MARCO BERTOLINI: NON SI VINCE SENZA TRUPPE DI TERRA

Intervista di Beppe Boni da Quotidiano Nazionale del 4 agosto 2016

Figlio di un reduce di El Alamein, ha trascorso quasi interamente la sua carriera al comando di Forze speciali o dei paracadutisti, Folgore compresa, e ha preso parte alle più importanti missioni di peacekeeping: Somalia, Bosnia, Kosovo, Libano, Afghanistan.

Da un mese il generale di corpo d’armata Marco Bertolini (nella foto a sinmistra), 63 anni, ha chiuso la carriera alla guida del Coi, il Comando operativo di vertice interforze, l’organismo che coordina le missioni all’estero.

L’Europa è in guerra?
«L’Europa è un concetto evanescente. Ci sono Paesi che si considerano in guerra, come Francia e Gran Bretagna. L’Europa non potrà mai avere una politica di difesa comune poiché i Paesi membri hanno una percezione di se stessi molto diversa. E’ minacciata, questo sì».

I raid aerei Usa sono sufficienti ad annientare il Califfato?
«La Libia è un Paese enorme che non si limita a Sirte. Ha una costa che comprende Derna, Bengasi, Misurata, Sabrata, Tripoli dove è concentrata la popolazione. Poi c’è un entroterra sconfinato. Premetto ciò per dire che escludo che qualche raid su Sirte possa essere risolutivo. Può rimuovere il pericolo immediato o consentire di dare respiro alle forze che a terra si contrappongono a Isis. Il problema si risolve controllando tutto il territorio».

Serve una operazione di terra?
«Nessuna guerra è mai stata risolta solo con incursioni aeree. Dall’alto si distruggono obiettivi mai poi è necessario arrivare al controllo dell’area che può essere assicurato solo dai soldati».

Le operazioni russe in Siria?
«La Russia ha acquisito credito sull’opinione pubblica occidentale con il suo attivismo in Siria. E’ stato un intervento che ha consentito, fra le altre cose, di riprendere Palmira e di sottrarre ampie aree al fronte terroristico. Se non fosse intervenuta la Russia Assad sarebbe caduto e avremmo il potere in mano a Isis e Al Nusra. Gli Usa ora puntano sulla Libia per recuperare terreno su Putin».

Proprio Putin dice che i raid aerei americani solo illegali.
«La legalità nei teatri bellici è un concetto elastico. E’ stato legale l’intervento della cosiddetta comunità internazionale in Libia per rovesciare Gheddafi quando la risoluzione autorizzava solo una no fly zone? La legalità è definita da chi ha la forza maggiore».

L’Italia dovrebbe prendere parte alle operazioni libiche?
«Il nostro Paese è interessato a ciò che succede in Libia perché subiamo le conseguenze dell’iniziativa sciagurata contro Gheddafi. I migranti che arrivano sulle nostre coste sono uno dei nodi. Le basi aeree di Aviano e Sigonella sono già a disposizione degli americani».

Quindi?
«Gli Usa hanno esigenze strategiche e di fronte ad una richiesta non possiamo dire di no».

Un appoggio agli Usa espone l’Italia a ritorsioni terroristiche?
«L’Italia è già esposta e non legherei possibili attentati al nostro impegno. Cani sciolti vicini all’Isis possono agire ovunque».
Perché il leader del governo libico di unità nazionale Fayez al Sarraj ha chiesto aiuto solo ora?
«Avrebbe avuto l’interesse a far da solo per dimostrare che controlla il territorio. Ma si è reso conto che non è possibile. Non dispone degli strumenti necessari, mentre nella Libia occidentale il governo di Tobruk è molto attivo».

Con possibili truppe di terra, come si dovrebbe agire?
«È necessario innanzitutto riprendere il controllo di tutta la fascia costiera. Bengasi è un punto difficile, a Sirte stanno operando adesso, a Misurata si combatte senza risultati apprezzabili. Poi bisogna muovere verso sud e acquisire il controllo del territorio. Una operazione immane».

Che forze servirebbero?
«Certo non solo militari, che comunque dovrebbero prevedere centinaia di migliaia di uomini. La Libia è crocevia dei profughi dall’Africa e quindi si apre uno scenario umanitario che prevede campi nel deserto e uno scenario politico per trattare con le tribù. E il traffico dei migranti, che regge il Pil, va sostituito con una economia vera».

Si dice che in Libia operino già forze speciali italiane?
«Non mi risulta. Ci sono i francesi e i britannici».

In Iraq si parla dell’operazione Centuria condotta dalla Task force 44?
«È una delle componenti impegnata in attività di supporto alle forze irachene per attività di addestramento. Come a Erbil e Mosul».

Il governo italiano investe a sufficienza sulla Difesa?
«Siamo sotto il livello accettabile. Spendiamo sempre meno. Ora riusciamo solo ad addestrare a livelli minimi le unità impegnate all’estero. Per tutto il resto mancano risorse, compresa la manutenzione delle caserme».

La difesa interna è solida?
«Abbiamo ottimi apparati di forze dell’ordine. Ma si potrebbero utilizzare meglio le risorse militari. Oggi i soldati di Strade sicure a disposizione del Ministero dell’interno fanno i piantoni. I vertici militari andrebbero coinvolti nella pianificazione e nel comando».

Foto: Difesa.it, AFP, Reuters, US DoD e Stato Islamico

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