SI STRINGE IL CERCHIO SU FALLUJAH E RAQQAH

L’offensiva a Fallujah si ferma, anzi no. I media panarabi hanno reso noto ieri che il premier Haidar al Abadi aveva dato ordine di sospendere l’offensiva nel cuore della città per risparmiare morte e sofferenze ai 50 mila civili, tra cui 20 mila minori anche se secondo altre fonti almeno 12 mila civili sarebbero riusciti a lasciare la città.

Tra questi anche miliziani dell’Isis “sorpresi” da un drone mentre gettavano via i propri indumenti per vestirsi con abiti civili e cercare di confondersi fra la popolazione come ha riferito  a Ria Novosti Yahya Rasul Zubaidi, portavoce dell’Iraqi Joint Special Operations Command che ha precisato di disporre di “tutti i dati relativi ai terroristi che si trovano in città”.

Zubaidi ha confermato anche l’impiego efficace degli elicotteri da attacco russi Mil Mi-28 Night  Hunter nell’offensiva su Fallujah.

Fonti delle milizie scite irachene hanno però smentito la notizia affermando che “la campagna di liberazione continua senza sosta”.

Il 2 giugno l’Unicef aveva lanciato un allarme invitando il governo a proteggere i minori rimasti nella città che da due anni è controllata dallo Stato islamico. Abadi, citato dalla tv panaraba-saudita, ha risposto all’appello ordinando ai generali di sospendere l’assalto al cuore della città.

Le forze governative hanno comunque stretto maggiormente l’assedio attorno a Falluja dopo aver respinto un contrattacco dei miliziani. Secondo i dispacci ufficiali, progressi si registrano nell’area meridionale di Jisr Tuffah (Ponte di Mele), che offre l’accesso al sobborgo di Shuhada
(Martiri). Anche i media governativi ammettono comunque che la presa del centro di Falluja richiede ancora molti sforzi e cautele.

L’Isis ha da tempo piazzato mine sulle strade e cecchini nei palazzi.

Sono almeno 130 i soldati iracheni rimasti uccisi in una serie di attacchi lanciati dai jihadisti dello Stato islamico (Isis) nei pressi di Fallujah da mercoledì scorso. Secondo quanto riferito ad Al Jazeera da fonti militari, gli attacchi sono stati messi a segno con 10 kamikaze e ordigni piazzati sul ciglio delle strade nelle zone a Sud di Fallujah. Dall’inizio dell’offensiva i caduti tra le forze di Baghdad sarebbero oltre 200.

Il dramma dei civili
Lisa Grande, vice rappresentante speciale della missione Onu di assistenza all’Iraq, ha detto ad al-Jazeera che “l’Isis ha trasferito molte famiglie nel centro della città dove fungono da scudi umani. Manca cibo, le medicine non arrivano da mesi in città. Sappiamo che molte persone non hanno accesso ad acqua pulita e sono costrette a bere quella dei canali d’irrigazione. Temiamo un’epidemia di colera”.

Secondo Lisa Grande sono già 656.000 i civili iracheni sfollati che hanno potuto fare ritorno alle loro case in territori strappati dalle forze governative all’Isis grazie anche al sostegno della Coalizione internazionale a guida Usa aggiungendo che lo Stato islamico ha perso il 35% del territorio che aveva conquistato.

In un comunicato, la Grande sottolinea che i Paesi della Coalizione hanno fornito 120 milioni di dollari per mettere insicurezza e ricostruire le città riconquistate dai lealisti, e precisa che tra gli interventi già realizzati vi sono il ripristino totale delle forniture di elettricità a Tikrit e la fornitura di acqua potabile per 80.000 persone.

La numero due dell’Unami ha detto che “presto sarà riaperto il valico di confine di Trebil (con la Giordania), così che i profughi iracheni all’estero potranno usarlo per rientrare nel loro Paese e potrà riprendere il traffico commerciale”.

Obiettivo Raqqah
L’Isis si trova a far fronte a un attacco su più fronti anche in Siria, tra Aleppo e Raqqa. Le forze curde con la copertura aerea della Coalizione guidata dagli Usa oltre l’Eufrate verso Manbij, avanzano a ovest di Raqqa. Per ora l’offensiva verso la capitale dell’Isis nel nord della Siria sembra sospesa, a favore della sortita su Manbij, cittadina posta al centro di collegamenti cruciali per l’assedio di Raqqa.

Dal lato sud-occidentale inoltre le truppe governative siriane, sostenute dall’aviazione russa, affermano di aver lanciato la loro offensiva su Tabqa, a ovest di Raqqa. Se le due offensive dovessero avere successo, i governativi filo-russi e i curdi filo-Usa potrebbero incontrarsi a metà strada.

“Tutti a Raqqah”. E’ questo il nome dell’operazione militare lanciata dalle forze lealiste  regime secondo quanto riferito da al-Akhbar, giornale libanese molto legato a Damasco che parla di un “potente ritorno in campo” di Mosca “che appoggerà dal cielo l’offensiva”.

Un evidente segnale a Washington e ai suoi alleati, che indica come la Russia non intenda lasciare loro “il trofeo” della conquista della capitale dell’Isis caccia all’Isis. Secondo le fonti del giornale “da giorni le truppe dell’esercito siriano e delle forze alleate (Hezbollah libanesi ed iraniani” si stanno ammassando nella zona di Atharia nella provincia di Hama in attesa dell’ora x per la battaglia di Raqqa” a cui potrebbero partecipare anche forze speciali russe.

L’analista Andrei Fyodorov, ex viceministro degli Esteri ha detto ad al-Jazeera che Mosca potrebbe inviare un buon numero di forze speciali per assicurarsi una “vittoria decisiva”.

L ‘emittente araba ha ricordato ieri che Putin, quando annunciò l’intervento in Siria, più di otto mesi fa, escluse “per il momento” qualsiasi partecipazione a operazioni di terra.

Tuttavia diverse unità terrestri russe sono già state viste in azione sul campo di battaglia (spetsnaz, tank T-90, blindati e artiglieria) e a fronte dello stallo delle forze siriane impegnate su più fronti contro i ribelli, il Cremlino vorrebbe una situazione più favorevole a Damasco per avere poi più forza al tavolo dei negoziati.

Arriva la USS Truman
Anche gli Usa sembrano intensificare gli sforzi contro l’Isis lanciando raid aerei per la prima volta dal Mediterraneo orientale dove incrocia la portaerei Harry S. Truman. Era dal 2003 (operazione Iraqi Freedom) che non si impiegava una portaerei americana nel Mediterraneo per prendere di mira bersagli in Medio Oriente.

L’annuncio è stato dato dal comando delle forze Usa in Europa e confermato dalla marina americana, che non ha tuttavia precisato ufficialmente se gli attacchi siano avvenuti in Siria- come indica una fonte a Fox news – o in Iraq, né il tipo di bersaglio. “Finché il gruppo d’attacco della Harry S. Truman si troverà nell’area delle operazioni della Sesta Flotta, continuerà a proiettare forza verso terra contro i terroristi e gli estremisti violenti”, ha dichiarato il vice ammiraglio James Foggo, comandante della Sesta flotta Usa.

Nessun cenno sull’ipotesi che prima dei raid sia stato chiesto il permesso del governo siriano o dei militari russi, che a Latakia hanno installato i missili anti-aerei S-400. La posizione di Washington è che attualmente non sta coordinando i suoi raid in Siria con Mosca, ma Usa e Russia si parlano costantemente anche per evitare possibili incidenti.

Più illuminante un altro ufficiale anonimo della marina Usa: “Questo dimostra che possiamo condurre operazioni di volo contro l’Isis anche da altri luoghi, non solo dal Golfo Persico”, ha confidato a Fox News. Potrebbe quindi essere un messaggio alla Turchia, il cui governo recentemente si è lamentato per il sostegno Usa alle milizie curde che combattono l’Isis: come a dire che gli Stati Uniti non dipendono esclusivamente dalla base turca di Incirlick.

Ma potrebbe essere un messaggio pure per Mosca, per la sua crescente presenza militare e la sua progressiva influenza nella regione. Anche la Russia del resto presidia il Mediterraneo orientale, da dove in passato ha già lanciato missili contro l’Isis a Raqqah, dopo la dimostrazione di muscoli con i missili sparati dalle navi della Flottiglia del Caspio.

Finora invece gli Usa avevano fatto partire i loro attacchi aerei all’Isis dal Golfo persico, dove la Uss Truman ha stazionato otto mesi, o da basi a terra di vari Paesi: non solo la Turchia, ma anche il Bahrain e gli Emirati Arabi.

(con fonti Ansa, Velino e Askanews)

Foto: SANA, Esercito Iracheno, AP,  US DoD,

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