Israele e il suo “riluttante” apparato di sicurezza

di Daniel Pipes
da L’Informale  del 2 luglio 2020

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Noi che sosteniamo la Vittoria di Israele osserviamo con sgomento il governo del Qatar minacciare Israele che gli chiede di porre fine alle sue donazioni finanziarie a Gaza, insinuando che Hamas riprenderà a lanciare i suoi aquiloni incendiati.

Dove sono, ci chiediamo, quelle straordinarie forze armate che hanno sconfitto tre Stati in sei giorni, hanno compiuto il raid di Entebbe e hanno razziato l’archivio nucleare iraniano?

Pare che l’apparato di sicurezza israeliano abbia un Doppelgänger, una controparte sconosciuta, difensiva e riluttante, emersa dopo gli Accordi di Oslo del 1993 per far fronte ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, che ha avuto bisogno di 50 giorni per porre fine a un’operazione militare minore nel 2014 e non riesce a bloccare il lancio di palloni incendiari da Gaza. L’IDF classico cerca di vincere, ma quello palestinese vuole solo la quiete.

Come si spiega questa sua riluttanza? Ecco sei fattori che possono essere esplicativi a riguardo.

I governi israeliani fondati su coalizioni con molti partner tendono, come afferma Jonathan Spyer, “a evitare di concentrarsi su questioni strategiche a lungo termine, preferendo far fronte alle minacce immediate”. Perché farsi carico di un problema come quello di Gaza quando si può rimandarne la soluzione?

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Allo stesso modo, i servizi di sicurezza israeliani sono orgogliosi del dover occuparsi del presente, e non del nebbioso futuro, come esplicato dall’ordine apocrifo di un ufficiale alle sue truppe: “Proteggete questa zona sino alla fine del vostro turno”. Leah Rabin, moglie di Yitzhak Rabin, una volta spiegò così la mentalità del marito: “Era molto pragmatico, odiava occuparsi di una cosa che sarebbe accaduta nel futuro. Pensava solo a quello che sarebbe successo nel presente, in un futuro molto prossimo”.

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In modo analogo, Einat Wilf spiega che l’IDF incoraggia i finanziamenti del Qatar a Gaza perché pensa che questo compri la quiete: “Farà tutto il possibile per garantire che i finanziamenti continuino a essere erogati a Gaza, anche se ciò significa che la quiete viene acquistata al prezzo di una guerra che andrà avanti per decenni”.

Così come la polizia ritiene che i criminali siano degli incorreggibili piantagrane, allo stesso modo i responsabili dei servizi di sicurezza israeliani vedono i palestinesi come nemici e rifiutano l’idea che questi avversari possano imparare una lezione: i leoni possono modificare le iene? Gli schemi di sicurezza si oppongono a un approccio deciso perché vogliono evitare problemi. Questa visione può farli sembrare di sinistra, ma non lo sono: un’esperienza lunga e amara, e non un idealismo nebbioso, spiega la loro riluttanza.

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I servizi di sicurezza israeliani non vogliono nuovamente governare direttamente sulla Cisgiordania o su Gaza e temendo un crollo dell’Autorità Palestinese (AP) o di Hamas, li trattano con deferenza. Considerano l’AP sotto la guida di Mahmoud Abbas, nonostante tutte le sue carenze, un utile partner di sicurezza. Sì, è vero, l’Autorità palestinese incita all’uccisione degli israeliani e delegittima lo Stato di Israele, ma meglio sopportare tali aggressioni che punire Abbas, indurre la sua caduta e rivivere l’incubo di camminare per le strade di Nablus. Pertanto, Abbas la passa liscia.

Una combinazione di debolezza militare palestinese e di intenso controllo internazionale ha indotto l’apparato di sicurezza di Israele a vedere i palestinesi più come criminali che come soldati; di conseguenza l’IDF da forza militare si è trasformato in una forza di polizia, con tanto di mentalità difensiva che considera la stabilità un obiettivo in sé. I generali non entrano in battaglia con l’obiettivo di salvare la vita dei loro soldati, ma i capi della polizia vogliono che lo scontro con i criminali non infranga la legge e non leda nessuno. I generali puntano alla vittoria, i capi della polizia cercano la quiete.

Infine, un esagerato senso morale interferisce con un’azione efficace. Nel 2018, il capo di Stato maggiore dell’IDF, Gadi Eizenkot, ha giustificato la passività nei confronti degli incendiari adducendo come sbalorditiva ragione che “lanciare bombe su persone che fanno volare palloncini e aquiloni” va contro la sua “posizione operativa e morale”.

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È questo riluttante establishment di sicurezza, e non una Sinistra indebolita, a ostacolare principalmente la risoluzione della questione palestinese: ancora una volta sono prevalse le sue vedute di appeasement. Per fortuna, l’apparato di sicurezza ha dissidenti e questi parlano apertamente, soprattutto dopo aver lasciato il servizio attivo. Gershon Hacohen esorta i leader politici a non lasciare che la leadership militare prenda decisioni al posto loro; Yossi Kuperwasser chiede una Vittoria di Israele; Uzi Dayan vuole che l’esercito fornisca ai leader del Paese i mezzi per ottenere la vittoria. Anche il trio degli ex capi di Stato maggiore che hanno formato il Partito Blu e Bianco richiede un’azione decisa.

La risoluzione del problema palestinese richiede la fine delle divisioni nell’apparato della difesa israeliano e il ritorno a una forza unitaria dedita a vincere, a convincere i palestinesi che il conflitto è finito, che hanno perso e che dovrebbero abbandonare i loro obiettivi di guerra.

 

Pezzo in lingua originale inglese: Explaining Israel’s Timid Security Establishment
Traduzioni di Angelita La Spada

Per la versione integrale di quest’analisi si veda Perché gli israeliani evitano la vittoria, L’Informale, 19 ottobre 2018.

Foto IDF

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