Il comandante curdo racconta l’attentato contro gli incursori italiani

Pubblichiamo l’articolo di Fausto Biloslavo uscito ieri su “Il Giornale” che svela i retroscena e i dettagli dell’operazione contro le milizie dello Stato Islamico eseguita dai reparti d’élite dei peshmerga e dagli incursori italiani della Task Force 44.

Il resoconto, estremamente dettagliato, rivela che i militari italiani sono stati feriti a bordo di un veicolo pick-up 4×4 Ford, mezzo civile privo di blindature nè protetto contro mine e Ied impiegato insieme ai 4×4 Toyota dai peshmerga. L’ordigno esplosivo improvvisato è esploso sotto il veicolo che trasportava 5 italiani e 2 curdi, tutti feriti agli arti inferiori.

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Un dettaglio che Analisi Difesa aveva evidenziato e che induceva a credere che i militari non fissero stati colpiti mentre su muovevano a piedi ma mentre erano a bordo di un Ford F-350 fornito in centinaia di esemplari da Washington alle forze militari e di polizia curde e irachene e impiegati per il trasporto truppe o armati con mitragliatrici e addirittura lanciarazzi campali come mostrano le foto che illustrano l’articolo.

Non deve del resto stupire il fatto che gli uomini delle Forze Speciali italiane e alleate operino mischiati alle truppe locali a cui offrono assistenza e si muovano a bordo dei loro stessi veicoli anche per non risultare visibili e distinguibili agli occhi del nemico come accadrebbe se venissero impiegati i veicoli militari in dotazione alla Coalizione ma non alle forze curde o irachene.

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“Eravamo a 200 metri dal punto di arrivo quando la bomba è esplosa. Mi trovavo nel mezzo davanti e quando ho sentito il rumore della deflagrazione ho subito guardato nello specchietto. Siamo scesi e mi sono reso conto che l’ordigno aveva fatto saltare il veicolo dietro, un Ford 350 (un pick up nda), che trasportava 5 italiani dei corpi speciali e 2 Peshmerga (combattenti curdi nda) rimasti tutti feriti” racconta a il Giornale, il tenente di prima classe Ranj Rizgar Noah.

L’ufficiale curdo dell’unità Hezakani Pshtiwany 2 aveva da poco concluso, con una ventina di uomini delle unità d’élite italiane, un’operazione contro l’Isis nell’area di Palkana nell’Iraq nord orientale.

9521-13729-189447Un prezioso testimone curdo che spiega nei dettagli come si sono svolti i fatti. Una realtà che la Difesa ha cercato di mascherare parlando di missione di addestramento, soldati italiani appiedati e smentendo qualsiasi partecipazione diretta alle operazioni combat.
Il 10 novembre due militari del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin e tre incursori della Marina (Goi) sono rimasti gravemente feriti nell’esplosione di un ordigno artigianale (Ied) nascosto lungo il tragitto, che solitamente salta a pressione al passaggio di un mezzo.
“Ero con gli italiani quel giorno e la nostra unità con l’aiuto delle vostre forze speciali ha condotto, fin dall’inizio dell’anno, operazioni nella zona montagnosa di Palkana” spiega il tenente curdo.

“L’Isis usa quest’area come rifugio e ponte di collegamento con le montagne di Harim, dove sono dispiegate le forze irachene. Secondo la nostra intelligence ci sono fra 80 e 120 uomini di Daesh (lo Stato islamico nda)” sottolinea l’ufficiale. L’area, oltre il fiume Tigri, non dista molto dalla zona petrolifera di Kirkuk e dalla sacca di Hawija, che era una roccaforte dell’Isis prima della disfatta del 2017.

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Prima dell’alba curdi e italiani hanno lanciato la missione che aveva come obiettivo un deposito dello Stato islamico, dove venivano confezionate pure trappole esplosive come quella che ha ferito i nostri soldati. “Noi eravamo davanti e gli italiani dietro, come accade sempre quando facciamo queste operazioni” racconta Rizgar Noah. “C’erano 22 uomini delle vostre forze speciali che partecipavano alla missione e 25 Peshmerga” rivela il tenente. “Abbiamo trovato il deposito dell’Isis sequestrando diverse armi, munizioni e altro materiale.

L’operazione è stata un successo e nessuno ha sparato un colpo. I terroristi erano fuggiti prima del nostro arrivo” spiega il tenente curdo.

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“Non facciamo scattare alcuna operazione senza gli italiani, che sono sempre al nostro fianco e ci appoggiano con la logistica, quando abbiamo dei feriti facendoli evacuare via elicottero” osserva l’ufficiale.

E specifica che “quando ci avviciniamo agli obiettivi dell’Isis gli italiani chiamano in supporto due elicotteri da combattimento”. Velivoli della coalizione alleata perchè i nostri NH 90 di base a Erbil sono poco adatti e impegnati soprattutto nel trasporto dei militari di tutti i paesi che combattono lo Stato islamico.

La missione si è conclusa senza problemi, ma bisognava ripiegare verso un avamposto più sicuro dei Peshmerga.

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“Dopo l’operazione siamo rientrati verso il villaggio di Qury Cha, dove ho lasciato i 25 Peshmerga nella nostra base – racconta l’ufficiale – Avevamo 4 veicoli, tre Toyota Mickzamini (pure pick up nda) e un Ford F-350”.

Gli italiani sono stati recuperati dopo e divisi nei diversi mezzi, civili e non protetti. I corpi speciali in Iraq usano spesso, al posto dei blindati, fuoristrada del genere per non dare nell’occhio e farsi individuare subito come stranieri.

“Viaggiavo davanti su uno dei Toyota con cinque militari italiani delle forze speciali. Dietro a noi c’era il Ford-350 con altri cinque e poi il resto della colonna con gli altri due mezzi” racconta Rizgar Noah. A 200 metri dal punto di arrivo, non lontano dall’avamposto curdo, è scoppiato l’Ied, che ha ferito i cinque italiani e due Peshmerga.

“Non so dire se era specificatamente per noi, ma i terroristi si sono resi conto dell’operazione e hanno visto i veicoli che si erano mossi prima sulla stessa strada – conclude il tenente – Non c’è dubbio che era una bomba dell’Isis”.

Foto: F150 online, Alfai-Dawi, Web e Twitter

 

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