Immigrati: in Est Europa mobilitano anche i militari

La situazione alle porte sud-orientali d’Europa resta ancora difficile a causa dell’emergenza determinata dalla massiccia immigrazione clandestina. Skopje, dopo i recenti scontri fra agenti di polizia (che hanno utilizzato anche shock bombs) e immigrati che cercavano di varcare il confine, ha deciso di far entrare nel proprio territorio un ingente numero di profughi (1.500 secondo Oslobođenje che cita fonti dell’agenzia France Presse) che da giorni attendevano nella “terra di nessuno”.

Attualmente, secondo Al Jazeera Balkans, tra le 4.000 e le 5.000 persone sarebbero accampate nei pressi della sola stazione ferroviaria di Gevgelija, cittadina all’estremo sud della Macedonia, in attesa di poter prendere un treno o un pullman che le conduca in Serbia.

Nei giorni scorsi, in considerazione della situazione eccezionale creatasi e delle difficoltà incontrate, il Primo Ministro (PM) Gruevski ha deciso di proclamare lo stato di emergenza nelle aree meridionali del Paese, inviando anche l’Esercito per “fermare il massiccio flusso di migranti provenienti dalla Grecia”.

Nel comunicato pubblicato online dall’Esecutivo, infatti, è possibile leggere che in breve tempo il numero di persone che giornalmente varca illegalmente il confine è passato da 500-600 a oltre 2.500, tanto che il primo ministro si attende che queste cifre salgano ancora, arrivando a toccare il tetto delle 3.000-4.000 unità.

Sul tema si è espresso anche il Ministero degli Affari Esteri (MNR) che ritiene l’impiego delle “forze di sicurezza” necessario per garantire la pace e la stabilità lungo i confini del Paese, soprattutto quelli con la Grecia e la Serbia.

Il MNR macedone ha anche ricordato che la legge nazionale sul tema dell’immigrazione concede “ai migranti 72 ore di tempo per decidere se fare domanda di asilo oppure lasciare il territorio della Repubblica di Macedonia”.

Particolarmente interessanti, poi, risultano essere i dati ufficiali sul fenomeno: negli ultimi 60 giorni, infatti, oltre 41mila persone sono state censite e fatte entrare nel Paese e fra queste più di 33mila hanno dichiarato di provenire dalla Siria, con una media di poco meno di 700 ingressi al giorno (ma oltre 4.000/giorno nell’ultimo periodo).

Anche la Bulgaria, che già da tempo aveva assunto una posizione rigida nei confronti dell’immigrazione clandestina, a seguito della recente escalation ha deciso di mobilitare l’esercito.

Come si può leggere in un breve comunicato pubblicato sul sito del Ministero della Difesa (MO) Sofia intenda affiancare le forze armate alla Gendarmeria per meglio garantire la sicurezza del proprio territorio.

Secondo B92, lo schieramento di forze bulgare non monitorerà la situazione solo nelle aree confinanti con la Macedonia, ma anche in quelle con la Grecia, sebbene alcuni siti di informazione riferiscano che la situazione ai valichi di frontiera con quest’ultima sia normale e non vi siano rallentamenti.

Come riporta Novinite.bg, durante una trasmissione televisiva il vice-ministro degli Interni Filip Gunev ha dichiarato che agli effettivi impegnati a contenere l’ondata migratoria verranno forniti tutti gli strumenti adeguati, anche elicotteri, al fine di garantire che nessun soggetto legato a gruppi terroristici possa entrare nel Paese.

La radio nazionale bulgara BNR, inoltre, ha riportato che negli ultimi sei mesi oltre 15mila persone sono state individuate dagli organismi di sicurezza mentre cercavano di superare illegalmente il confine, lo avevano già fatto o stavano cercando di attraversarlo per raggiungere altri stati UE.

L’immigrazione si sviluppa soprattutto lungo la rotta che conduce verso la Serbia, tappa fondamentale per quasi tutti coloro i quali cercano di raggiungere la parte centrale dell’Europa.

Le autorità macedoni permettono di varcare il confine settentrionale del paese al fine di far defluire la gran massa di individui verso i territori controllati da Belgrado.

Proprio per tale motivo, nella zona di Preševo (Serbia meridionale) si trovano attualmente circa 5.000erò persone, che in gran parte attendono di poter continuare il proprio viaggio verso nord (secondo Večernje Novosti  ben 1500 avrebbero chiesto asilo alla Serbia).

L’amministrazione locale, con l’aiuto del centro umanitario russo-serbo di Niš, ha allestito delle tende per ospitare i profughi, mentre il personale medico dell’Ospedale militare fornisce le cure necessarie.

La zona, anche a causa delle recenti tensioni, è pattugliata dai blindati della Polizia e della Gendarmeria che, al momento, non hanno ancora dovuto intervenire come invece è successo ai loro colleghi macedoni.

Per quanto la situazione sembri migliorare, restano comunque delle evidenti criticità. Innanzitutto, la grande massa di disperati che si riversa in Serbia (Politika riferisce che oltre 90mila persone sono entrate nel Paese dall’inizio dell’anno) fa sì che per le Forze di Sicurezza sia difficile controllare l’identità esatta di chi varca il confine e, soprattutto, lottare contro la minaccia del traffico di essere umani che riguarda spesso minorenni non accompagnati dai genitori.

Oltre a ciò c’è il timore che i flussi dalla Macedonia determinino problemi di ordine pubblico.

Due aspetti non vanno sottovalutati. Il primo è che è probabile che due paesi con alta disoccupazione e risorse limitate come Serbia e Macedonia non riescano a far fronte a lungo all’emergenza immigrazione, soprattutto a causa delle ingenti risorse che l’accoglienza richiede.

Oltre a ciò, la porosità dei confini balcanici (a poco può servire la soluzione ungherese di erigere un muro) fa sì che il fianco meridionale dell’Europa sia particolarmente esposto.

La crisi greca unita allo scarso impegno turco per bloccare il traffico di disperati che, attraverso il suo territorio, arrivano nel sud dei Balcani non fornisce alcuna garanzia che il fenomeno diminuisca nel prossimo futuro.

Il controllo dei flussi migratori non può quindi avvenire sui confini dell’Europa centro-orientale, ma, come afferma anche il Ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz, deve partire dai Balcani, coinvolgendo i paesi dell’area nelle riflessioni politiche interne alla UE.

Intanto anche Praga ha predisposto un programma di rafforzamento del contingente di sorveglianza ai confini. In caso di sensibile incremento dei flussi migratori a questo scopo verranno impiegati altri 2.600 soldati oltre ai 1.500 già mobilitati.

Agguerrite le dichiarazioni dei vertici ungheresi. Oltre alla rapida costruzione del muro ai confini serbi Budapest invierà diverse migliaia di agenti di polizia ai suoi confini meridionali con la Serbia in un nuovo sforzo di arginare l’afflusso di migranti.

“Il paese è “sotto un attacco organizzato” da parte dei trafficanti di essere umani che non solo trasportano i migranti ma li istruiscono su come approfittare del regime per i rifugiati dell’Unione Europea, ha detto Janos Lazar, vicepremier del governo di Viktor Orban.

Lazar ha aggiunto che le nuove unità  saranno organizzate per contrastare “i migranti sempre più aggressivi che arrivano con richieste sempre più decise”.

A Bratislava il portavoce del ministero degli Interni slovacco,- Ivan Netik, ha dichiarato che il paese è pronto ad accogliere 200 profughi siriani, a patto che non siano di religione islamica.

“La Slovacchia può anche accogliere 800 profughi musulmani. Il problema risiede però nel fatto che il nostro paese non ha alcuna moschea, dunque non piacerebbe ai nuovi arrivati.

Non sarebbe nemmeno giusto discriminare i profughi di religione islamica; pertanto, nell’ambito delle politiche di trasferimento dei profughi all’interno dell’Ue, ci dichiariamo disponibili alla collaborazione, a patto che ci vengano assegnati dei cristiani” ha precisato Netik.

Infine anche in Svizzera si discute della possibile mobilitazione dell’esercito per presidiare i passaggi di frontiera con l’Italia e scongiurare il passaggio di immigrati clandestini.

Foto: Telegraph.mk, Reuters.

Vignetta: Drusan Oetrovic (Politica in line)

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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