MCIS 2019: a Mosca si discute (senza l’Occidente) di sfide alla sicurezza

da Mosca

Anche se forse con un profilo più basso rispetto alle passate edizioni, l’ottava Moscow Conference on International Security (MCIS) tenutasi nella capitale russa tra il 23 e il 25 aprile ha rappresentato ancora una volta una formidabile occasione di confronto sui temi della difesa e sicurezza internazionale.

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Organizzata dal ministero della Difesa russo con gli interventi di apertura e chiusura affidati al viceministro, generale Alexander Fomin, la conferenza ha visto la partecipazione di un migliaio di ospiti di 77 paesi incluse 55 delegazioni a livello ministro della Difesa, capo di stato maggiore Difesa o vice e rappresenta un’occasione rara per ascoltare valutazioni, analisi e opinioni spesso diverse o diametralmente opposte a quelle dell’Occidente espresse dai leader di Paesi quali Cina, Iran, Arabia Saudita, Corea del Nord, Venezuela, Iraq, Siria e da molti Stati africani e sudamericani.

Un’occasione di confronto in cui il dibattito è inficiato dal boicottaggio attuato nei confronti della conferenza dagli Stati Uniti e dagli altri membri della NATO, quest’anno del tutto assenti sia con delegazioni ufficiali sia con gli addetti militari d’ambasciata.

Un boicottaggio motivato dal 2014 con la “nuova guerra fredda” determinatasi dopo lo scoppio della crisi ucraina ma che suscita non poche perplessità innanzitutto perchè è proprio nei momenti di attrito che le occasioni di dialogo e confronto dovrebbero essere colte e perché il ruolo della diplomazia (anche quella in uniforme), è proprio quello di tenere aperti i canali di confronto con la controparte.

 

La nuova “Guerra Fredda”

A questo proposito colpisce che l’ambasciatore statunitense a Mosca, Jon Huntsman (a destra nella foto sotto), abbia preferito nei giorni della MCIS recarsi a bordo delle portaerei in navigazione nel Mediterraneo USS Lincoln e USS Stennis, “ognuna delle quali rappresenta 100 mila tonnellate di diplomazia internazionale”, ha detto il diplomatico .

US Ambassador to Moscow Jon Huntsman and Admiral James Foggo, the commander of US Naval Forces in Europe and Africa on the bridge of the USS Abraham Lincoln.

Una frase che sembra presa in prestito dal copione di un film con Chuck Norris, forse più adatta a un marine che a un ambasciatore.

Del resto le tensioni con USA-Russia hanno caratterizzato anche molti accesi interventi della conferenza, apertasi con la lettura del messaggio di saluto inviato dal Presidente Vladimir Putin in cui ha espresso preoccupazione per la tendenza degli Stati Uniti a ritirarsi dagli accordi che garantivano la stabilità strategica.

Il ministro della Difesa, Sergey Shoigu ha citato la crisi in atto in Venezuela come una rivitalizzazione della “Dottrina Monroe” tesa a interferire negli affari interni dei paesi latino americani e ha lamentato la crescente presenza navale della Nato nell’oceano Artico e nel Mar Nero “che esigono una risposta adeguata da parte russa”.

Lo stesso giorno l’approvazione della strategia di difesa di Londra nella regione artica ha provocato la reazione dell’ambasciatore e inviato della Russia al Consiglio artico Nikolai Korchunov. “Non possiamo non essere preoccupati dell’internazionalizzazione delle attività militari nella regione: la strategia di difesa dell’Artico annunciata dalla Gran Bretagna è un esempio in tal senso”.

Secondo Korchunov, è la prima volta che un Paese non membro dell’area artica approva una strategia militare per quella regione. “Questo è un passo allarmante che porta a creare tensioni e richiede una valutazione fondamentale dei nostri partner artici”, ha sottolineato alla Tass.

MOSCOW, RUSSIA - APRIL 24, 2019: Russia's Defense Minister Sergei Shoigu speaks during the 8th Moscow Conference on International Security (MCIS-2019). Sergei Karpukhin/TASS (Photo by Sergei KarpukhinTASS via Getty Images)

Alla MCIS 2019 il ministro Shoigu ha criticato le iniziative Usa di denuncia dei trattati ABM e INF (per i missili antimissile-balistici e per quelli balistici a raggio intermedio in Europa) e il dispiegamento dello “scudo antimissile” statunitense in Europa Orientale attaccando la “politica aggressiva statunitense contro l’Iran” e “la presenza di truppe americane in Siria non autorizzata dalle Nazioni Unite”.

Circa il fronte siriano il ministro russo ha citato le tragiche condizioni del campo profughi di Rukban, nella zona controllate dalla Coalizione a guida Usa, affermando che le condizioni dei rifugiati costituiscono il terreno ideale per rigenerare il terrorismo. Shoyghu ha poi aggiunto che l’offerta russa di migliorare le condizioni del campo è stata respinta e ha denunciato l’export illegale di petrolio nelle aree non poste sotto il controllo di Damasco.

La Russia del resto preme da tempo per l’aiuto dell’Occidente nel favorire la ricostruzione post bellica della Siria e il rientro dei profughi di guerra (100 mila tornati a casa nell’ultimo mese) e Shoigu ha sollecitato lo sblocco dei fondi siriani all’estero bloccati dalle sanzioni dell’Occidente.

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Temi, quelli siriani, su cui si sono soffermati anche altri relatori nel corso della MCIS 2019 e Mahmoud Shawa, viceministro della Difesa siriano, che ha definito “fallito” il tentativo di abbattere lo Stato in Siria: “i terroristi hanno perso” ha detto chiedendo alle Nazioni Unite l’adozione di misure per porre fine alla presenza illegale di truppe americani, francesi, turche e di altri Stati in territorio siriano.

Nella visione strategica russa, delineata da Shoigu, grande rilevanza hanno le forti relazioni militari con Cina, India, Laos e Myanmar e l’ampliamento degli orizzonti della Shangai Cooperation Organizzation (SCO, definita dal suo segretario generale, Vladimir Norov, “non un blocco militare ma un quadro di riferimento entro cui si svolgono anche esercitazioni militari”) verso l’Asia Orientale, l’America Latina e l’Africa.

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Proprio riguardo a Sud America e continente africano Shoigu ha elencato gli ottimi rapporti militari intrattenuti da Mosca con diversi Stati anche con lo sviluppo di programmi di addestramento.

Non meno vivace è stato l’intervento del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. “Esortiamo fermamente i partner occidentali ad abbandonare l’escalation dello scontro e ad osservare gli obblighi assunti all’interno del Consiglio OSCE e Russia-NATO e di non consolidare la loro sicurezza a scapito della sicurezza degli altri. In assenza di regolari contatti Russia-NATO, soprattutto a livello militare, per capriccio dell’Occidente, il prezzo per un errore non intenzionale e un semplice fraintendimento sarebbe molto alto”.

Nel suo intervento Lavrov ha ricordato i 20 anni dall’attacco alla Serbia dicendosi “shockato di come la NATO abbia distrutto la Jugoslavia violando il diritto internazionale”, tracciando un parallelo con quanto accaduto in Ucraina nel 2014 ma esprimendo un auspicio per la nomina del nuovo presidente a Kiev.

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Il ministro ha sostenuto il ruolo russo in Medio Oriente dove “abbiamo evitato che la Siria scomparisse dalle mappe” e la necessità di “far cessare la crisi in Libia” ma ha detto che la crisi iraniana e l’abbandono dell’accordo sul nucleare dimostrano che gli Usa non hanno appreso la lezioni dei recenti conflitti, che “l’Occidente non riconosce i valori di un mondo policentrico e punta a espandere la NATO a est”.

Lavrov ha infine espresso apprezzamento per la presenza alla MCIS 2019 di esponenti di alcuni Paesi della Nato “nonostante le pressioni degli Stati Uniti per il boicottaggio dell’iniziativa”

Toni accesi nei confronti degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica anche nell’intervento del capo di stato maggiore Difesa, generale Valery Gerasimov, che ha criticato “l’isteria statunitense” della minaccia militare russa sottolineando che Mosca “non ha mai speso così poco per la Difesa come oggi” (la spesa militare complessiva dei paesi della NATO raggiunge i mille miliardi di dollari contro i 70 della Russia) ed evidenziando come l’Alleanza Atlantica sia passata dai 16 Stati membri del 1989 agli attuali 29.

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Alle tensioni Usa- Russia ha contribuito, nei giorni della conferenza di Mosca, anche la notizia diffusa dal leader del partito slovacco Voce del Popolo, Peter Marcek, che gli Stati Uniti starebbero tenendo negoziati segreti per aprire basi aeree sul territorio slovacco.

Il viceministro degli Esteri russo, Alexander Grushko, ha definito la notizia “una provocazione” perché “l’Alleanza si è impegnata, con l’atto istitutivo del Consiglio Russia-Nato, a non dispiegare armi nucleari al di fuori dei Paesi in cui erano già state schierate e a non creare infrastrutture a questo fine”.

Numerosi i temi dibattuti alla MCIS 2019 in sessioni plenarie e panel specifici: la stabilizzazione di Siria e Iraq dopo la sconfitta dello Stato Islamico, ricostruzione e sviluppo economico in Siria e Iraq, le “rivoluzioni colorate” e la guerra ibrida, la difesa dai missili balistici e il posizionamento di armi nello spazio, le operazioni di peacekeeping, Nordafrica tra terrorismo e immigrazione illegale, cooperazione militare e sicurezza regionale, aspetti di sicurezza in Asia, Africa e America Latina

 

Dai Balcani alla Corea

Il ministro della Difesa serbo, Aleksander Vulin, ha ricordato inevitabilmente l’anniversario del conflitto del 1999 sottolineando come lo “stato fittizio” del Kosovo e il progetto della “Grande Albania” costituiscano la più grave minaccia alla pace in Europa e nei Balcani e definendo “una pazzia” l’ipotesi che vengano fornite armi pesanti all’esercito kosovaro guidato da “ex capi terroristi mai processati per i loro crimini”.

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Vucic ha precisato che la Serbia non farà parte di un blocco militare, neppure della Nato “sia perché ci ha bombardato sia perché non vorremmo mai che a un altro popolo venisse fatto ciò che è stato fatto a noi”.

In un’Europa abituata a sentirsi una “cenerentola” in termini militari, può apparire curioso osservare che il ministro della Difesa bielorusso, generale Andrey Ravkov, abbia espresso preoccupazione per l’asse che Germania e Francia intendono costituire anche in campo militare in base agli accordi di Aquisgrana.

Sul fronte del Golfo Persico c’era attesa per gli interventi, in due panel diversi, degli esponenti della Difesa di Arabia Saudita e Iran, paesi rivali e in aperta crisi soprattutto in seguito al conflitto yemenita, ma che godono entrambi di ottime relazioni con Mosca.

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Il vice ministro saudita, principe Khalid bin Salman (fratello di Mohamed bin Salman) ha tenuto a presentare come legittimo e difensivo l’intervento militare nello Yemen da dove “sono stati lanciati 220 missili balistici contro il territorio saudita” e ha accusato l’Iran di sovvenzionare organizzazioni terroristiche e fomentare il settarismo confessionale”.

Il ministro della Difesa iraniano, generale Amir Hatami, (nella foto sotto) è intervenuto in un panel dedicato alla sicurezza in Medio Oriente con uno speech di fuoco nei confronti degli Stati Uniti. Tracciando un ardito parallelo tra Donald Trump e Adolf Hitler (“il Trumpismo è il nazismo di oggi”), Hatami ha evidenziato come il tentativo americano di cambiare il Medio Oriente con decenni di guerre non sia approdato ad alcun risultato. “Non ci arrenderemo, proteggeremo la nostra indipendenza e sovranità con la dottrina della Deterrenza Attiva”.

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Rilevante l’intervento dell’ex presidente afghano Hamid Karzai, già in passato ospite della MCIS, che ha ricordato come l’’Afghanistan sia da tre secoli al centro dei grandi giochi tra le grandi potenze, spesso da vittima e circa i negoziati in corso tra USA e talebani ha sottolineato l’esigenza “che le trattative si sviluppino in modo trasparente” perché “alla fine, l’Afghanistan dovrà recuperare la pienezza della sua sovranità”.

Il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, alla testa di una nutrita delegazione con cui ha avuto anche un incontro bilaterale con i vertici russi, ha ribadito gli stretti rapporti con Mosca parlando una “intesa e forte comprensione reciproca” con l’omologo Sergey Shoigu ed enfatizzando il fatto che “la collaborazione bilaterale nel campo della Difesa con la Russia si svilupperà ulteriormente”.

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L’intervento di Fenghe è stato improntato alla distensione: ha annunciato la costituzione di una forza militare di pronto intervento per il preace-keeping e ha ribadito che la Cina “non intraprenderà’ alcun progetto di espansione, non importa quanto potente diventerà” pur sottolineando che “Taiwan è affare interno cinese”. Un’affermazione quest’ultima da mettere forse in relazione alle recenti tensioni navali con la Francia.

Distensivo anche l’intervento del ministro della Difesa nordcoreano, generale No Kwang-Chol, avvenuto quasi in concomitanza con l‘incontro tra Kim Jong-un e Vladimir Putin a Vladivostok

Chol ha ribadito che la Corea del Nord persegue la pace e ha evidenziato i progressi nei negoziati in corso con gli Stati Uniti pur sottolineando che l’obiettivo è raggiungere la piena denuclearizzazione dell’intera penisola, con un chiaro riferimento alle armi atomiche statunitensi nella regione.

 

Conclusioni

L’assenza delle delegazioni occidentali ha inevitabilmente limitato il confronto nella ottava edizione della MCIS. Nel corso della conferenza Thomas Greminger, segretario generale dell’Osce, ha caso sottolineato che “la cooperazione sta venendo meno proprio nel momento in cui servirebbe di più” raccomandando di intensificare i contatti tra le Difese occidentali e della Russia ed adottare nuove misure costruttive di fiducia.

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Per quanto concerne l’Italia suscita perplessità l’adesione al boicottaggio della conferenza di Mosca, non solo perché l’Italia e i suoi governi hanno sempre sostenuto l’amicizia con la Russia come un elemento che non ostacola la fedeltà di Roma all’Alleanza Atlantica ma anche perché il giorno successivo alla chiusura della MCIS il premier Giuseppe Conte si è recato a Pechino dove, tra l’altro, ha incontrato Vladimir Putin chiedendo al presidente russo aiuto per risolvere la crisi libica.

Paradossale quindi che Roma chieda il supporto russo in Libia ma boicotti negli stessi giorni la conferenza moscovita in cui si è discusso anche della crisi libica.

Un paradosso emerso prepotentemente durante un dibattito dedicato alla minaccia di immigrazione e terrorismo dal Nordafrica: tema certo di grande interesse per l’Italia e l’intera Ue ma che è stato dibattuto da un analista militare russo e da ministri, capi di stati maggiore e studiosi africani.

L’impressione è quindi che il boicottaggio non abbia senso, non sia riuscito a isolare la Russia ma contribuisca purtroppo a indicare che in questa nuova guerra fredda i “sovietici” stanno da questa parte della Cortina di Ferro.

@GianandreaGaian

Foto:  G. Gaiani, MCIS, TASS e Twitter

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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