio di Sicurezza Nazionale giapponese, anch’esso costituito sotto la spinta di Abe) e il Gabinetto del Primo Ministro hanno infatti approvato una nuova “Strategia di Sicurezza Nazionale” impostata sulla base del prossimo decennio e un piano di spesa relativo ai prossimi 5 anni; le anticipazioni di questi piani sono quindi riassunte nei riassunti dei 2 documenti resi pubblici il 17 dicembre scorso e cioè la “National Security Strategy” stessa e le “National Defense Program Guidelines for FY 2014 and beyond”. Ora, se da una parte è vero che sarà importante procedere con ulteriori approfondimenti (lavoro già oggi in parte possibile alle integrazioni fornite dagli organi d’informazione), i loro tratti essenziali sono quanto mai chiari. Da un punto di vista strategico, il punto di partenza è ovviamente rappresentato dall’analisi delle sfide alla sicurezza del Giappone; da un lato ci sono quelle di carattere globale e dall’altro quelle di natura regionale. Le prime sono rappresentate dai cambiamenti nel “balance of power” a livello mondiale, dalle conseguenze del sempre più rapido progresso tecnologico, dalla proliferazione di WMD (Weapons of Mass Destruction) e di altri materiali simili, dal terrorismo internazionale, dai rischi legati a eventuali limitazioni alla libertà di circolazione di persone, merci e informazioni cui si aggiungono quelli legati alla stabilità dell’economia e dei mercati finanziari.
Ma se queste sono sfide che richiedono un approccio più ampio tale da coinvolgere solo in parte la sfera militare, ben più stringenti per quest’ultima sono invece le sfide a carattere regionale e cioè le accresciute tensioni con la Cina e la sempre presente minaccia della Corea del Nord, quest’ultima sotto forma di un possibile attacco con missili balistici. Tra le 2 è tuttavia evidente che il problema principale è rappresentato dal crescente attivismo (se non espansionismo) di Beijing; il recente caso dell’istituzione da parte cinese di una (contestata) Air Defense Identification Zone su di una parte del Mar Cinese Orientale sarebbe già di per sé sufficiente per spiegare quanto sta accadendo. Non fosse altro per il fatto che proprio su questo mare, e in particolare sul gruppo di isole noto come Senkaku (per il Giappone, il Paese cioè che le controlla) o Diaoyu (per la Cina) è in atto da tempo un confronto strisciante tra i 2 Paesi (con il terzo incomodo rappresentato dalla Republic Of China, cioè Taiwan); un confronto talvolta anche duro che, fatti i debiti scongiuri, talvolta dà perfino la sensazione di poter sfociare in qualcosa di più grave.

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Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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