Escalation bellica in Afghanistan: a Helmand tornano i Marines, a Farah gli italiani

(aggiornato alle ore 23,13)

Una media di 70 persone sono morte o sono rimaste ferite quotidianamente negli ultimi cinque mesi in Afghanistan, con un importante picco in ottobre. Lo riferisce l’agenzia di stampa Pajhwok, precisando che questo bilancio è andato via via attenuandosi con la fine della stagione dei combattimenti causata dal duro inverno afghano.

Secondo un rapporto preparato dall’agenzia sulla base di differenti fonti, 5.887 persone sono state uccise e 4.410 hanno riportato ferite in 777 attacchi realizzati negli ultimi cinque mesi del 2016. Metà di questi attacchi sono avvenuti in solo sei delle 34 province afghane: Nangarhar, Helmand, Kandahar, Faryab, Kabul e Farah. Infine il rapporto segnala che la maggior parte delle vittime sono state causate da scontri ravvicinati e da bombardamenti aerei o di artiglieria.

L’escalation della pressione talebana (di cui AD si è occupata anche nei giorni scorsi con dati aggiornati sulle perdite alleate)  sta costringendo le forze alleate dell’Operazione Resolute Support (che ha compiti di addestramento, assistenza e consulenza per le forze di sicurezza afghane) a tornare sempre più spesso a operare in prima linea in appoggio alle truppe afghane.

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In ottobre gli italiani (che schierano ancora quasi un migliaio di militari a Herat con forze speciali, fanteria aeromobile, consiglieri militari e 8 elicotteri tra A-129D Mangusta e multiruolo NH-90) sono intervenuti in modo decisivo nella pianificazione e supporto di una duplice controffensiva tesa ad alleggerire la pressione talebana su Farah City, capoluogo dell’omonima provincia, una delle più importanti per la produzione di oppio.

La battaglia ha avuto scarsa eco in Italia ma il reportage di Ettore Guastalla per Rai News 24 ha riferito di centinaia di perdite tra gli insorti.

La situazione in quella provincia resatra comunque molto grave come dimostra la notizia diffusa oggi che 200 militari, 130 statunitensi e 70 italiani, sono stati distaccati  presso il locale comando afghano. Lo ha dichiarato il portavoce del governo provinciale, Nasir Mahri. Senza fornire dettagli ulteriori sulla composizione del reparto di circa 200 uomini dispiegato nella provincia, Mahri ha confermato che la richiesta di appoggio è venuta dal governo provinciale, “data la crescente insicurezza” provocata dalla pressione dei militanti talebani. “Fino a quando le attività dell’insorgenza continueranno – ha infine detto – questo contingente resterà nella provincia”.

Negli anni scorsi le truppe italiane avevano liberato a caro prezzo quasi interamente dai talebani il territorio di Farah come delle altre tre province dell’Afghanistan Occidentale ma il ritiro delle forze alleate dell’Isaf (International Security Assistance Force) della Nato ha permesso agli insorti di riguadagnare terreno in molte province.
Gravissima a situazione anche a Helmand, a sud di Farah dove in primavera verrà schierato nuovamente un reparto di Marine statunitensi.

L’unità, proveniente dalla Seconda Marine Expeditionary Force basata a Camp Lejeune nella North Carolina, sarà denominata Task Force Southwest e dovrà consigliare e sostenere le forze militari afghane del 215° Corpo d’armata e qyuelle di polizia della “Zona 505” che hanno perduto il controllo dell’intera provincia (da sempre la più “calda” dell’Afghanistran) e che sono ora barricate neo capoluogo Laskar Gah e nella ex base anglo-americana nota come Camp Leatherneck, ribattezzata Camp Shorab dopo il ritiro degli ultimi marines americani nel 2014.

imrsPer il generale di brigata Roger B. Turner Jr (nella foto a lato), che guiderà il reparto “si tratta di una missione ad alto rischio in cui i marines dovranno essere in grado di far fronte a una vasta gamma di minacce”.

Attualmente sono presenti in Afghanistan 12 mila militari alleati (tra i quali 8.400 statunitensi, 950 italiani, mille tedeschi) inseriti per lo più nell’operazione NATO Resolute Support mentre circa il 30 per cento delle forze americane incluse forze aeree da attacco conduce operazioni contro talebani, al-Qaeda e la branca afghana dello Stato Islamico sotto comando nazionale.

Il futuro della presenza militare alleata in Afghanistan dipenderà (come sempre) dalle decisioni che verranno assunte in tal senso dalla nuova Amministrazione di Washington del presidente Donald Trump che già in campagna elettorale aveva riconosciuto che il ritiro definitivo delle truppe americane avrebbe fatto collassare il governo di Kabul.

2 Il ritorno dei militari alleati in prima linea sembra in ogni caso confermare il fallimento del programma di ritiro voluto da Barack Obaam è sostenuto per anni da un’abbondante quanto infondata “narrazione” sulle capacità delle forze afghane di affrontare da sole i talebani in battaglia quando ancora oggi pianificazione e coordinamento operativo devono essere gestiti dagli alleati. Un ritiro affrettato (come lo fu quello dall’Iraq nel 2011 con i risultati da tempo sotto gli occhi di tutti) che ha reso inutile la morte di migliaia di soldati alleati dal 2001 al 2014 (oltre3.500 caduti in Afghanistan e più di 4.800 in Iraq).

Sul piano squisitamente militare, come da tempo sostiene Analisi Difesa, il modo migliore per contrastare i talebani e assistere con efficacia le forze di Kabul è riposto nella capacità di schierare in ogni regione militare (Kabul, Nord, Est, Sud, Ovest e Sud-Ovest) un dispositivo da combattimento a livello reggimento interarma da affiancare ai consiglieri militari che appoggiano le truppe afghane.

Un reparto composto da un battaglione di fanteria leggera (meglio se con una compagnia meccanizzata), una batteria di artiglieria più una componente elicotteri e velivoli teleguidati (droni) e altri supporti.
Sei reparti di questo tipo basati presso gli aeroporti nelle diverse aeree afghane potrebbero contrastare efficacemente la minaccia con il supporto di aerei da combattimento dispiegati in almeno quattro basi (per esempio a Bagram, Herat, Jalalabad, Kandahar). In tutto circa 10/12 mila uomini, quanti ne sono presenti oggi con compiti di supporto e consulenza.

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Non si tratterebbe però di raddoppiare gli effettivi poiché molti compiti logistici e di comando e controllo non verrebbero duplicati e probabilmente 18/20 mila militari sarebbero sufficienti a garantire una forza da combattimento credibile e una struttura di supporto agli afghani efficace.

Il ripristino di un forza da combattimento alleata in Afghanistan, anche se composta da un numero limitato di truppe rispetto al passato, richiederebbe una coesione multinazionale da costituirsi intorno a una precisa volontà dell’amministrazione Trump che in questo momento non sembra godere di molte simpatie in Europa. Inoltre restano molti dubbi circa il fatto che il Vecchio Continente (rivelatosi incapace di affrontare con decisione la guerra allo Stato Islamico, la minaccia terroristica islamica e i flussi selvaggi di immigrazione clandestina) abbia la capacità e la volontà di tornare a combattere una guerra per salvare Kabul dai talebani.

Foto: Isaf, US DoD, Italian Army Aviation Battalion Isaf e Op,. Resolute Support,

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