Verità da post-giustizia per Ustica: il colpevole deve essere un alleato

La parola internazionale dell’anno, secondo gli Oxford Dictionaries, è post truth, post-verità, una sorta di virus che si diffonde contaminando tutti gli ambiti. E nel nostro Paese comprende la giustizia, genera la post truth justice, ovvero una giustizia in cui l’oggettività dei fatti influisce sull’opinione pubblica meno delle emozioni e del convincimento personale. Lo ha spiegato chiaramente Luciano Capone su Il Foglio del 22 novembre, citando l’esempio del caso Xylella, il batterio che ha colpito gli ulivi del Salento, sulla cui origine sta indagando la Procura di Lecce.

“A distanza di oltre un anno dall’inizio delle indagini – scrive Capone – tutte le ipotesi presentate sono state smentite dalle massime autorità scientifiche. Nella ricostruzione dei magistrati oltre alla logica mancano le prove, ma la carenza evidentemente non ha impedito all’inchiesta di proseguire a furor di popolo (…) e dopo sei mesi di indagine e sei mesi di proroga, la Procura chiede altri sei mesi per chiudere l’inchiesta, perché nel frattempo sta indagando su una nuova ipotesi…”.

Nella ricostruzione dei magistrati, oltre alla logica mancano le prove… la Xylella come Ustica. Sono passati 36 anni dall’incidente, diciassette dall’ordinanza del giudice istruttore Rosario Priore, dodici dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma – confermata in Cassazione – che ha stabilito che “nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere. [..] Tutto il resto è fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte ottantuno vittime innocenti.[..]”, eppure la Procura di Roma sta ancora indagando sull’affaire Ustica.

ustica3-messaggeroLo sta facendo da nove anni, da quando nel 2008 l’ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga dichiarò che il DC9 sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato per sbaglio da un aereo francese. Era la “nuova ipotesi” che ci voleva per far partire una nuova inchiesta. Non sono molte le certezze sul caso Ustica, ma sono determinanti. Non c’erano altri aeroplani in volo insieme con il DC9 nell’arco di 50-60 miglia (90-100 km), come stabilì la commissione Dalle Mese; l’aeroplano non fu colpito da un missile, come stabilì la commissione Casarosa; l’esplosione in volo, le fratture e i danni rilevati sul relitto indicano come estremamente probabile un’esplosione interna, come stabilì la commissione Misiti.

Questi tre risultati non sono però serviti alla magistratura per abbandonare le tesi fantasiose, anzi. Le dichiarazioni di Francesco Cossiga ancora oggi servono per far proseguire l’inchiesta, alla ricerca di un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica. Se poi si riuscirà a dimostrare che questo colpevole è un Paese nostro alleato, in base alla Convenzione di Londra del 1951 l’Italia avrà diritto a richiedere il rimborso di quanto è stato risarcito ai parenti delle vittime, agli eredi Davanzali (proprietario dell’Itavia) e ai creditori della stessa compagnia.

Con l’affaire Ustica, l’Italia sarà andata oltre la post truth degli Oxford Dictionaries, oltre la sua applicazione alla justice citata da Il Foglio. Avrà dato vita alla post justice truth, la verità nata da una giustizia determinata dall’opinione pubblica (o da una parte di essa) e dalle emozioni, più che dall’oggettività dei fatti.

Isabella StifaniVedi tutti gli articoli

Giornalista professionista dal 1988, ha maturato esperienza in comunicazione e giornalismo nel settore aerospaziale con frequenti contatti internazionali (Europa e USA) con aziende del settore. Dal 1981 al 1984 responsabile ufficio stampa di primaria industria aeronautica nazionale del settore della Difesa (Aermacchi) presso cui ha curato anche la redazione della rivista aziendale. Dal 1984 al 2013 redattore e caposervizio del mensile di aviazione Volare nei settori difesa, trasporto aereo commerciale e aviazione d’affari. Ha collaborato con testate italiane ed estere.

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