L’Islam sopravviverà all’islamismo?

di Daniel Pipes – dal Washington Times del 15 novembre 2021

 

Nell’ultimo mezzo secolo il movimento islamista, che cerca di applicare le leggi islamiche medievali e costruire un califfato mondiale, si è espanso enormemente. Ma ora deve affrontare un significativo e crescente contro-movimento, specialmente nei Paesi a maggioranza musulmana. Un numero sempre maggiore di musulmani, spinti dallo sgomento destato da eventi come la caduta di Kabul, teme e rifiuta questa versione radicale dell’Islam. La consapevolezza dell’impulso anti-islamista è stata in gran parte circoscritta a coloro che sono direttamente coinvolti, ma merita di essere conosciuta meglio.

L’anti-islamismo include quattro tendenze complementari, che vanno da quella più pacifica a quella più radicale: l’Islam moderato, l’irreligiosità, l’apostasia e la conversione ad altre religioni. Tutte e quattro tali tendenze sono presenti ovunque nel mondo ma, a scopo illustrativo, mi concentrerò in ognuno dei casi su un Paese chiave del Medio Oriente: l’Islam moderato visibile in Egitto, l’irreligiosità tangibile in Turchia, l’ateismo evidente in Arabia Saudita e il fenomeno delle conversioni esistente in Iran.

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Moderazione. Lo stato di polizia diretto per trent’anni da Hosni Mubarak  ha accolto gli islamisti in modo così sistematico che gli egiziani non hanno osato opporsi. La sua caduta, nel 2011, ha finalmente consentito l’espressione aperta di opinioni che il governo islamista di Mohamed Morsi ha ulteriormente spronato durante il suo primo e unico anno di attività. I risultati ottenuti sono stati oltremodo anti-islamisti, come testimoniano le aggressioni in strada contro uomini appartenenti ai Fratelli Musulmani, le donne che hanno gettato via l’hijab e l’immensa popolarità di personaggi aspramente critici verso l’islamismo come Islam al-Behairy, Ibrahim Issa, Mukhtar Jom’ah, Khaled Montaser e Abdallah Nasr. Anche il presidente Abdel Fattah al-Sisi, un ex simpatizzante islamista, ha assecondato queste opinioni moderate.

Irreligiosità. Dal 2002, il presidente islamista turco, Recep Tayyip Erdoğan, domina  la politica del Paese con l’obiettivo di far crescere una “generazione pia”. Ma i turchi della giovane generazione adottano costumi non islamici. Un sondaggio condotto da Volkan Ertit ha rilevalo che la sacralità ha meno influenza su questioni come la credenza in esseri soprannaturali, l’abbigliamento che rivela la forma del corpo, i flirt prematrimoniali, le relazioni sessuali al di fuori dell’ambito coniugale e l’omosessualità. Un rapporto del governo ha documentato l’attrattiva che rappresenta il deismo tra gli studenti delle scuole religiose. Secondo un sondaggio WIN/Gallup del 2012, le persone “non religiose” rappresentano il 73 per cento della popolazione in Turchia (il tasso più elevato dei 57 Paesi presi in esame).

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Apostasia. In Arabia Saudita, il rifiuto categorico dell’Islam “si sta diffondendo a macchia d’olio”, afferma un rifugiato saudita. Il sondaggio WIN/Gallup ha rilevato che in Arabia Saudita gli “atei convinti” costituiscono il 5 per cento della popolazione, come negli Stati Uniti. La monarchia ha reagito in due modi. Innanzitutto, il principe ereditario Mohammed bin Salman ha parzialmente accettato tali opinioni aprendo il Paese a numerose idee moderne. In secondo luogo, ha emanato normative antiterroristiche che puniscono “il sostegno al pensiero ateo in qualsiasi forma o la messa in discussione dei fondamenti della religione islamica su cui questo Paese si fonda”. Beh, proprio così, la monarchia combatte l’ateismo con delle norme antiterrorismo.

Conversione. A proposito dell’Iran, l’analista Shay Khatiri scrive che “l’Islam è la religione in più rapida diminuzione (…) mentre il Cristianesimo cresce più rapidamente”. Il Christian Broadcast Network va oltre, affermando che “il Cristianesimo sta crescendo più velocemente nella Repubblica islamica dell’Iran che in qualsiasi altro Paese del mondo”. David Yeghnazar di Elam Ministries rileva che “gli iraniani sono diventati le persone più aperte al Vangelo”.

Secondo un ex musulmano, ora pastore evangelico, “noi ci troviamo di fronte a ciò che è più di una conversione alla fede cristiana”, egli ha affermato, “Si tratta di un esodo di massa dall’Islam”.  Lela Gilbert e Arielle Del Turco dichiarano che i mullah considerano il Cristianesimo “una minaccia esistenziale” al loro governo. Reza Safa prevede che l’Iran diventerà il primo Paese a maggioranza musulmana a convertirsi al Cristianesimo. A conferma di queste tendenze, il ministro iraniano dell’intelligence, Mahmoud Alavi, ha espresso pubblicamente timori per i musulmani che si convertono al Cristianesimo.

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Qui di seguito alcune osservazioni su questo impulso anti-islamista.

Il fenomeno sembra limitato ai Paesi a maggioranza musulmana. In seno alle minoranze islamiche, soprattutto in Occidente, l’islamismo continua a crescere.

Contrariamente alle teorie complottiste, tale impulso deriva quasi unicamente da sviluppi interni fra i musulmani, e i non musulmani hanno soltanto un ruolo di sostegno limitato. Come sempre, i musulmani determinano il proprio destino.

Gli anti-islamisti si oppongono quasi diametralmente agli islamisti su questioni riguardanti la religione, la famiglia, le relazioni sociali, la politica, e non solo. Tra le altre implicazioni, occorre rilevare che i liberi pensatori e gli ex musulmani tendono ad essere fortemente filo-occidentali, filo-americani e filo-israeliani.

Ci si aspetta di vedere apparire spinte anti-islamiste anche in Nigeria, Bangladesh e in Indonesia, poiché le tendenze islamiche storicamente iniziano in Medio Oriente e  migrano verso l’esterno.

Così l’islamismo allontana inavvertitamente i musulmani dall’Islam e potenzialmente scuote le fondamenta stesse di questa religione. Un’emittente cristiana sostiene addirittura che “la presa dell’Islam sul popolo musulmano si è sgretolata”. L’utopismo radicale ha fatto sprofondare la seconda comunità religiosa più grande al mondo in una crisi nascosta ma profonda, dagli esiti imprevedibili.

Traduzione di Angelita La Spada

 

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