L’accordo sul grano tra interessi geopolitici e ritorno della diplomazia

 

 

Non v’è dubbio che la mediazione di un autocrate come Erdogan può aver dato fastidio ai sostenitori delle democrazie, ma occorre riconoscere che il suo ruolo è stato decisivo per ottenere l’accordo sul grano. Si tratta di un obiettivo sui cui risultati effettivi occorrerà compiere delle verifiche sul campo, ma intanto significa avere sbloccato l’export di circa 35 milioni di tonnellate di grano dal terminal di Odessa, che rischiavano di diventare inutilizzabili. E tutto questo mentre un report dell’Onu già ha stimato circa 300 milioni di persone in piena crisi alimentare, alle soglie della carestia, per effetto della guerra in Ucraina.

Vale pure ricordare che il blocco navale in quell’area ha provocato gravissime conseguenze sui costi di esercizio del traffico mercantile, in cui peraltro hanno inciso le condizioni proibitive poste dalle assicurazioni. L’effetto distorsivo dei mercati finanziari ha poi alterato nel complesso il sistema dei prezzi del commercio alimentare mondiale.

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Per questo era importante arrivare ad una soluzione del problema. Questa sembra essere stata individuata dall’Onu, altro importante attore della mediazione, che è stata seguita stavolta da un più assertivo Antonio Guterres. Al Segretario Generale dell’Onu più di qualcuno aveva rivolto critiche per l’atteggiamento un po’ troppo attendista e remissivo rispetto al ruolo ricoperto, in cui nel passato altri Segretari generali avevano assunto iniziative e posizioni più nette nelle situazioni di crisi.

Le riserve sulle possibilità di un accordo erano di entrambe le parti. In una prima ipotesi si era chiesto che agli ucraini, con il supporto delle marine europee che si erano fatte avanti, incombesse l’onere di sminare il porto di Odessa e il tratto del Mar Nero disseminato dagli ordigni. Ma Kiev sul punto aveva manifestato la sua opposizione, ritenendo che il corridoio così creato avrebbe potuto favorire le successive intrusioni della marina russa. Peraltro le azioni di sminamento sarebbero state costose e avrebbero richiesto tempo.

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D’altro canto, la Russia ha temuto fortemente che la manovra del grano fosse in realtà finalizzata a ridare forza agli approvvigionamenti diretti via mare all’Ucraina, ed ha usato il blocco del grano come strumento di contrattazione sulle sanzioni economiche disposte sulle sue esportazioni.

La mediazione è riuscita a superare le opposte visioni e a giungere ad un compromesso, come deve necessariamente accadere se si vuole veramente raggiungere un’intesa partendo da posizioni contrapposte. Formalmente gli accordi sono distinti, nel senso che non si tratta di un accordo multilaterale Russia-Ucraina-Turchia-Onu, ma di due accordi bilaterali speculari, sottoscritti con la “garante” Turchia uno dalla Russia l’altro dall’Ucraina: Kiev e Mosca hanno confermato le loro aperte ostilità, non incontrandosi in un negoziato diretto.

L’intesa in ogni caso ha consentito di individuare una soluzione tecnica che allo stato sembra aver messo d’accordo le parti, almeno sui punti essenziali su cui per Erdogan e Guterres era importante incassare un risultato concreto, dopo mesi di negoziati interrotti.

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È stata messa da parte l’ipotesi di un’azione estesa nello sminamento, ma si è consentita all’Ucraina la gestione diretta dei convogli mercantili per incanalarli in percorsi sicuri, fuori dal pericolo delle mine e da possibili attacchi dei russi. A vigilare che il sistema funzioni secondo gli accordi, senza che vi possano essere canali rifornimento per armamenti o per altri sostegni indiretti all’azione bellica, è prevista la costituzione di un centro di coordinamento a Istanbul, ove saranno presenti organi di controllo e osservatori di Russia, Ucraina, Turchia e Nazioni Unite.

In sostanza, a questi spetterà il monitoraggio del traffico navale, anche attraverso un regime di ispezioni, secondo le norme del diritto marittimo.

La Russia conseguirà almeno due vantaggi dall’accordo: da un lato, si parla di un possibile allentamento delle restrizioni sulle sue esportazioni di cereali e fertilizzanti, dall’altro, otterrà comunque un riavvicinamento di quei Paesi soprattutto africani che pur non avendo votato le sanzioni contro la Russia ora si vedevano colpiti dal blocco del grano ucraino, di cui hanno necessità vitale. Ed è probabile che proprio questo aspetto abbia convinto Putin ad accettare l’intesa.

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L’agenzia Interfax ha riferito le prime dichiarazioni rese del ministro della Difesa Serghei Shoigu dopo avere firmato l’accordo a Istanbul: “La Russia non approfitterà per trarre vantaggi militari dal fatto che gli ucraini si sono impegnati a riaprire i loro porti sul Mar Nero”. Dall’ufficio della presidenza ucraina, Andriy Sybiha ha parlato di un “passo importante per prevenire la crisi alimentare globale’’, ma anche di nuove prospettive per gli ucraini di “posti di lavoro, stipendi e risorse per il bilancio”.

Particolare rilievo va riconosciuto anche alle parole di Erdogan, che si è proposto stavolta al di fuori degli schemi.  “Questo accordo sarà una svolta’’ ha indicato, e ha annunciato: “Speriamo che si riapra uno spiraglio per la pace’’.

Importanti sono anche gli altri passaggi del Presidente turco: “Questa guerra continua da cinque mesi (…) Si protrae nel silenzio. Ma il costo economico è molto elevato, come quello umano’’. E infine: “Il conflitto armato separa due Paesi, ma anche il resto dell’umanità (…) La guerra non è il nostro destino, non vogliamo che costi la vita di persone innocenti’’.

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Secondo alcuni osservatori è ancora presto per valutare gli effetti dell’accordo sulla crisi alimentare globale, mentre è più ragionevole considerare quanto questo abbia fatto gioco soprattutto al presidente turco Erdogan, che si è visto attribuire un ulteriore peso geopolitico.

In ogni caso, l’accordo sul grano sarà una prova sul campo per riscontrare l’effettiva volontà delle parti. È certo prematuro palare di “fiducia” nel senso tecnico delle relazioni internazionali, anche perché Russia e Ucraina si sono rifiutate di incontrarsi direttamente su un tavolo di negoziati.

Ma quanto meno c’è una condizione di partenza: attori internazionali hanno imposto condizioni ai belligeranti, nel prioritario obiettivo di far prevalere interessi comuni, globali. Anche questo significa far parlare il linguaggio della diplomazia e ricondurre l’Onu al suo ruolo di alta mediazione. Questo è il percorso da proseguire.

Foto Anadolu

 

 

Maurizio Delli SantiVedi tutti gli articoli

Membro della International Law Association, dell'Associazione Italiana Giuristi Europei, dell'Associazione Italiana di Sociologia e della Société Internationale de Droit Militaire et Droit de la Guerre - Bruxelles. Docente a contratto presso l'Università Niccolò Cusano, in Diritto Internazionale Penale/Diritto Internazionale dei Conflitti Armati e Controterrorismo, è autore di varie pubblicazioni, tra cui "L'ISIS e la minaccia del nuovo terrorismo. Tra rappresentazioni, questioni giuridiche e nuovi scenari geopolitici", Aracne, 2015. Collabora con diverse testate italiane ed europee.

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