Aereo o simulacro? Quanti interrogativi sul caccia iraniano Qaher F-313

Con il filmato diffuso dall’agenzia iraniana Iribnews e rilanciato su internet da Youtube e canali simili a partire dal 15 aprile 2017, l’Iran ha riportato l’attenzione sul suo discusso prototipo di caccia leggero Qaher F-313, che si è esibito a Teheran su una vasta piazzola aziendale della IHRSC, Iranian Helicopter Support and Renewal Company, una delle tante fabbriche aeronautiche persiane conglomerate nel consorzio statale IAIO, o Iran Aviation Industries Organization.

Del velivolo si parla da quattro anni ed è stato ritenuto fin dalle sue prime apparizioni in quanto sagoma inerte, all’inglese un “mock up”, una sorta di operazione di inganno orchestrata per far sopravvalutare le capacità iraniane di costruirsi aeroplani da combattimento. Ma stavolta il velivolo è stato mostrato in movimento autonomo, marciando sulla pista, pur senza decollare, spinto dalla sola propulsione a reazione. E sotto il controllo, più o meno completo, di un collaudatore seduto nel suo abitacolo monoposto. Qual è dunque la verità dietro questo velivolo? Assistiamo forse a un mero passo in più nella messinscena, oppure ci troviamo di fronte a un vero aeroplano, per quanto ancora in gestazione? Forse l’ipotesi più plausibile è che sia ancora una sorta di “embrione” di un programma però vero, destinato comunque a sfociare in un aeroplano operativo, presto o tardi.

 

Sfilata sulla pista

Il mondo degli esperti è come sempre diviso, seppure sembri prevalere l’opinione che si tratti di fumo negli occhi, di un giocattolo sofisticato per ingannare il nemico principale, il “Grande Satana” americano, come nel 1979 il defunto ayatollah Rullah Khomeini aveva battezzato gli USA. Vero è, tuttavia, che la maggior parte dello scetticismo viene dal fatto che le dimensioni dell’aereo, innanzitutto, sembrano troppo limitate, quasi che fosse impossibile a priori, quasi dogmaticamente, anche solo pensare a un concetto odierno di caccia leggero di misure, e costi, contenuti.

Il recente filmato ha mostrato una versione mobile e decisamente realistica di quella sorta di “fantoccio” che era stato svelato il 2 febbraio 2013 all’allora presidente uscente Mahmud Ahmadinejiad. Il cosiddetto Qaher (che in persiano significa “Condottiero” o “Conquistatore”) F-313, era stato spacciato fin da allora per il prototipo di un sedicente caccia iraniano “di quinta generazione”, con caratteristiche “stealth” e di alta manovrabilità. Canard, spigoloso e con doppia deriva verticale, il velivolo, che forse era solo un modello a grandezza naturale non volante, aveva ala a cuspide spezzata, con le estremità angolate verso il basso.

FARS Q-313-4

Presentava però diverse anomalie segnalate dagli ingegneri, soprattutto americani e israeliani, che hanno visionato le foto e i filmati diffusi a suo tempo dal governo di Teheran. Lo si pretese collaudato anche in volo, ma si trattava soltanto di modellini in scala radiocomandati. Non erano stati divulgati dati precisi, ma dalle prime immagini il velivolo sembrava lungo una decina di metri. Non convincevano le prese d’aria, piccole e di forma inefficiente, sospettate di non poter assicurare sufficiente ventilazione alla turbina del motore. La forma curiosa dell’ala ha fatto parlare di assetto instabile, quando non di insufficiente portanza per sostenerne il volo. Si è poi rasentata la comicità rilevando che l’abitacolo era troppo angusto e che il primitivo tettuccio in Perspex, troppo basso, avrebbe urtato la testa del pilota, non lasciando spazio sufficiente nemmeno per un normale sedile eiettabile, quasi che il pilotaggio dell’aereo dovesse essere riservato a soli nani.

L’aereo mostrato in movimento autonomo sulla pista nell’aprile 2017, e siglato con un numero di matricola 08 sulle derive di coda, si è rivelato però diverso sotto molti aspetti. Anzitutto le immagini hanno mostrato chiaramente il pilota iraniani sedersi nell’abitacolo e abbassare il tettuccio agevolmente. Poi è stata mostrata la coda del velivolo, a dimostrazione che ci sono ben due ugelli di scarico dei turbogetti funzionanti che lo hanno spinto a terra a moderata velocità. Il carrello, con le sue gambe di forza ammortizzate e i suoi sportelli di retrazione, sembra autentico e c’è anche una piccola torretta retrattile di sensori infrarossi FLIR, o pretesa tale.

La forma aerodinamica resta in apparenza problematica con quell’ala di superficie relativamente limitata le cui estremità si piegano verso il basso, ossia con diedro negativo, per aggiungere evidentemente stabilità longitudinale. Piani canard sostengono il muso, del resto appiattito di suo a ispirazione di quei concetti di fusoliera portante che si sono già visti in vari prototipi di caccia di “quinta generazione”. Le prese d’aria, per la verità, paiono essere rimaste troppo piccole, ma è un fatto che i turboreattori funzionino, almeno a sufficienza per spingerlo sulla pista.

 

Un motore o due?

Gli ugelli del prototipo funzionante, o almeno “camminante”, sono due, non c’è dubbio, ma viene da chiedersi se i motori siano altrettanti. Se il propulsore fosse unico, le piccole prese d’aria potrebbero essere più che sufficienti a garantirgli ventilazione in qualsiasi assetto di volo. E due ugelli di scarico anziché uno solo aiuterebbero a diluire la traccia infrarossa, a meno che non si tratti di uno stratagemma per far passare un monomotore per bimotore e che poi nella ipotetica versione operativa lo scarico del jet non risulti singolo, magari appiattito a incentivare il raffreddamento degli scarichi.

F-313

Il probabile propulsore si ritiene essere un turboreattore copiato in Iran a partire dai numerosi General Electric J85 rimasti nel paese dopo la rivoluzione islamica del 1979 e che erano montati sui caccia F-5 dell’aviazione dello Scià Reza Palhevi. Si sa di una nuova versione del J85 realizzata in Iran, detta Owj e presentata nell’agosto 2016. L’ingombro del J85 e dei suoi derivati è molto limitato, poiché, se privo del lungo postbruciatore, il corpo compatto del turbogetto si riduce a non più di 110 cm di lunghezza e 46 cm di diametro, praticamente un grosso bidone. Pesa non più di 230 kg e senza postbruciatore genera una spinta, a seconda delle versioni, attorno alle 3000 libbre, circa da 1500 a 1700 kg, ma che il derivato indigeno Owj potrebbe aver portato sopra 2000-2200 kg di spinta.

Non è molto, ma se il velivolo è abbastanza leggero pare sufficiente ad assicurargli una velocità almeno alto-subsonica, fin quasi a 1000 km/h o poco oltre. E qui veniamo al problema delle dimensioni, delle quali l’unica indicata con certezza è l’altezza di 2,85 metri, mentre lunghezza e apertura alare sono stimate, a giudicare dalle proporzioni con la corporatura del pilota, in 13,76 m e 5,18 m. La sagoma appiattita incoraggia una valutazione di peso limitato, il che potrebbe consentire un’adeguata portanza anche se l’ala è di piccola superficie. Se supponiamo che, date quelle dimensioni, più simili a quelle di un caccia della Seconda Guerra Mondiale che a un supersonico di oggi, il peso totale al decollo non sia superiore ai 6000-7000 kg, il velivolo potrebbe davvero essere una macchina capace di volare.

Che poi alcune soluzioni aerodinamiche, specie l’ala spostata così a poppa e dalla sagoma a vistoso gabbiano, lascino perplessi gli ingegneri occidentali, ci sta. Ma può anche darsi che l’evoluzione del velivolo non sia che in mezzo al guado e quindi il vero prototipo volante sia destinato ad sfoderare ulteriori aggiustamenti. Lo scorso 5 marzo il ministro della Difesa iraniano, generale Hossein Dehqan, aveva annunciato che il lavoro sul nuovo caccia poteva dirsi completo, ma è chiaro che non è così.

Data l’attenzione che il regime di Teheran ha sempre assegnato alla propaganda, non sarebbero stati tenuti nascosti veri test di volo ed è chiaro che la squadra dei progettisti del Qaher, guidata dall’ingegner Hassan Parvaneh, ci sta ancora lavorando pesantemente. L’agenzia Fars ha nei giorni scorsi dichiarato, in modo un po’ confuso: “Il Qaher è un velivolo logistico (sic!) per le brevi distanze ed è un caccia a reazione leggero usato per operazioni militari e di addestramento. Alcuni esperti militari hanno sostenuto che il Qaher è un caccia di quinta generazione”.

La verità è che il prototipo in rullaggio sullo spiazzo della IHRSC sembrerebbe ancora un velivolo incompleto, stando ad acuti osservatori come il giornalista David Axe, secondo cui la pressione degli pneumatici sul terreno è troppo bassa per pensare a un velivolo con a bordo la dotazione completa di impianti e carburante. Potrebbe davvero essere solo un guscio di vetroresina con finto carrello, in cui le uniche parti autentiche sono solo il turbogetto (o due) per spingerlo, il carburante appena sufficiente per farlo sfilare a beneficio delle telecamere e quei pochi apparati per consentire al pilota nell’abitacolo di controllarne la marcia, agendo sul ruotino sterzabile sotto il muso e sull’apparato propulsivo.

 

Attacco a breve raggio

Se dunque l’aggeggio mostrato nel filmato è ancora una “mascherata”, questo non toglie che gli iraniani vedano forse nel Qaher un programma realistico per creare un aereo da combattimento piccolo, leggero, economico e a breve raggio. Un programma che, pur lentamente, si muove lungo la trafila dai mockup ai modelli in scala, fino al simulacro “ambulante” a scopo propagandistico. Il disegno è certo azzardato, ma non troppo, considerato che le alette canard, tutto sommato, sono relativamente ampie e, similmente al ben funzionante caccia cinese Chengdu J-20, possono avere una funzione più di mera portanza ed equilibrio baricentrico, che manovriera.

Iran F-313

Lo spazio interno della fusoliera è angusto, ma probabilmente sufficiente ad accogliere carburante per brevi missioni. Se i turbogetti della famiglia J85 consumano, a seconda delle condizioni di volo, fra 380 e 1500 litri di “kerosene” all’ora, e se assumiamo che la densità media dei carburanti per aviogetti rasenta gli 800 grammi al litro, un ipotetico serbatoio interno di 1000-1200 litri, ossia un ricavabilissimo volume di un metro cubo o poco più, il peso del carburante sarebbe fra 800 e 960 kg. Modulando fra crociera economica e velocità di punta, l’aereo potrebbe, almeno sulla carta, effettuare missioni della durata di circa un’ora o anche più. A quale scopo?

Gli iraniani hanno dichiarato un armamento di “due bombe da 900 kg l’una e sei missili aria-aria”. Pare gonfiato e sicuramente vanificherebbe la pretesa bassa osservabilità radar che si vorrebbe conseguire con la sagoma da rozzo stealth. Non sembra infatti esserci posto per stive interne abbastanza capienti, a meno che l’armamento finale non si stabilizzi invece in un cannone interno e in una piccola quantità di missili, forse appena due o tre in alternativa a bombe poco ingombranti. Il Qaher potrebbe trovare la sua collocazione ideale come incursore economico con cui attaccare naviglio nemico nello Stretto di Hormuz, e nelle acque limitrofe del Golfo Persico, laddove le distanze da percorrere sarebbero minime.

In una nostra precedente, e approfondita, analisi delle forze aeree iraniane, rilevammo come, per citare solo le 17 più grosse basi aeree dell’aeronautica iraniana, almeno 4 sono molto vicine a Hormuz e in genere al mare, da poter minacciare in caso di guerra, numerosi attacchi aerei contro forze navali ostili, siano esse americane, saudite o di altri stati della regione. Vicinissima a Hormuz è la base di Bandar Abbas, vicino all’isola di Qeshm, a 50 km dal passaggio strategico fra il Golfo Persico e il Mare Arabico. Più lontane, ma entro i 650 km di distanza, Busher, Shiraz e Kerman a cui si può aggiungere la vasta pista civile di Kish e, probabilmente, alcuni campi sussidiari da cui un caccia piccolo e leggero potrebbe decollare facilmente.

Se la ragion d’essere del velivolo fosse quella di disporre in futuro di una macchina semplice e fabbricabile in grandi quantità per essere impiegata in attacchi di superficie integrando i missili, dato il livello delle difese antiaeree imbarcate sulle unità della US Navy, si sarebbe ai limiti del suicidio. Il che però potrebbe non essere un problema per elementi indottrinati sul tipo dei Pasdaran. A meno che, ed è una possibilità attualmente remota, il Qaher non sia, anche, un dimostratore tecnologico per poi sviluppare in segreto un drone armato a bassa osservabilità, il che però pone il problema di quanto siano avanzate le capacità elettroniche degli ingegneri di Teheran.

 

Il concetto di mini-caccia

Un altro possibile ruolo del Qaher potrebbe essere quello di caccia puro, o meglio di piattaforma per portare in quota un paio di missili aria-aria. Una sorta di “intercettore di fortuna” con cui affiancare i nuovi Sukhoi in acquisto dalla Russia e che potrebbe essere riservato al contrasto degli aerei nemici di più basse prestazioni, come elicotteri o droni da ricognizione. Il muso del Qaher è però striminzito e non offre spazio per un radar d’intercettazione degno di questo nome. Potrebbe operare solo sotto stretto controllo da terra, divenendo una componente fortemente integrata, e territoriale, data la scarsa autonomia, della rete di difesa aerea iraniana che si sta attrezzando con nuove stazioni radar di terra.

Nella storia dell’aviazione, del resto, l’idea del caccia leggero, o anche leggerissimo, per la “difesa di punto” non è nuova come ricorda l’epopea del caccia a razzo tedesco Messerschmitt Me.163 Komet, operativo nel 1944, fra le ultime armi segrete di Hitler e dai consumi talmente elevati che le missioni su allarme contro le Fortezze Volanti, i Boeing B-17, si misuravano addirittura in una manciata di minuti! O come il bizzarro mini-jet McDonnell XF-85 Goblin, sperimentato nel 1948 come “caccia parassita” per la scorta ravvicinata degli enormi bombardieri esamotori Convair B-36, sganciato in volo dai colossi e da essi recuperabile. Passò così alla storia, il Goblin, come il più piccolo caccia a reazione del mondo, con apertura alare di soli 6,4 metri e lunghezza di 4,5 metri.

A parte questi eccessi, una storicamente comprovata ottima prova la diede un altro famoso caccia leggero, l’inglese Folland Gnat, apparso come prototipo nel 1955, nel bel mezzo del medesimo concorso NATO per un velivolo da combattimento leggero vinto dall’italiano Fiat G.91. In appena 8,7 metri di lunghezza e 6,7 metri di apertura alare, con peso massimo di 4000 kg, lo Gnat racchiudeva prestazioni che ancora oggi, in proporzione alle piccole dimensioni e ai costi contenutissimi, sarebbero di tutto rispetto, con una velocità massima di 1100 km/h e un’autonomia di 800 km, il tutto portando due cannoncini da 30 mm e due ordigni, bombe o missili che fossero. Lo Gnat, come noto, si rivelò un combattente di razza, sempre fatte le debite proporzioni, nelle mani degli aviatori indiani durante le due guerre combattute, nel 1965 e 1971, fra India e Pakistan.

Peraltro, sul concetto di caccia o assaltatore leggero si è poi tornati più volte, per citare un idea interessante l’abortito progetto SABA, o Small Agile Battlefield Aircraft (“Aereo Piccolo e Agile da Campo di Battaglia”) a turboelica studiato nel 1987 dagli inglesi della British Aerospace, ma rimasto confinato sui tavoli da disegno.

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Se tutto ciò è stato possibile molti anni fa, coi limiti tecnologici dell’epoca, la miniaturizzazione dell’elettronica e la maggior disponibilità di materiali avanzati, dalle fibre di carbonio, al titanio, per finire col grafene, potrebbero ridare oggi nuove possibilità all’idea di un velivolo da combattimento piccolo e poco costoso, la cui potenziale disponibilità in un numero di esemplari molto superiore rispetto a un grosso caccia di “quinta generazione” potrebbe essere considerata di per sé una vera e propria “prestazione” tantopiù per paesi come l’Iran, relativamente poco sensibili alle perdite umane in conflitto.

In tale prospettiva, il programma Qaher F-313 potrebbe veramente sfociare in nugolo di caccia leggeri preposti a difesa e offesa in una fascia di poche centinaia di chilometri dai confini, terrestri e marittimi, dell’Iran. Certo resta aperto l’interrogativo sulla effettiva capacità di assicurare una bassa osservabilità radar, ma questo è un problema di materiali e di sagomature delle superfici esterne. Sotto questo aspetto, le dimensioni molto contenute di per sé non sono ovviamente un limite, anzi aggiungono semmai il vantaggio di offrire un ridotto bersaglio ottico.

La condizione, però, perché folte squadriglie di caccia leggeri possano operare agevolmente nel contesto moderno, è l’allestimento di sicuri collegamenti radio e data link con capillari reti radar e C3I di base a terra, che ovvierebbero alla carenza di sensori, specie il radar prodiero, imbarcati sui velivoli. Se gli iraniani lavoreranno su questi sistemi di terra, in particolare nella loro protezione, schermatura e ridondanza, il “giocattolo” funzionerà e non volerà alla cieca.

Foto FARS e IRNA

 

 

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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