Belgrado riceve i primi “nuovi” Mig 29

Catalizzando l’attenzione di quasi tutti i media nazionali, nella giornata di lunedì 2 ottobre è atterrato all’aeroporto militare di Batajnica l’Antonov 124 russo che ha trasportato i primi due dei sei Mig-29 di seconda mano donati alla Serbia da Mosca nell’ambito di un programma che prevede la fornitura gratuita anche di 30 carri T-72S, altrettanti blindati ruotati BRDM 2 e, a quanto sembra, anche di batterie di missili terra-aria a lungo raggio S-300.

Altri 8 Mig 29 usati dovrebbero venire consegnati dalla Bielorussia (sempre a titolo gratuito) entro il 2019 secondo un accordo annunciato nel gennaio scorso che comprenderebbe anche batterie per la difesa aerea BUK M1.

Come ricorda il sito Tangosix la data scelta per l’arrivo di questa fornitura tanto attesa non è casuale, in quanto cade in prossimità dell’anniversario del primo volo in assoluto di un Mig-29 (avvenuto il 6 ottobre 1977) e della prima dimostrazione sui cieli dell’allora Jugoslavia (24 settembre 1987). I nuovi Mig saranno ufficialmente consegnati con un cerimonia prevista tra una ventina di giorni secondo quanto annunciato dal ministro della Difesa serbo, Aleksandar Vulin.

Grazie ai buoni rapporti bilaterali, nonché al minor costo del velivolo sovietico rispetto ai concorrenti occidentali,  lo Stato socialista balcanico decise sin da subito di dotarsi del nuovo caccia, non riuscendo mai a sostituire completamente i più datati Mig-21 a causa delle ristrettezze economiche e, soprattutto, della guerra civile scoppiata all’inizio degli anni ‘90.

L’aeronautica della nuova Jugoslavia di Milošević (SRJ) ereditò buona parte dell’arsenale del Paese, potendo così impiegare massicciamente il nuovo aereo sia durante il conflitto con la Croazia che con le truppe bosniaco-musulmane. L’alto numero di ore di volo imposte ai piloti, l’assenza di nuovi pezzi di ricambio e le crescenti pressioni internazionali, però, vanificarono quasi subito lo sforzo fatto per ammodernare l’aviazione militare.

Alla vigilia dell’attacco NATO contro la SRJ, infatti, solo un bassissimo numero di mezzi era pronto al volo, ma soprattutto buona parte della nuova generazione di piloti non aveva che un rudimentale addestramento, certamente inadatto a fronteggiare quello che era ed è tutt’ora il più forte strumento militare esistente al mondo.

Nel disperato tentativo di difendere la capitale del Paese dai bombardamenti dell’Alleanza Belgrado riuscì a schierare solamente 16 aerei, dei quali ben 11 furono distrutti (4 a terra, 6 in volo e 1 si schiantò da solo).

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Gli anni seguenti furono ancora peggiori per la forza aerea tanto che, come sottolinea ancora Tangosix, solo nel 2006 venne approvato un finanziamento per procedere a rimettere in condizioni operative 5 Mig-29. A causa dell’errato stanziamento del budget, però, inizialmente solo 4 furono gli aerei effettivamente modernizzati dalla Russia, mentre l’ultimo fu oggetto di lavori solamente nel 2011.

Ancora una volta, però, la carenza di fondi costrinse la flotta serba a restare nuovamente a terra, tanto che fu necessario addirittura un intervento di Putin in persona affinché Mosca decidesse di regalare gli accumulatori necessari a far volare nuovamente i Mig in occasione della parata del 2014 organizzata per ricordare la liberazione di Belgrado avvenuta 70 anni prima.

Nonostante tutto gli aerei già in possesso di Belgrado rappresentano ancora un grosso grattacapo per le Forze Armate locali in quanto, come dichiarato dall’esperto di difesa e attualmente parlamentare Miroslav Lazanski, il Paese può contare solamente su “3 Mig-29 e mezzo”, di cui nessuno in grado di volare.

Questo elemento fa capire come mai l’arrivo della donazione russa (che richiederà comunque un investimento compreso tra i 200 e i 300 milioni di euro per la modernizzazione dei velivoli) rappresenti un grosso motivo di orgoglio per il governo e il suo onnipresente Presidente Aleksandar Vučić. Si tratta, infatti, di un successo spendibile sia in politica interna che in quella estera.

Concentrandosi su quest’ultima, in particolare, si può affermare che, per quanto contenuta, un’aeronautica militare in grado di schierare potenzialmente 10-12 aerei di 4° generazione metterebbe Belgrado al primo posto fra gli Stati ex Jugoslavi, ma soprattutto rappresenterebbe un notevole smacco per la Croazia, naturale rivale della Serbia.

La ragione è da ricercare nel fatto che Zagabria, pur avendo giocato fino in fondo la carta dell’alleato di ferro degli USA e della NATO, non è ancora riuscita ad ottenere “l’aiuto militare” a cui ambisce di più, cioè gli aerei da combattimento F-16 che sta richiedendo a gran voce da anni, trovandosi così in inferiorità rispetto al vicino.

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È chiaro che la Croazia non corre alcun pericolo in quanto protetta dall’ombrello aereo dell’Alleanza, ma nei rapporti di forza fra le ex repubbliche sorelle l’apparenza riveste un ruolo fondamentale, come conferma anche il fatto che già mercoledì 4 ottobre il Ministero della difesa croato si è affrettato a dichiarare che presto anche Zagabria rafforzerà la propria aeronautica acquistando 12 nuovi caccia multiruolo (JAS 39 Gripen?) entro il 2022.

Tornando a Belgrado la disponibilità di una versione relativamente aggiornata del Mig (9.13 nello specifico) significherà anche poter ridurre il gap tecnologico ampliatosi negli ultimi anni.  In definitiva, per quanto l’arrivo dei Mig-29 rappresenti un notevole passo in avanti per la disastrata aeronautica serba, quest’ultima rimane comunque lontana dai fasti del passato e, soprattutto, in ritardo rispetto a quei concorrenti regionali che hanno beneficiato degli aiuti statunitensi. Il caso più eclatante è quello della Romania che, dopo aver acquistato 12 F-16 di origine statunitense e brevemente transitati per il Portogallo, sta pianificando ora di acquistarne altri 32.

Si può dire, in conclusione, che dal punto di vista della Serbia l’aspetto più importante dell’affare Mig sia rappresentato dal ripristino degli storici rapporti con Mosca per quanto riguarda il settore aeronautico e, soprattutto, l’addestramento dei piloti.

Non potendo volare che poche ore all’anno in patria, beneficeranno certamente dell’esperienza acquisita nel corso degli addestramenti congiunti con i loro colleghi russi, come sta avvenendo in questi giorni nell’ambito dell’esercitazione BARS 2017 a Lipeck.

Per la Russia, invece, la vicenda avrà un buon ritorno di immagine in quanto confermerà il fatto che Mosca rispetta gli accordi presi con i suoi alleati o amici e che non intende abbandonare all’influenza euro-americana il controllo sull’area balcanica.

Foto: Serbia Today, Aeronautica Serba e Warplanes

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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