SPECIALE CINA – La Forza Missilistica di Pechino affila le sue spade

Con questo ampia analisi di Francesco Palmas ANALISI DIFESA propone ai suoi lettori tre articoli che saranno tutti pubblicati entro l’8 dicembre tesi ad approfondire alcuni dei numerosi aspetti legati al potenziamento militare cinese.

 

Similmente alle altre componenti del PLA (People Liberation Army), anche le forze missilistiche cinesi stanno attraversando una fase di profondo rinnovamento, sia qualitativo che quantitativo. Gli ultimi vettori Dongfeng hanno quasi tutti motori a combustibile solido, veicoli di rientro manovrabili e testate multiple indipendenti. Sono più resistenti alle contromisure, studiati per saturare gli scudi balistici e possibilmente eluderli.

Il ‘Vento dell’Est’ lambisce tutte le categorie missilistiche, convenzionali e nucleari, di teatro e strategiche.

L’attenzione della leadership cinese è all’apice, galvanizzata dai processi di riforma attuati di recente e da nuove ambizioni geopolitiche e industriali, frutto di una maturità tecnologica crescente.

 

La riforma recente delle forze armate

La Cina sta completando speditamente la riorganizzazione delle sue forze armate iniziato quattro anni fa. Durante la 3a sessione plenaria del 18° comitato centrale del partito, il presidente Xi Jinping delineò a grandi linee i contorni di un’undicesima riforma del PLA, l’Esercito popolare di liberazione fece trapelare che anche il Secondo Corpo d’Artiglieria avrebbe subito una rivoluzione semi-copernicana, a partire dal nome e dallo status, come puntualmente avvenuto fra il dicembre 2015 e il gennaio 2016.

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Prima di allora, il PLA si identificava con l’Esercito, che dominava per rango l’Aeronautica e la Marina, a lui subordinate tramite i quattro dipartimenti generali di stato maggiore, della logistica, dell’armamento e degli affari politici. Il Secondo Corpo di  Artiglieria era una mera componente delle forze terrestri ma, con la riforma, l’esercito ha perso la primazia tradizionale, tanto che il PLA si compone oggi di tre servizi (Esercito, Marina e Aeronautica) più due forze, quella Missilistica e quella altrettanto cruciale di Supporto Strategico, tutte di pari rango.

I 4 dipartimenti generali sono stati diluiti in 15 dipartimenti funzionali: 7 sono ridenominati ‘uffici o dipartimenti’, altri 3 sono definite commissioni e i restanti 5  agenzie.

Non godono più di quell’indipendenza rosicchiata nel tempo alla Commissione Militare Centrale (CMC), che ne ha oggi un controllo decisamente più ferreo. Le massime istanze del partito si sono garantite maggiori poteri di sorveglianza anti-corruzione, tanto che Xi in persona ha voluto la nascita di una Commissione disciplinare ad hoc, piazzandola sotto l’occhio vigile della CMC, che esce enormemente rafforzata dalla riforma.

Sebbene gli 11 componenti della CMC siano quasi invariati dal 2012, la struttura direzionale è mutata: comprende un direttore (Xi Jinping) e due vice, Zang Youxia e Xu Qiliang.

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Dal 2014, Xi ha imposto un nuovo sistema decisionale, che assegna l’ultima parola al direttore più che al triumvirato, accentrando massimamente il comando delle forze.

Da gennaio 2016 esiste un nuovo Stato maggiore generale delle forze armate con una struttura centrale che lega la CMC, gli stati maggiori di ‘forza armata’ e le forze. Quando le 7 regioni militari classiche sono state rimpiazzate da 5 nuovi teatri operativi, Xi ha precisato che i comandi sarebbero spettati alla CMC, indipendentemente dalla catena di comando amministrativa che dalla CMC stessa passa per gli stati maggiori di forza armata e arriva fino al livello delle unità.

Come se non bastasse, ogni teatro (Est, Sud, Ovest,  Nord e Centro), dispone di un comando interforze per la gestione delle operazioni.

 

La Forza Missilistica

È in questo scenario che va inquadrata la trasformazione del Secondo Corpo di Artiglieria in Forza Missilistica (Rocket Force). Il nome denota un tentativo di maggior chiarezza, anche se nulla sembra esser cambiato nella dottrina d’impiego, molto ambigua, come vedremo.

La neonata Forza Missilistica ha competenza sull’insieme del deterrente nucleare, stimato in 290 testate strategiche (più un numero imprecisato di bombe a neutroni) e ovviamente sui vettori missilistici, compresi quelli convenzionali e a raggio intermedio.

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Il comando della Forza Missilistica sembra avere il controllo anche di 36 bombardieri Xian H6-K, armabili con 6 missili da crociera CJ-10 (DH-10).

Abbastanza recenti, gli HK-6K sono lontani anni luce dai Tupolev Tu-16 russi da cui derivano. Hanno due reattori russi D-30-KP2, più potenti ed economici che, abbinati alla nuova struttura in materiali compositi, permettono di aumentare del 30% il raggio operativo del vettore, portandolo a 3.500 chilometri senza rifornimento in volo.

Secondo alcuni analisti nella nuova Forza missilistica graviterebbero anche i 6 sottomarini nucleari lanciamissili balistici Type 094 classe Jin e l’ultimo degli Xia (Type 092), stabilmente in dotazione alla 1a base, ma forse senza più nessuna utilità operativa.

Lo Xia non viene infatti segnalato in mare da almeno due anni, vista l’età, la rumorosità del battello e la scarsa portata del missile balistico JL-1A, che ha un raggio massimo di 1.700-2.500 chilometri.

Citando fonti americane, i media cinesi hanno rilanciato una serie di informazioni sull’SSBN Type 096, classe di 6 unità previste due delle quali in costruzione che dovrebbe esser armata con 24 missili balistici JL-3. ,

Il missile ha iniziato a fine 2018 i test a bordo del sommergibile sperimentale Qing, la cui parte superiore è stata modificata con un tubo di lancio apposito.

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Il gruppo aerospaziale missilistico cinese CASIC ha avviato nel 2013 lo sviluppo dei motori a propellente solido di grande diametro (2,2 m?) per un «progetto maggiore» della marina, che corrisponderebbe al JL-3.

Proiettando sul nuovo missile l’iter di sviluppo dell’SLBM JL-2, i tempi sono maturi perché i cinesi accelerino i test preliminari del JL-3, ipotizzando un’entrata in servizio nel 2026, data in cui il Type 96 dovrebbe essere operativo.

Per il JL-2 che equipaggia i Type 094 in servizio si era partiti con un primo test di espulsione sottomarino del mockup del missile nell’agosto 2001, per arrivare al primo missile lanciato a terra nel maggio 2003 e a un primo lancio effettivo sottomarino nell’agosto 2004, per un ingresso in servizio nel 2009.

Per il momento la Marina Cinese ha in dotazione questo missile, versione navale del missile balistico strategico terra-terra DF-31. Il JL-2 avrebbe un raggio d’azione di 7.400-8.000 chilometri, dovrebbe esser dotato di 3-4 testate nucleari da 90 kilotoni di potenza unitaria. Lanci sperimentali di successo sarebbero stati effettuati nel 2005, 2008, 2011 e 2012 dal sottomarino di prova 031/Golf 200 e nel 2012, 2013 e 2015 dal primo Type 94.

Oggi l’SLBM JL-2 potrebbe colpire obiettivi situati in Alaska e nelle isole Hawaai dopo un lancio dal sud del Giappone, oppure obiettivi posti nella metà degli Stati americani dall’ovest delle Hawaai e tutti gli Stati Uniti dall’est delle Hawaai.

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I sottomarini dovrebbero pertanto varcare la prima catena di isole, formata da Giappone-Taiwan-Filippine, ed eludere le barriere di idrofoni americani e giapponesi per sperare di poter colpire il territorio statunitense. Hanno iniziato i pattugliamenti con i sottomarini nucleari d’attacco (SSN) classe Shang ormai dal 2009 e, nel dicembre del 2016, è stata segnalata una sortita di un Jin con la portaerei Liaoning, che suggerirebbe un accompagnamento al di là della prima catena di isole, sfruttando il rumore della Liaoning per coprire il movimento del sottomarino, prima di immergersi nelle profondità del Pacifico.

Il JL-3 dovrebbe permettere alla Cina di ovviare a tutti gli inconvenienti delle barriere acustiche americane e di colpire il territorio statunitense dal bastione delle acque protette del mar Cinese meridionale, senza correre il rischio che gli SSBN siano scoperti varcando la prima catena di isole. La questione spiegherebbe in buona parte la veemenza con cui Pechino rivendica la quasi interezza del mar Cinese meridionale.

Alcune fonti cinesi parlano invece dell’esistenza di un JL-2 modificato, corrispondente grosso modo alle due versioni più prestanti della controparte terrestre (DF-31), con il DF-31A da 11.200 km di gittata e il DF-31AG da 14.000 km ma l’informazione non è confermata dal rapporto annuale del Pentagono.

 

Il sistema di comando e controllo

Intanto Pechino sta adeguando il sistema di comando, comunicazione, controllo, computer e intelligence (C4I), e impostando collegamenti radio a bassissima frequenza con i sottomarini. Oltre al sistema di navigazione Loran, possiede il Changhe 1-2, che permette operazioni fino a 1000 miglia nautiche nel Pacifico e nell’Oceano Indiano, dove si è svolta nel dicembre 2015 la prima pattuglia operativa degli SSBN.

A partire dal 2020, il C4I cinese potrà contare su cinque satelliti geostazionari, più trenta in orbita bassa. Sarà molto simile a un omologo occidentale di fine anni ’90. Anche il targeting e la designazione di obiettivi stanno facendo passi da gigante, con mezzi spaziali e avioportati. Il programma di navigazione Beidou/GPS è ormai maturo, giunto alla seconda generazione che ne completerà la costellazione. Avanzano i programmi di satelliti d’intelligence elettronica.

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Si puntellano quelli per il SIGINT, per la ricerca oceanografica e per l’osservazione, tanto che 18 satelliti delle serie Yaogan sono già in orbita, affiancati dai primi due Gaofen/Kuaizhou d’imaging e da altri sensori per le comunicazioni. Intorno al 2020, Pechino disporrà probabilmente di un sistema integrato di informazioni a livello di teatro.

Per capire il livello di progresso, la Cina ha messo a punto un radar a fasi, equivalente grosso modo all’Aegis americano, battezzato “Stella Marina” che permette l’acquisizione e il tracciamento di obiettivi multipli e il controllo aereo dalle portaerei.

La Liaoning potrà dirigere le intercettazioni, proteggere una forza navale che varcherà la prima catena di isole o interdire lo spazio aereo ai velivoli americani, giapponesi o taiwanesi che minacciassero i suoi sottomarini, in particolare gli SSBN che, è bene precisare, stanno aumentando ma sono ancora pochi, corrispondenti a un ventesimo di quelli che allineava l’URSS nel 1991.

La sola prospettiva di vedere una portaerei cinese permanentemente assegnata alla base di Hainan, nelle acque del mar Cinese meridionale ha convinto il Vietnam ad acquistare sei sottomarini russi Kilo mentre anche gli Usa tengono la base a portata dei sensori navali di intelligence acustica.

Rimane qualche dubbio circa la dipendenza degli SSBN dalla Rocket Force, considerato che la Marina è tuttora qualificata come “servizio strategico”  e quindi le spetterebbe il controllo operativo degli SSBN.

In ogni caso l’autorità preposta a ordinare l’impiego delle armi nucleari è sempre la CMC la Cina ha adottato una postura interforze, intellegibile tanto dalle manovre recenti quanto dai flussi di personale e di comandanti.

 

La struttura della Rocket Force

Al vertice della Forza missilistica, nel quartier generale a nord di Pechino, è il tenente generale Zhou Yaning, assistito dal commissario politico, il tenente generale Wang Jiasheng che ha costruito la sua carriera nel vecchio Dipartimento Generale degli Armamenti (GAD).

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Prima di essere promosso alla CMC e al Seconbdo Corpo di Artiglieria era stato commissario politico del Centro di Lancio Satelliti di Xichang, nota anche cone 27a Base di test del Sichuan.

Molti ufficiali del Secondo Corpo di Artiglieria sono stati trasferiti alla Marina e viceversa. Il maggior generale Ren Yongij, oggi vice-comandante della 56a base missilistica, è stato vice-capo di stato maggiore della Flotta del Sud, posto che ha ceduto nel 2016 al maggior generale Wang Liyan, proveniente guarda caso dai ranghi della Forza missilistica.

La Rocket Force è composta oggi da 100.000 uomini, ripartiti in sei basi missilistiche (51a, 52a, 53a, 54a, 55a e 56a), ognuna competente per macro-scacchieri geografici.

Per organizzazione siamo molto vicini ai canoni delle armate missilistiche russe. La 51a base di Shenyang allinea quattro brigate missilistiche, l’806a su missili balistici intercontinentali (ICBM) DF-31A, l’810a su missili balistici a raggio intermedio (IRBM) DF-3A, l’816a su missili a corto raggio (SRBM) e l’822a su IRBM CSS-5 (DF-21).

I target di quest’armata missilistica sono ubicati nel nordest asiatico, mentre la base numero 52 copre l’area di Taiwan, da sempre la più sensibile. La 52a si trova nel neo-teatro di guerra dell’Est che, secondo gli esperti americani Kenneth Allen, Dennis Blasko e John Corbett, ha valenza leggermente prioritaria rispetto al Sud, a sua volta “sovraordinato” ai teatri meno impellenti dell’Ovest, del Nord e del Centro.

L’Est e il Sud sono responsabili dei conflitti di sovranità nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale.

Sebbene la 52a abbia quartier generale a Qimen, i suoi missili sono ripartiti in 7 brigate (807a, 811a, 815a, 817a, 818a, 819a e 820a), tutti mobili e a raggio corto e intermedio.

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Il Sud-Est Asiatico rientra a sua volta nella sfera di competenza della base numero 53 di Kunming. Le sue brigate missilistiche, 802a, 808a e 821a, allineano missili a medio raggio della serie DF-21 e, soprattutto, i missili da crociera a testa nucleare o convenzionale DH-10, da oltre 1.500 chilometri di raggio d’azione.

Responsabile per l’Asia del Sud e del Centro, oltre che della Russia, la base numero 56 schiera otto unità missilistiche, su vettori di tutte le categorie, mentre le basi 54 e 55 coprono target ubicati in Nordamerica e in Europa Occidentale.

Tutte le basi hanno elementi di supporto, fra cui un reggimento di signal intelligence, uno di guerra elettronica, un battaglione del genio, un gruppo da ricognizione, un altro per la sorveglianza e la mappatura, più unità di difesa aera, di difesa da attacchi chimici e genio.

Molte hanno anche un’unità di livello battaglione che simula il ruolo del nemico (OPFOR) per l’addestramento e le esercitazioni. Tutte dispongono di bunker sotterranei per le testate e i missili. Notizie non confermate parlano di una rete fortificata nel sottosuolo estesa per oltre 2/3 mila chilometri complessivi.

Nell’architettura della Forza Missilistica le componenti di livello esecutivo sono ancora le brigate, ognuna delle quali composta da un quartier generale, da 4 a 6 battaglioni di lancio, da un battaglione di signal intelligence, da uno di telemetria, più uno di manutenzione e da diverse unità logistiche e di supporto.

Organici e numero di missili a disposizione delle unità variano a seconda della tipologia di vettore. L’IISS stima un totale di 7 brigate di missili balistici intercontinentali (ICBM), due brigate di missili balistici a portata intermedia (IRBM), 12 brigate di missili balistici a medio raggio (MRBM) due delle quali dotate dei DF-21D antinave, 7 brigate di missili a corto raggio (SRBM), due brigate di missili da crociera a lancio terrestre (GLCM) e altre due brigate destinate all’addestramento e alla formazione.

 

I missili

Non è chiaro quanti siano i missili, variabili a seconda delle fonti, che concordano però su un fatto: c’è una crescita esponenziale, qualitativa e quantitativa.

La Cina dispone oggi di 750-1500 SRBM e 150-450 MRBM, fra DongFeng-11 (300 km), DF-15 (600 km), DF-11A (700 km) per la prima categoria, tutti mobili e imbarcati su veicoli/lanciatori (TEL) e dotati di testate belliche convenzionali.

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Quasi superfluo evidenziare che questi vettori sarebbero utilizzati massicciamente in caso di conflitto contro Taiwan. La messa in batteria di centinaia di SRBM, risponderebbe alla logica perfetta di un’offensive che si tradurrebbe nel colpire in maniera sistematica le installazioni navali, aeree e di comando dell’isola prima di lanciare all’assalto le forze aeree, navali e anfibie.

Si tratta di un gradino superiore al mero quadro dell’artiglieria tattica, che rientra pienamente nello spirito della riforma e della neonata Forza Missilistica.

In questa logica la divisione fra SRBM ed MRBM è molto meno pertinente che in altre configurazioni strategiche. Entrambe le categorie di missili parteciperebbero al medesimo obiettivo: creare una breccia nel dispositivo avversario in cui possano incunearsi le altre forze, sfruttando la disarticolazione nemica. Quello a cui assistiamo in Cina è un’evoluzione tesa ad accrescere la precisione terminale dei missili, che fa il paio con le cariche convenzionali ad alto potenziale, per distruggere obiettivi sotterranei.

C’è una crescita nella gittata di alcuni MRBM, riscontabile in particolare nei DF-16 e nei DF-15B, che coprono ormai buona parte del Giappone.

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Il DF-16 è un missile bi-stadio mobile a propellente solido, con raggio compreso fra 800 e 1000 chilometri. Sembra sia dotato della stessa ogiva dell’SRBM DF-11A, con un motore più potente per eludere le nuove difese antimissilistiche di Taiwan.

Ma è in grado di colpire anche le forze giapponesi e americane a Okinawa, con una precisione terminale di una decina di metri.

Potrebbe esser stato immesso in servizio a partire dal 2011, con l’intento di rimpiazzare progressivamente i DF-15 di prima generazione e i DF-11, molto meno precisi e prestanti.

La Rocket Force ne avrebbe in linea 26 in tutto. Alcuni hanno sfilato per la prima volta alla parata del 3 settembre 2015. Un modo per celebrare in pompa magna il 70° anniversario della sconfitta del Giappone, con una serie di messaggi muscolari multi-direzionali. Ma torniamo ai missili più recenti.

Alla grande parata del 1° ottobre (che ha coinvolto 15.000 militari, 580 diversi sistemi d’ arma e oltre 160 velivol) è stato ufficialmente presentato il DF-17, un nuovo vettore a medio raggio dotato di veicolo di rientro ipersonico. Il missile è stato testato a due riprese, la prima il 1° novembre 2017, poco dopo la cerimonia del 19° congresso nazionale del Partito comunista cinese, un avvenimento d’importanza politica primaria in Cina, che riunisce più di 3mila deputati locali per definire i grandi assi dello sviluppo del paese.

Nel test, il DF-17 è decollato dal centro spaziale di Juquan nella zona desertica a ovest della Cina. L’esperto di intelligence Ankit Panda riferisce che il veicolo di rientro ipersonico montato sul missile ha volato su una distanza di 1.400 chilometri circa, a 60 km dal suolo per circa 11 minuti. Ha colpito il bersaglio posizionato fuori dalla contea Qiemo con una precisione stimata di qualche metro.

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Il vettore DF-17 è un missile balistico MRBM, con un raggio stimato fra i 1.800 e i 2.500 km, derivato essenzialmente dal missile balistico DF-16B, già operativo.

È stato concepito esplicitamente per l’implementazione operativa di un veicolo ipersonico veloce circa Mach 6, primo test mondiale del genere utilizzante un sistema destinato ad essere operativo sul terreno. Il secondo test si è svolto il 15 novembre 2017 e il sistema dovrebbe diventare operativo nel 2020.

Anche il missile monostadio DF-15-B sarebbe unicamente convenzionale. Presentato una prima volta nel 2009, ha una gittata stimata in 900 km e una precisione di gran lunga superiore al DF-15, da cui deriva.

È stato perfezionato con quattro superfici di controllo aggiuntive, che garantiscono una guida terminale tale da poterne ipotizzare l’impiego contro obiettivi militari protetti, mentre il DF-15 aveva per lo più una funzione contro-demografica e poteva minacciare solo le infrastrutture civili e i centri urbani.

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Se fino alla metà degli anni ottanta, i vettori cinesi di prima generazione erano copie e riproduzioni di tecnologie balistiche sovietiche, gli sforzi di ricerca e sviluppo aerospaziale hanno fruttato, al punto che Pechino è oggi un produttore indipendente, capace di innovare in tutta la filiera missilistica.

Deve moltissimo alla riforma dell’industria della difesa del 1994, voluta dal grande ammiraglio Liu Huaqing, terzo comandante della flotta dal 1982 al 1987. Le sue memorie sono un lascito imperituro: «lo sviluppo della scienza e della tecnologia per la difesa nazionale non è un mero affare tecnologico, ma una questione vitale, strategica».

L’anno della riforma il Ministero dell’Industria aerospaziale venne scisso in due e la parte industriale conferita al conglomerato China Aerospace Corporation (CASC).

Pochi anni dopo, nel 1999, la CASC fu scorporata in due entità, con produzioni differenziate. Nacque una sorta di neo-CASC, incaricata dei missili balistici e dei lanciatori, mentre la nuovissima China Aerospace Industry Corporation (CASIC) si sarebbe occupata principalmente degli altri missili, oltre che della R&S satellitare e delle applicazioni civili e militari delle tecnologie dell’informazione.

La 4a accademia della CASIC ci interessa parecchio perché ha realizzato l’integrazione di tutta la gamma di missili balistici a medio raggio della serie DF-21, compreso lo sviluppo della versione antinave del DF-21D.

Anche la sesta accademia vi gioca un ruolo chiave, perché si occupa dei motori a propergolo solido, dei motori di apogeo e di quelli degli ultimi stadi. Nessuno dimentichi che la serie DF-21 è stata la risposta cinese alla crisi degli stretti del 1996, alla marea montante del partito indipendentista taiwanese e alle due portaerei schierate allora da Washington nello stretto di Formosa.

Gli unici a testata nucleare dovrebbero essere i DF-21A/B da 2.150 chilometri di raggio, montati su TEL. Avrebbero un’unica ogiva da 200-300 kt.

Quanto ai DF-21C (1.770 km di raggio d’azione), sono entrati in linea dal 2006, hanno testata convenzionale e sono mobili con una portata ridotta per via del carico utile molto più imponente, stimato in due tonnellate: abbastanza per desumere che siano ottimizzati per strike convenzionali contro obiettivi induriti.

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Circa i missili balistici DF-21D a capacità antinave va sottolineato che, diversamente dall’URSS, la Cina non ha mai avuto molti bombardieri navali a lungo raggio ma ha dotato le forze missilistiche di un’arma balistica anti-portaerei. Sembra che lo sviluppo dei missili DF-21 (1.450 km) sia partito fin dai primi anni ’90 e abbia subito un’impennata con la crisi degli Stretti.

Oggi i vettori in linea dovrebbero essere più di 18. Unici al mondo nella categoria, hanno un’ogiva orientabile, fitta di sensori che seguono lo spostamento del bersaglio in mare, riposizionando la testa bellica.

Queste armi sollevano ancora molte diatribe. L’analista americano Andrew Erickson ritiene che il sistema di targeting cinese non sia ancora perfezionato. Un’opinione discutibile poiché risulta che la Cina possa seguire e tracciare gli obiettivi con diversi sensori, dai radar transorizzonte ai SAR dei satelliti Yaogan-I, II e VIII, cui si aggiungono i sensori elettro-ottici del Yaogan-VII (dicembre 2009) e i satelliti di sorveglianza oceanica Yaogan IX (marzo 2010) e Yaogan-XVI (dicembre 2012), tutti operati dalla nuova Forza di Supporto Strategico guidata del tenente generale Gao Jin.

Un altro alto ufficiale che ha trascorso buona parte della sua carriera nel Secondo Corpo di Artiglieria militandovi anche durante la crisi acuta con Taiwan. Per quanto noto, il DF-21D non è stato ancora testato contro bersagli in movimento, che pongono sfide aerodinamiche complesse all’ogiva attaccante, ma il Pentagono lo stima già operativo, sia perché l’ex Secondo Corpo di Artiglieria l’ha esibito nelle manovre interforze del luglio 2015, sia perché nelle acque anguste di uno stretto i parametri di tiro sono abbastanza predefiniti.

Come se non bastasse, Pechino ha quasi ultimato i test del nuovo missile antinave e anti-superficie supersonico YJ-18 da 290 miglia nautiche, che sarà appannaggio della marina sugli incrociatori Type-055 e sui sommergibili venturi Type-093G e Type-09V (SSN).

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Un’ulteriore minaccia ai gruppi aeronavali americani, ben oltre la prima catena di isole. Una funzione antinave l’avrebbero anche i nuovi IRBM DF-26 (3540-4.000 km circa), dotati di gittata tale da poter raggiungere le basi americane di Guam, la quasi totalità dell’India, incluso il golfo del Bengala e lo stretto di Malacca, molto probabilmente Darwin e la costa settentrionale dell’Australia.

Proprio l’area di gravitazione operativa dell’INDOPACOM statunitense. I cinesi stanno potenziando i siti di lancio e le immagini satellitari dimostrano che lavori di costruzione di una nuova base militare sono partiti a fine 2016 vicino alla città di Danzhou, nel nord-ovest di Hainan.

Immagini più recenti, risalenti al marzo dell’anno scorso, rivelano la presenza di numerose infrastrutture, fra caserme, uffici amministrativi e di formazione, campi di addestramento fisico e grandi hangar chiusi, ripartiti su un’area di mezzo chilometro quadrato, che potrebbe ospitare più di 1.000 uomini

Un sito che corrisponde verosimilmente a quello di una nuova brigata, parte della «Base 62», ex 53sima Base, menzionate in alcuni rapporti dell’intelligence statunitense.

 

La minaccia cinese per gli USA

Riferendo al Comitato delle forze armate del Senato americano, il direttore della DIA (Defense Intelligence Agency), generale di Corpo d’armata Robert Ashley ha rincarato la dose, illustrando a marzo dell’anno scorso le nuove minacce alla sicurezza nazionale, provenienti anche dalla Cina.

Le notizie fornite dal Generale sembrerebbero confermare un programma segreto cinese per lo sviluppo prossimo di due vettori ipersonici aeroportati, molto simili ai Kh-47M2 Kinzhal russi, missili balistici aviolanciati. Sembra che Pechino stia per rafforzare la Rocket Force con mezzi convenzionali e nucleari per poter colpire con grande precisione obiettivi americani situati fino a Guam basandosi sul missile balistico antinave DF-21D e sul missile a lungo raggio DF-26, capace di colpire bersagli fissi al suolo o mobili in mare.

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Ashley non ha nascosto i timori: «l’insieme è completato da una panoplia crescente di missili da crociera di ogni genere oltre che da due nuovi missili balistici aeroportati, di cui uno potrebbe esser armato con una testata nucleare». In effetti, la dichiarazione del direttore della DIA apre due scenari possibili.

Da un lato, conferisce credibilità alle voci sull’esistenza del programma di sviluppo missilistico cinese, dall’altro non fa che confermare quanto si sussurra da almeno un biennio a proposito di una nuova piattaforma aerea, capace di trasportare un missile balistico antinave a medio raggio.

Un velivolo che sarebbe ormai allo stadio di sviluppo finale, come variante del bombardiere H-6K, equipaggiato con un sistema per il rifornimento in volo, così da garantirne invariato il raggio d’azione se non addirittura accrescerlo.

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Un volo inaugurale dell’H-6N sarebbe avvenuto nel dicembre 2016. La nomenclatura del bombardiere non è ancora chiara, ma se ne comincia a parlare anche in alcune pubblicazioni recenti del grande sistemista AVIC.

Ignorando poi la designazione ufficiale dei missili ipersonici associati, i servizi di informazione americani hanno ribattezzato uno dei due sistemi come «CH-AS-X-13» dove AS starebbe per Anti-Ship, antinave, stimandone la portata in circa 3.000 km.

Secondo fonti del governo statunitense, il nuovo missile sarebbe già stato testato cinque volte. Il primo lancio sperimentale avrebbe avuto luogo nel dicembre 2016 e l’ultimo un giorno della quarta settimana di gennaio 2018.

Come nel caso del Kinzhal russo, il cui sviluppo è basato sul missile balistico terra-terra a corto raggio 9M723, perno del sistema 9K720 Iskander, si stima che gli ingegneri del colosso missilistico cinese CASIC abbiano adottato la stessa linea concettuale, per ridurre il ciclo di sviluppo.

E allora il CH-AS-X-13 dovrebbe esser basato sul missile balistico a medio raggio DF-21, o meglio sull’AShBM DF-21D, sempre che la vocazione del nuovo missile sia quella di bombardare grossi obiettivi navali in mare. Date le dimensioni imponenti del DF-21D, che misura 1,4 metri di diametro e 10,7 metri di lunghezza nella versione terrestre, non sorprende che i cinesi abbiano bisogno di una piattaforma aerea strategica, ben più corposa del MiG-31K russo. Quanto alla portata stimata in 3.000 km, contro la metà per il DF-21D, la cosa è del tutto plausibile visto che la gittata annunciata del Kinzhal è stata quadruplicata rispetto all’‘omologo’ terra-terra.

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L’impiego operativo del missile avrebbe anzitutto una funzione anti-nave, in primis anti-portaerei, vera e propria ossessione dei cinesi negli ultimi trent’anni. Il missile servirebbe ad ampliare la panoplia delle armi anti-portaerei esistenti, duplicando il concetto di DF-21D terra-mare e di DF-26 a lungo raggio, garantendo una dimensione stratificata e maggior versatilità al sistema globale A2/AD (Anti Access/Area Denial) cinese istituita per proteggere lo spazio aereo e marittime su aree contese di cui Pechino rivendica sovranità e controllo.

Una moltiplicazione di vettori offensivi che ostacolerebbe le contromisure e il valore delle basi americane proiettate nell’Oceano Pacifico.

L’area di operatività del missile avrebbe una triplice direzione oceanica, verso il Pacifico, con Guam e le Hawai nel mirino, verso il mar Cinese meridionale e forse verso l’Oceano Indiano. Ma torniamo al DF-26. Mobile e bistadio, il missile ha un motore a carburante solido e una massa di una ventina di tonnellate.

Per caratteristiche surclassa i vecchi IRBM DF-3/-3A, primi missili di concezione pan-cinese, ormai in fase di radiazione. Il carico utile dei DF-26 si aggirerebbe intorno ai 1200-1800 kg e tutto lascia desumere che il missile abbia sia valenza convenzionale che nucleare.

Il fatto che la Cina abbia riaperto il dossier dei missili a portata intermedia, balistici e da crociera, ha conseguenze globali, come emerso nella diatriba sulla fine del trattato sulle forze nucleari intermedie. Per ora Pechino avrebbe un’ottantina di DF-26 operativi e qualche DF-3 che tirati in salva potrebbero già produrre un effetto di saturazione anche sul THAAD americano.

Il problema della saturazione casca a pennello perché la Cina ha anticipato lo sviluppo e il rischieramento in Asia di missili ABM ed è oggi uno dei pochissimi paesi al mondo a dotarsi di una capacità di missili da crociera da attacco terrestre lanciati da terra. Sarebbero già operativi più di 250 DH-10, subsonici e con oltre 1500 km di raggio, montati a gruppi di tre su TEL 8×8. Evoluzione dei CJ-10, i DH-10 a guida GPS/Glonass, sono sia convenzionali sia nucleari, propulsi da turboreattori a doppio flusso o turbofan.

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Se usati per l’attacco convenzionale, i DH-10 potrebbero montare quattro varianti di teste esplosive: unitarie HE da 500 kg, unitarie da 350 kg, sempre HE, teste da 350 kg a submunizioni e cariche da 350 kg con funzioni bunker-busting.

Da notare che Pechino padroneggia l’intera panoplia tecnologica necessaria a garantire una precisione meno che decametrica ai suoi vettori ed è capace di variare ad libitum i sistemi di guida, inerziali, TERCOM, DSMC, terminali e GPS. Alla parata del 1°ottobre ha presentato la variante DF-100/CJ-100  a più lungo raggio, con velocità alto-supersonica ipersonica, montata su un veicolo lanciatore con due grossi tubi per l’eiezione. Parliamo di missili di piccole dimensioni, difficili da individuare e tracciare, che stanno costringendo le forze aeree avversarie a dotarsi di capacità sofisticate di detezione aerea precoce.

 

Gli ICBM di Pechino

C’è molto fermento, in Cina, in tutta la filiera missilistica. L’Istituto CALT (China Academy of Launch Vehicle Technology), filiale del gruppo aerospaziale CASC, e le varie Accademie di quest’ultimo, in particolare le numero 1, 4 e 8, hanno portato a maturazione anche gli ICBM. Evocato da oltre 17 anni, il missile pesante DF-41 è in fase di test avanzati nel poligono di Wuzhai, in Cina centrale. Sette lanci hanno avuto luogo nel solo mese di aprile 2016 e un decimo test è avvenuto l’anno scorso. L

’ingresso in linea potrebbe essere ormai vicino come si deduce anche dalla parata del 1° ottobre 2019 per i 70 anni della Repubblica popolare cinese. Il missile è stato presentato ufficialmente per la prima volta. Ha sfilato in 16 esemplari. Alcune unità di strike strategici intercontinentali della Rocket Force si stanno già preparando a ricevere il nuovo vettore.

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Un TEL 10×16 del DF-41 (?) è stato già individuato a fine dicembre 2016 in vari punti prospicienti la città di Daqing, nella provincia nordoccidentale di Heilongjiang. Il DF-41 è la ciliegina sulla torta delle capacità strategiche cinesi, in crescita e già forti di 63 missili operativi, fra DF-4 (10), DF-5B (10), DF-5A (10), DF-31 (8) e DF-31A (25).

Parliamo di un vettore tri-stadio a propergolo solido, lanciabile da silo o da piattaforme mobili, compresi i treni nucleari, quando saranno pronti, perché la Cina sembra ormai lanciata nel progetto, nonostante le difficoltà tecniche da sormontare.

In volo, il DF-41 avrebbe una velocità di Mach 25 e una gittata compresa fra 12.000 e 15.000 km. Può essere armato con un’ogiva termonucleare unitaria, da 1 Mt di potenza, o con dieci testate MIRV da 20, 90, 150 o 250 kt. Sia i DF-41, sia le nuove versioni dei DF-31 potrebbero essere equipaggiate con un veicolo di rientro ipersonico, il Wu-14 o DF-DZ secondo le varie denominazioni, testato a più riprese e presentato ufficialmente il 1° ottobre alla parata militare. Manovranti, gli HGV cinesi a stato-reattori raggiungerebbero una velocità di Mach 10 e rilascerebbero le testate nucleari con una precisione di pochissimi metri, seguendo una traiettoria bassa che, abbinata alla velocità, limiterebbe fortemente l’efficacia dei dispositivi antimissilistici oggi esistenti.

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Il mix accrescerà ulteriormente la credibilità del deterrente cinese, tenendo a mente che dall’epoca dei primi DF-31 è aumentata sensibilmente la minaccia geografica dell’arsenale di ICBM. I DF-31 entrati in linea nel 2006 avevano un raggio di 7.000 km e una testa unica da 200-300 kilotoni. Permettevano di raggiungere tutta l’Europa e la Russia.

Con i DF-31A del 2007, che sarebbero varianti terrestri dei JL-2, il salto di qualità è lampante, visto che i vettori, da 11.000 e più km di raggio, coprono l’intero Nordamerica. Si tratta di missili tristadio mirvizzati, con un massimo di 3-5 testate da 50 a 150 kt. Si sa invece poco del DF-31B, che avrebbe una portata stimata in 10.000+ km. Montato su un TEL a otto assi, il missile è in fase di test dal 2014.

Stranamente non è stato più evocato dopo il test del 2014, mentre Pechino ha presentato nel 2017 un mock-up della variante migliorata del DF-31A o DF-31AG. Diversamente dal modello base che utilizza un semirimorchio 1S1-31A, trainato da una trattrice stradale, il DF31AG impiega un TEL 16×16, che migliora la mobilità del vettore su ogni tipo di terreno. Il tubo di lancio mostra diversi rinforzi circolari.

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Qualcosa che suggerisce una pressione maggiore al decollo del missile. Potrebbero essere state implementate modifiche al sistema propulsivo del primo stadio e adottato un nuovo tipo di propergolo della famiglia N-15, che sviluppa un’impulsione specifica superiore a quella dei carburanti HPTB e NEPE utilizzati dagli altri missili intercontinentali.

La taglia del missile dovrebbe esser rimasta identica a quella del DF-31 e del DF-31A. Intanto è stato già presentato anche il nuovo DF-5B. Evoluzione del DF-5A, entrato in servizio nel 1981, il missile avrebbe una gittata di 15.000 km. Sembra che adotti la stessa tecnologia del razzo Long March-2C e lo stesso veicolo di lancio spaziale di un altro sistema meno noto. Sebbene le autorità cinesi evochino un massimo di tre ogive per missile, le dimensioni del vettore suggeriscono che ne possa montare fino a 8, a guida indipendente.

Il DF-5B adotta ancora un sistema di propulsione liquida ed è lanciabile unicamente da silo, entrambi fattori di vulnerabilità. Stoccato in tunnel sotterranei, il missile ne uscirebbe solo prima del lancio, perché è all’aria aperta che può essere caricato di carburante. Un’operazione lunga e complessa, che richiederebbe almeno due ore di tempo, sfruttabili dai sensori nemici. E del sistema ISR e di early warning cinese è bene parlare subito.

La detezione precoce di attacchi strategici è sempre stata un punto debole di Pechino. Negli anni ’70 erano stati immessi in servizio diversi radar Type 7010, a superficie piana e unica, con portata stimata fino a 3.000 chilometri, ma con un’affidabilità molto dubbia. Alcuni anni fa sono circolate immagini di un nuovo sistema radar rotante di early warning, da 5.500 km di portata.

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Quattro sistemi sarebbero ormai del tutto operativi, a garanzia di una copertura del paese a 360°. Riteniamo verosimile che i nuovi radar siano frutto del lavoro del 14° istituto di ricerca di Nanchino, il Nanjing Research Institute of Electronic Technology, che fa capo alla CETC (China Electronics Technology Corporation), sancta santorum dei radar terrestri della difesa cinese. Le foto sono uscite peraltro poco dopo la pubblicazione del libro bianco cinese, che per la prima volta ha evocato «un potenziamento delle capacità di early warning».

Sta di fatto che oltre ai radar terrestri, Pechino non avrebbe per ora una rete di satelliti per il monitoraggio dei lanci nemici. Ma forse è solo una questione di tempo. Intanto, la serie DF-5 si è arricchita di una nuova variante, la DF-5C, testata con 10 MIRV nel 2017.

Non era mai accaduto che la Cina impiegasse un numero così elevato di MIRV in un esperimento balistico, nonostante possegga le tecnologie in materia ormai dal settembre 2008, quando i due satelliti HJ-1A e HJ-1B furono posizionati in orbite differenti da un razzo CZ-2C, variante civile Batch 02 del missile balistico intercontinentale DF-5. Un messaggio rivolto soprattutto agli Stati Uniti, data la portata del vettore.

Quindicimila chilometri di raggio con 10 MIRV dalla maggior precisione significano che l’unico obiettivo nel mirino sono gli USA, visto che 10.000 chilometri basterebbero per colpire qualsiasi punto della Russia o dell’Europa.

 

La dottrina d’impiego della Rocket Force

Pechino ha una dottrina ‘nucleare’ sui generis, che ruota intorno ad alcuni principi cardine. Ha sempre dichiarato che non utilizzerà per prima l’arma nucleare, attenendosi al principio del no-first use. Tanto meno se ne servirà contro nemici che ne siano sprovvisti. Nessuna delle sue testate risulterebbe in stato di high alert, in quanto stoccata separatamente dai missili. Date le dimensioni ancora contenute dell’arsenale, vige il concetto di deterrenza ‘dal debole al forte’, declinato in Cina secondo i canoni della guerra nucleare limitata e della “guerriglia con i missili balistici”.

Una teorizzazione cara a Zhang Jinxi e Wang Xianchun. É bene però precisare che la lingua e la dottrina cinesi non parlano di dissuasione, ma di coercizione nucleare, un termine dalla connotazione più offensiva.

Gli eventuali strike cinesi sarebbero diretti contro obiettivi nemici vitali, acquisiti dalla Forza di supporto strategico, che ha assorbito fra l’altro le competenze dell’ex Quarto dipartimento, dominus della guerra e dell’intelligence elettronica, e dell’ex Secondo dipartimento, ossia dell’intelligence militare. Finirebbero pertanto nel mirino gli obiettivi militari strategici, incluse le città industriali e quelle che ospitino i centri decisionali, in una sommatoria di strike contro-demografici e counter-force.

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Molti missili della Rocket Force possono avere sia capacità convenzionali che nucleari, un’indeterminatezza che allea dissuasione e coercizione, ma che potrebbe indurre in errore l’avversario. Ad esempio, Usa e Russia ritengono che poter discriminare “ab initio” fra vettori sia determinante per scongiurare rischi di guerre nucleari accidentali.

I cinesi giocano invece volutamente sull’ambiguità convenzionale/nucleare, per alterare le logiche strategiche nemiche, molto più lineari. In caso di lancio di un missile cinese, occorrerebbe pertanto attenderne l’impatto per avere certezza della carica bellica impiegata.

Un’attesa che pregiudicherebbe la logica americana del ‘launch on warning’, sorta di dente per dente in tempo reale, con il lancio di forze equivalenti a quelle attaccanti, individuate quasi istantaneamente dal sistema di allerta precoce.

Un modo, tutto cinese, per imporre la velocità desiderata alle operazioni nucleari e assumere il controllo della dimensione temporale. Chi rispondesse in maniera azzardata, si esporrebbe al rischio di una guerra nucleare prolungata, che la Cina giocherebbe con l’arma della «guerriglia dei missili balistici».

 

Foto: PLA, Army Recognition, Us DoD, Ausaairpower, Xinhua, AP e Navy Recognition

 

 

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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