Il punto sulla controffensiva ucraina: la svolta che (per ora) non c’è

 

(aggiornato alle ore 23,59)

A tre mesi dall’inizio della controffensiva ucraina, scatenata il 4 giugno scorso, i combattimenti restano intensi e molto sanguinosi sui fronti principali nelle regioni di Zaporizhia e Donetsk dove i russi contengono le limitate avanzate ucraine, ma pure a nord tra le regioni di Luhansk e Kharkiv dove sono le truppe di Mosca ad aver guadagnato terreno intorno a Kupyansk e Liman. Meno intensa, anche se vivace, l’attività militare nella regione di Kherson dove il fiume Dnepr divide i contendenti e gli ucraini continuano a sbarcare piccole unità di fanteria sulle isole e sulla sponda sinistra del fiume obbligando i russi a dare il via ad operazioni di portata limitata ma tese a eliminare le infiltrazioni nemiche con ampio supporto dell’artiglieria.

Benché nessuno dei belligeranti fornisca dati circa le perdite subite, la ricorrenza del terzo mese di controffensiva ha rafforzato il dibattito, sempre più acceso tra l’Ucraina e i suoi alleati occidentali, circa il significato e l’esito di un’operazione costata finora a Kiev la perdita di decine di migliaia di morti e feriti e di centinaia di mezzi e armamenti pesanti senza il conseguimento di nessuno degli obiettivi pianificati e annunciati.

A Zaporizhia non è stata sfondata la Linea Surovikin il cui superamento avrebbe aperto la strada alla Crimea e al Mare d’Azov mentre nella regione di Donetsk non è stata ripresa né circondata Bakhmut e non è stato possibile respingere le truppe russe lontano da Avdiivka e Marinka.

Il tema del mancato successo (per ora) della controffensiva ucraina è da settimane dibattuto anche nelle cancellerie e sui media occidentali, dove da tempo trapelano critiche alla conduzione delle operazioni ucraine in più occasioni segnalate da Analisi Difesa

Il 5 settembre il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, riprendendo alcune precedenti dichiarazioni del presidente Vladimir Putin, ha sottolineato che le forze armate ucraine non hanno raggiunto nessuno dei loro obiettivi in tre mesi di controffensiva. “Il regime di Kiev, malgrado le enormi perdite, ha cercato di condurre la cosiddetta controffensiva anche per il terzo mese. Le forze armate ucraine non hanno raggiunto i loro obiettivi su nessun fronte”.

Shoigu ha aggiunto che Kiev sta “cercando disperatamente di dimostrare” almeno qualche successo militare all’Occidente per continuare a ricevere il suo sostegno militare ed economico. “Nel tentativo di nascondere il fallimento dell’offensiva, gli ucraini attaccano obiettivi civili e li spacciano per vittorie militari”, ha detto il ministro riferendosi all’incremento degli attacchi contro il territorio russo con droni e infiltrazioni di sabotatori,

Come quella tentata il 4 settembre nella regione di Bryansk sventata, secondo il governatore dell’oblast Alexander Bogomaz, grazie all’intervento delle guardie di frontiera (che in Russia dipendono dai servizi di sicurezza interna FSB) e di unità militari.

Shoigu ha reso note le perdite inflitte al nemico ma non quelle sofferte dalla Russia dall’inizio della controffensiva. “Il nemico ha perso 66.000 uomini e 7.600 pezzi di equipaggiamento dall’inizio della cosiddetta offensiva”, ha detto Shoigu aggiungendo che nell’ultimo mese le forze armate russe hanno abbattuto 159 razzi HIMARS, oltre 1.000 droni e 13 missili da crociera.

Il tema delle perdite resta cruciale a Kiev e nelle cancellerie occidentali dove molti temono che i sacrifici patiti dalle forze ucraine prima nell’estenuante battaglia difensiva di Bakhmut e ora nella sanguinosa e inconcludente controffensiva abbiano ridotto le capacità militari ucraine di resistere il prossimo inverno a un’eventuale offensiva russa che potrebbe prendere piede a cominciare dalla regione di Kharkiv, dove fonti militari ucraine hanno reso noto in diverse occasioni che i russi avrebbero ammassato forze comprese tra 50 mila e 100 mila militari con centinaia di mezzi corazzati e artiglieria.

Resta poi di grande rilevanza il tema della tenuta del fronte interno in Ucraina dove alle perdite elevatissime si uniscono le difficoltà di reclutamento evidenziate dalla richiesta ai paesi europei di rimandare in Ucraina gli uomini in età di arruolamento che sono espatriati o dalle tante manifestazioni dei famigliari di militari che in tutte le città ucraine chiedono notizie dei loro cari dispersi di cui non hanno più notizie.

Il numero dei caduti dall’inizio della guerra resta un segreto gelosamente custodito da entrambi i belligeranti ma la scorsa settimana alcuni canali Telegram militari russi hanno evidenziato un video dell’operatore di telefonia mobile ucraino Kyivstar che, chiedendo una donazione a favore delle forze armate, esortava a mandare un messaggio a un militare evidenziando che “400 mila eroi non risponderanno mai più al telefono”.

Difficile dire se il numero sia credibile o meno (il canale Telegram ucraino WarTears al 24 agosto stimava i caduti ucraini in 250 mila) ma il video è stato rimosso dopo poco dalla società telefonica.

Più o meno quello che accadde quasi un anno or sono quando il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen mise in rete un video in cui riferiva di oltre 100 mila militari ucraini uccisi in guerra. Video che in seguito alle dure reazioni di Kiev venne ritirato, amputato del brano imbarazzante e nuovamente messo on-line.

Simili a quelle che Wartears attribuisce alle truppe di Kiev sono invece le perdite subite dai russi secondo il ministero della Difesa ucraino che a inizio settembre ha riferito di quasi 260 mila soldati nemici uccisi.

Sul numero dei caduti influisce pesantemente anche la capacità di soccorrere e trattare repentinamente i feriti, settore in cui i russi sembrano aver mostrato grande efficacia. A metà agosto il Direttorato della Sanità militare russa ha reso noto che il 97 per cento dei feriti viene reintegrato nei ranghi dopo la guarigione: percentuale simile a quella annunciata già un anno or sono dal ministro Shoigu.

Al netto della propaganda (numeri e percentuali non sono verificabili da fonti neutrali) il vice ministro della Difesa ucraino, Hanna Malyar, ha affermato il 19 Agosto, che l’80% dei soldati ucraini riceve le prime cure entro un’ora dal ferimento ma testimonianze dalla prima linea hanno riferito come in molti casi le prime cure vengono somministrate anche 8 ore dopo il ferimento.

I problemi della sanità militare Ucraina (inclusi gli equipaggiamenti medici forniti dall’Occidente per almeno il 15 per cento scaduti) sono stati ben evidenziati il 26 agosto da un articolo di Svitlana Morenets su “The spectator” nel quale si afferma che il grosso dei decessi tra i militari ucraini feriti si registra nelle prime ore poiché molti muoiono per emorragie che non vengono trattate repentinamente.

A fronte di perdite elevatissime, i progressi territoriali conseguiti dagli ucraini sono frammentari e limitati, pari a circa 200 chilometri quadrati (poco più dell’estensione del comune di Lucca)e fonti militari russe ammettono sul fronte di Zaporizhia avanzate ucraine di 7-10 chilometri in due settori con penetrazioni nella prima delle tre linee di difesa russe.

Si tratta dei settori dove si registrano i combattimenti più intensi intorno ai villaggi contesi nell’area di Rabotino mentre nel settore intorno a Bakhmut il vice ministro ucraino Malyar ha reso noto il 4 settembre che, dall’inizio della controffensiva, sono stati riconquistati 47 chilometri quadrati di territorio.

A conferma delle polemiche crescenti in Ucraina (dove si parla con maggiore insistenza di divergenze gravi tra vertici militari e politici circa la conduzione della guerra) e tra Kiev e gli alleati occidentali, il 5 settembre il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, peraltro non nuovo a dichiarazioni rabbiose, ha apostrofato quanti criticano l’andamento della controffensiva.

“Controffensiva lenta? E’ il parere degli esperti da salotto e dei media. Quando parlo con i miei colleghi che ricevono informazioni ufficiali dai loro militari e dall’intelligence, informazioni approfondite e complessive, nessuno ha alcunché da lamentarsi sui progressi della controffensiva. Nessuno chiede: Perché è così lenta? Al contrario tutti sono concentrati su cos’altro possiamo fare per aiutare? Ma quando guardi i media, tutti hanno una sola domanda: ‘Perché è così lenta?’.

Il ministro accusa “chi seduto sul divano al caldo di uno studio si prende la libertà di criticare la velocità dell’offensiva Ucraina, sta criticando un singolo soldato che è stato in battaglia, che si è sacrificato, ha perso dei compagni, è avanzato per un chilometro attraverso un campo minato, ha vinto uno scontro uno contro uno con un russo in una trincea.

Lui guarda il suo telefono e si sente dire: ‘Stai facendo tutto così lentamente, puoi sbrigarti? Noi dobbiamo difendere l’onore, la dignità e la vittoria del soldato ucraino. Chiunque commenti le azioni dell’esercito ucraino in modo irrispettoso dovrà vedersela con me. Sappiamo quale impresa compiono ogni giorno i nostri soldati. Meritano rispetto. I ministri lo capiscono e non dicono queste sciocchezze. Eppure giornalisti, commentatori ed esperti da salotto ci dicono quanto sia lenta l’offensiva”.

Lo sfogo di Kuleba, comprensibile per la drammaticità del momento, evidenzia però aspetti paradossali. Innanzitutto critica i media occidentali che da 19 mesi sono in buona parte appiattiti in modo acritico e a volte grottesco su ogni proclama della propaganda ucraina, anche i più fantasiosi e irragionevoli. Inoltre Kuleba prende di mira il “nemico” sbagliato. A criticare gli scarsi progressi dell’offensiva sono soprattutto le fonti ufficiali, militari e politiche, dei paesi occidentali che i media si limitano a riprendere.

Basti pensare ai report dell’intelligence statunitense che fanno sapere ai grandi media americani che avevano informato Casa Bianca e Pentagono dal rischio di flop della controffensiva, o al rapporto della Difesa tedesca trapelato a Bild che critica la gestione ucraina delle operazioni oppure alle valutazioni pessimistiche emerse da fonti anonime militari e diplomatiche di molte nazioni occidentali.

In realtà, come Analisi Difesa aveva commentato già in agosto, in assenza di vittorie significative intorno alla controffensiva ucraina e ai suoi scarsi esiti sembra destinato a rafforzarsi la tendenza allo scaricabarile: una fase che potrebbe essere stata inaugurata ieri a Kiev dall’avvicendamento del ministro della Difesa Reznikov, che pure era rimasto al suo posto dopo diversi scandali legati alla corruzione nel suo ministero.

L’insuccesso della controffensiva non ha risparmiato le valutazioni circa l’impiego e le ampie perdite dei mezzi corazzati forniti dall’Occidente, tema rilanciato ieri dalla documentata distruzione del primo carro armato Challenger 2 fornito in 14 esemplari all’Ucraina. Il Challenger 2 è protetto da una corazzatura speciale Dorchester e sarebbe stato colpito e bloccato dal fuoco dell’artiglieria russa e poi incendiato da un missili anticarro Kornet o da una munizione circuitante Lancet.

Foto e video dal fronte di Zaporizhia, settore di Rabotino, dove le migliori brigate ucraine cercano di sfondare le linee russe, mostrano un Challenger 2 gravemente danneggiato a fianco di altri mezzi da combattimento BMP-1 e M113 distrutti il 4 settembre.

Londra ha tenuto a precisare che il tank ha protetto l’equipaggio, che ha potuto lasciare indenne il mezzo danneggiato, ma l’impatto mediatico della notizia, dopo la distruzione o danneggiamento di almeno due dozzine di Leopard 2 ucraini (e di almeno un paio di obici semoventi britannici da 155mm As90), è dovuta al fatto che i Challenger 2 sono in dotazione alla 82a Brigata ucraina tenuta in riserva fino all’ultimo momento e che questi carri non avevano mai subito perdite a causa del fuoco nemico nelle operazioni (peraltro molto meno sfidanti del conflitto ucraino) in Bosnia, Kosovo e Iraq.

In quel settore del fronte dopo i progressi ucraini dei giorni scorsi i russi hanno contrattaccato ieri con successo con le unità aviotrasportate della 76a Divisione che ha riconquistato posizioni nel centro abitato per poi ritirarsi oggi di nuovo nelle postazioni fortificate nei sobborghi meridionali. come ha riferito il governatore a interim della regione, Yevgeny Balitsky.

“L’esercito russo ha tatticamente lasciato questo insediamento perché restare su un piano scoperto, nel quale non c’era modo di trincerarsi completamente non aveva senso”, ha spiegato nel corso di un’intervista, aggiungendo che le forze russe hanno ripiegato sulle colline. Uno schema tattico ripetutosi molte volte (non solo a Rabotino) da quando il 4 giugno ha preso il via la controffensiva ucraina.

Guardando all’immediato futuro, al di là del rischio di esaurimento delle risorse in truppe e mezzi degli ucraini necessarie a sostenere operazioni offensive su vasta scala, occorre valutare che valutazioni meteorologiche indicano che a fine settembre le piogge autunnali dovrebbero rendere più arduo condurre operazioni con ampio impiego di mezzi pesanti, almeno per un paio di mesi quando il gelo invernale, indicativamente a fine novembre, tornerà a indurire il terreno.

In quella fase sarà forse possibile comprendere se Kiev avrà nuove risorse per alimentare la controffensiva o se saranno i russi mettere in campo un numero sufficiente di truppe e mezzi per imprimere forse una svolta al conflitto.

@GianandreaGaian

Immagini: Telegram, Kyivstar, RIA-Novosti, TASS, Ministero Difesa Ucraino e Ministero Difesa Russo

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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