Export militare: così la Francia domina l’Europa. E l’Italia?

di Stefano Pioppi  da Formiche.net

Il Servizio europeo per l’azione esterna ha presentato il nuovo database relativo all’export militare dei Paesi dell’Ue tra 2013 e 2019. Tra grafici e tabelle, emerge il dominio francese sulle vendite all’estero del Vecchio continente in campo militare. Nel 2019 l’export di Parigi valeva oltre 10 miliardi; quello italiano 2,4

È la Francia a dominare incontrastata l’export militare del Vecchio continente. Oltre il 70% del valore delle licenze di esportazione all’estero di tutti i Paesi dell’Unione europea è francese, percentuale pressoché costante negli ultimi anni. Tra i big, Germania e Regno Unito hanno retto botta, mentre la Spagna è riuscita ad aumentare il proprio posizionamento. In calo invece l’Italia, che ha ridotto la propria quota almeno dal 2013. È quanto emerge dai dati forniti dal Servizio europeo d’azione esterna (Eeas) guidato dall’Alto rappresentante Josep Borrell, che ieri ha presentato il suo nuovo database dedicato all’export della Difesa di tutti i Paesi membri tra 2013 e 2019.

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L’obiettivo? “Permettere a ciascuno di consultare e analizzare in maniera friendly-user i dati degli Stati sulle esportazioni di materiali d’arma”. Il database sarà aggiornato su base annuale tramite le informazioni fornite dagli Stati membri, ognuno dei quali ha meccanismi di controllo e rendicontazione dell’export militare differenziati. Le decisioni sulle licenze d’esportazione, chiarisce il Servizio esterno dell’Unione, rientrano chiaramente nelle competenze nazionali. Tuttavia, aggiunge, “i criteri di valutazione su cui le autorità nazionali basano le loro decisioni sono europei”, sanciti nella Common Position 2008/944 dell’Ue relativa proprio all’esportazione di armi.

Il tema è di interesse crescente, almeno quanto la Difesa comune. Tra i meccanismi messi in campo da Bruxelles e i grandi programmi multi-nazionali (dal Tempest al carro armato del futuro), il nodo dell’export è spesso al centro delle discussioni tra gli Stati partecipanti. Il caso più eclatante riguarda senza dubbio Francia e Germania, per cui il noto disaccordo sulle prospettive di vendita future del caccia di sesta generazione ha a tratti rallentato il programma.

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Il database dell’Eeas offre ora un quadro completo, una piattaforma unica e semplificata per i dati di trenta Paesi. Lo sforzo di trasparenza è rilevante, e comprende i dettagli sulle singole licenze. L’aspetto più interessante è comunque quello comparativo. E così, scorrendo grafici e tabelle, si nota che nel 2019 le licenze per l’export militare dei Paesi membri hanno avuto un valore di 138 miliardi di euro, di cui il 70% coperto dalla Francia (quasi 98 miliardi). La prima destinazione è l’Egitto (per 16 miliardi), coperta dai transalpini per oltre l’88%, cioè con licenze di un valore pari a 14,2 miliardi.

Interessante anche il confronto nel tempo. Per l’Italia nulla di nuovo: i dati europei confermano il trend negativo degli ultimi anni già riscontrato a maggio nella relazione annuale al Parlamento dell’Uama, l’autorità nazionale per i movimenti in materia di difesa. Per i dati dell’Eeas, il valore delle licenze italiane è stato nel 2019 pari a 4 miliardi di euro. Erano 14,6 nel 2016, quando i dati erano schizzati in su (+85% sul 2015) grazie alla commessa da 7,3 miliardi per 28 Eurofighter al Kuwait.

 

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Da notare che comunque il calo è piuttosto comune in Europa, a partire dal numero di licenze (oltre 46mila nel 2013, meno di 39mila nel 2019). In calo dal 2015 il valore complessivo delle licenze per i 28 Paesi. Lo scorso anno il valore delle licenze francesi valeva 137 miliardi; quest’anno 97. Leggendo però il valore dell’export, è cresciuto da 6,8 miliardi a 10,3.

Tra i big, il vero exploit è della Germania, che nel 2019 ha registrato licenze per 8,04 miliardi (prime destinazioni: Ungheria, Algeria ed Egitto) rispetto ai 4,8 dell’anno precedente. Eppure, il secondo posto nell’export militare dopo la Francia spetta alla Spagna: licenze pari a 10 miliardi lo scorso anno (oltre il doppio di quello italiano) e un numero in crescita costante dal 2013; prime destinazioni Olanda, Uk e Corea del Sud. Piuttosto altalenante il Regno Unito (che vende soprattutto a Arabia Saudita e Usa): 5,8 miliardi nel 2019, 3,2 l’anno prima, 7,5 nel 2017.

Come detto, l’Egitto guida la classifica delle destinazioni dell’export militare europeo, con 16 miliardi nel 2019. Seguono India (9,2 miliardi), Emirati Arabi (8,1 miliardi) e Arabia Saudita (7,8 miliardi). Il Medio Oriente copre quasi il 30% del valore delle licenze nel 2019, seguito dal mercato interno all’Ue che si attesta sopra il 24%.

Per i primi cinque Paesi destinatari è sempre la Francia a dominare le vendite, coprendo in media circa l’80% delle licenze di tutti e 30 gli Stati europei. D’altra parte, la percentuale francese sul totale del valore delle licenze europee non è mai scesa al di sotto del 74% dal 2014. Appariva più equilibrata solo nel 2013, quando Parigi si attestava al 26%, Berlino al 16% e il Regno Unito al 14%.

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Posta la nota strategicità dell’export militare, per l’Italia la questione è ora nella lettura di questi numeri. Negli ultimi anni i francesi hanno dominato le vendite europee nel settore militare. Sono cresciuti gli spagnoli, mentre tedeschi e britannici sono riusciti a tenere botta. Tutto questo dovrà far ragionare su come rilanciare l’export nazionale.

Da tempo si attende la piena attuazione della riforma g2g, i meccanismi governo-governo di cui la Penisola si è dotata alla fine dello scorso anno. Manca l’apposito regolamento per l’implementazione che porterebbe l’Italia al pari degli altri competitor europei. Si parla poi di banca per l’export, misure da sommare a quelle attese dentro i confini nazionali per il supporto a un comparto strategico sia in termini di postura internazionale (e politica estera), sia per i ritorni sull’economia nel suo complesso.

Si dovrà passare probabilmente anche per un maggiore realismo, evitando approcci ideologici all’export militare. Lo scorso anno la Francia ha approvato licenze di vendita all’Egitto per quasi 4 miliardi tra bombe, missili e siluri.

 

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