Niger e Mali al centro delle tensioni militari nel Sahel

 

Continua l’escalation della crisi nel Sahel dove il 10 settembre la giunta militare del Niger ha accusato la Francia di “dispiegare le sue forze” in diversi paesi dell’Africa occidentale con l’obiettivo di “aggredire” il Paese. “La Francia continua a schierare le sue forze in diversi paesi dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) nell’ambito dei preparativi per l’aggressione contro il Niger, che sta valutando in collaborazione con questa organizzazione comunitaria”, ha dichiarato il colonnello Amadou Abdraman, in un comunicato letto alla televisione nazionale.

La giunta nigerina ha rilevato dal 1° settembre che “due aerei da trasporto militare del tipo A400M e un Dornier 328 sono stati schierati come rinforzi in Costa d’Avorio”, e che “due elicotteri multiruolo del tipo Super Puma” e “un quaranta di veicoli blindati” sono stati schierati “a Kandi e a Malanville nel Benin. Il 7 settembre 2023, una nave militare francese ha attraccato a Cotonou (Benin, ndr) con a bordo personale e mezzi militari”, si legge nel comunicato.

Il governo golpista del Niger ha rilevato che “un centinaio di rotazioni di aerei cargo militari hanno permesso di sbarcare grandi quantità di materiale ed equipaggiamenti bellici in Senegal, Costa d’Avorio e Benin. “Queste manovre mirano a effettuare un intervento militare contro il nostro Paese”.

Da settimane sono in corso preparativi per un intervento militare in Niger guidato dall’ECOWAS che potrebbe venire guidato da truppe della Nigeria affiancate da contingenti di Benin, Costa d’Avorio e Senegal e che potrebbe avvalersi del supporto della Francia che schiera ancora in Niger 1.500 militari il cui ritiro chiesto da Niamey è oggetto di difficili negoziati tra Parigi e la giunta militare nigerina resi ancora più ardui dopo che il 10 settembre il presidente francese Emmanuel Macron nha affermato che “se dovessimo ridislocare qualcosa, sarà solo su richiesta di Bazoum e in coordinamento con lui, non con quelle persone che tengono in ostaggio un presidente”.

A inasprire i rapporti tra Francia e Niger contribuisce anche l’arresto a Niamey di Stephane Jullien, diplomatico con l’incarico di consigliere per i francesi all’estero basato in Niger arrestato l’8 settembre e di cui Parigi pretende la “liberazione immediata”.

E’ invece rientrato a Niamey dopo due anni e mezzo di esilio in Francia l’ex primo ministro nigerino Hama Amadou, figura di spicco dell’opposizione e fondatore del partito Movimento democratico del Niger per una federazione africana (Moden Fa Lumana), Amadou era stato incarcerato nel 2021 dopo le manifestazioni post-elettorali a Niamey organizzate per contestare la vittoria elettorale del presidente (ora deposto) Mohammed Bazoum e poi autorizzato a recarsi in Francia per cure mediche.

Il ritorno di Amadou va messo in relazione con l’iniziativa della giunta militare al potere dopo il golpe del 26 luglio di avviare un futuro dialogo nazionale inclusivo. Il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, ha reso noto che la giunta militare del Niger ha chiesto un mese per rispondere all’iniziativa di Algeri per risolvere la crisi causata dal colpo di stato di luglio.

Il ministro ha sostenuto che le autorità golpiste di Niamey “intendono avviare consultazioni interne a livello nazionale” per elaborare una visione che garantisca una fine pacifica della crisi”. Il capo della diplomazia algerina ha precisato che i golpisti hanno informato l’Algeria che “hanno bisogno di un periodo da uno a tre anni per sistemare le questioni interne”, sottolineando che “l’iniziativa politica per risolvere la crisi in Niger ha ricevuto reazioni internazionali positive”.

Alla fine di agosto, lo stesso Attaf aveva annunciato un’iniziativa del presidente Abdelmadjid Tebboune per una soluzione politica in Niger che esclude un intervento militare. Il ministro algerino aveva specificato che l’iniziativa “si basa su disposizioni che prevedono la partecipazione di tutte le parti senza esclusione per un periodo di sei mesi e sotto la supervisione di un’autorità civile con una personalità consensuale che guiderà il Niger e ripristinerà l’ordine costituzionale”.

La posizione di Algeri, tesa a evitare interventi militari e a consentire ai golpisti nigerini di assestare la situazione interna sembra rappresentare il principale ostacolo all’interventismo di Parigi e di almeno una parte delle nazioni aderenti all’ECOWAS.

Anche l’Unione Europea si è esptressa contro l’ipotesi di un’operazione militare contro la giunta di Niamey e, in termini militari e di sicurezza, ieri Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per gli Esteri, ha affermato che “negli ultimi 10 anni abbiamo speso 600 milioni di euro per missioni civili e di formazione militare nel Sahel. Con i fondi Ue abbiamo formato 18 mila militari e 30mila membri delle forze di sicurezza, in Mali e in Niger. Tuttavia, questo non è servito a consolidare le Forze armate che sostengono i Governi democratici”.

L’ammissione del fallimento della politica Ue di sostegno alle nazioni del Sahel in termini di sicurezza formulata da Borrell è stata espressa quasi contemporaneamente alle dichiarazioni del comandante dello US Africa Command (AFRICOM), generale Michael Langley, che a Nairobi ha espresso la volontà di mantenere le truyppe dislocate in Niger (circa mille militari) per continuare a combattere i terroristi islamici nel Sahel.

“Rimaniamo innanzitutto concentrati sui nostri interessi di sicurezza nazionale e uno di questi è l’antiterrorismo per mantenere la nostra libertà di azione di continuare quella lotta, che è positiva per la stabilità dell’Africa occidentale in generale e dell’intero Sahel”. Il Pentagono ha annunciato la settimana scorsa di aver deciso di ritirare parte delle truppe dal Niger e di trasferire altre dalla Base 101 di Niamey alla Base 201 di Agadez “come misura precauzionale”.

In supporto alla giunta militare di Niamey, dopo l’annuncio dell’invio di truppe dall’alleato Burkina Faso, il 12 settembre anche il Mali ha inviato in Niger una delegazione della giunta militare al potere a Bamako guidata dal colonnello Abdoulaye Maiga, ministro dell’Amministrazione territoriale e dal ministro degli Esteri Abdoulaye Diop.

A Niamey, i delegati hanno incontrato il presidente di transizione e leader militare Omar Tchiani. Prima di arrivare in Niger, la delegazione maliana ha effettuato una visita analoga in Burkina Faso, dove ha incontrato il presidente della transizione Ibrahim Traoré.

L’asse delle giunte militari Mali-Burkina Faso-Niger sfida la Francia e l’ECOWAS guardando al supporto russo e alla non ostilità degli Stati Uniti, che peraltro hanno addestrato in passato molti ufficiali golpisti africani come ha ricordato su analisi Difesa un ampio articolo di Giampaolo Cadalanu.

Il 10 settembre il presidente russo Vladimir Putin e quello ad interim del Mali, Assimi Goita, hanno avuto un colloquio telefonico durante il quale hanno discusso delle misure per “sviluppare ulteriormente l’interazione in vari settori, compresa la lotta al terrorismo”, come ha riferito il Cremlino ribadendo che la crisi in Niger “deve essere risolta attraverso mezzi politici e diplomatici”.

In Mali si registra un’impennata degli scontri nel nord dove le forze governative sono alle prese con l’insurrezione jihadista e con la ripresa delle iniziative militari da parte degli indipendentisti Tuareg.

L’11 settembre i miliziani jihadisti hanno attaccato senza provocare vittime l’aeroporto e la base militare di Timbuktù, dove sono ancora presenti le forze della Missione delle Nazioni Unite Minusma, peraltro in fase di ripiegamento dopo che la giunta militare al governo ne ha preteso il ritiro. L’attacco è stato rivendicato dal Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (GNIM), che da un mese ha imposto il blocco a Timbuktù vietando l’accesso alla città a camion provenienti da Algeria, Mauritania e dal sud del Mali.

Nei giorni precedenti il GNIM aveva colpito un traghetto passeggeri sul fiume Niger e attaccato una base avanzata dell’esercito a Bamba, usata anche dalle forze della compagnia militare provata russa Wagner i cui contractors addestrano e affiancano in battaglia le forze governative. Nei due attacchi sarebbero stati uccisi oltre 110 civili e militari.

Le truppe maliane devono fare i conti anche con le milizie Tuareg del “Quadro strategico permanente per la pace, la sicurezza e lo sviluppo” (CSP-PSD), coalizione politica e paramilitare nata nel dicembre 2022 per difendere il territorio dalla minaccia jihadista ma sempre più ostile anche alla giunta di Bamako, accusata di voler conquistare i territori autonomi dei Tuareg.

I miliziani hanno conquistato ieri a città di Bourem, nella regione centrale di Gao, ripresa poche ore dopo dal contrattacco dei militari che ha impiegato forze aeree. Almeno 10 soldati governativi sono stati uccisi. Il ministero della Difesa di Bamako riferisce che lLe forze di sicurezza maliane hanno respinto “l’attacco con veicoli dotati di trappole esplosive da parte di diversi terroristi a bordo di veicoli e motociclette nella località di Bourem”. Il colonnello Souleymane Dembelé, portavoce delle forze armate maliane, ha aggiunto che 13 soldati sono rimasti feriti nell’incidente mentre 46 aggressori sono stati uccisi.

I tuareg riuniti nel Coordinamento dei movimenti Azawad (CMA) hanno dichiarato di essere “in tempo di guerra” con la giunta militare di Bamako. Come riporta l’Agenzia Nova, in un comunicato diffuso sui social il CMA invita “tutti gli abitanti dell’Azawad” – nome con cui i tuareg individuano una parte della regione settentrionale da loro rivendicata – “a scendere in campo per contribuire allo sforzo bellico con l’obiettivo di difendere e proteggere la patria e riprendere così il controllo dell’intero territorio nazionale azawadiano”.

Il proclama del CMA, firmato “Esercito nazionale azawadiano” parla di una “risposta di legittima difesa” a quella che definisce “un’aggressione” dell’esercito maliano e dei contractors mercenari della Wagner mantenendo la missione di combattere le milizie jihadiste.

Proprio in questi scontri l’Aeronautica del Mali ha perduro per la seconda volta il suo unico aereo d’attacco Sukhoi Su-25 (nelle foto sopra) colpito la sera del 9 settembre intorno alle 18:15, a nord di Gao. L’aereo è stato presumibilmente danneggiato dal fuoco proveniente da terra dopo aver effettuato un raid nella zona di Almustrat. Il Su-25 è precipitato in una zona montuosa circa 10 chilometri a ovest di Ifardan mentre cercava di rientrare all’aeroporto di Gao danneggiato.

Il velivolo era stato consegnato da Mosca al governo del Mali nel gennaio 2023 a rimpiazzo di un primo Su-25 maliano consegnato da Mosca pochi mesi prima è precipitato anch’esso durante le operazioni contro i jihadisti.

 

Foto: truppe francesi in Niger (Ministero delle Forze Armate francese) e il Sukhoi 25 maliano abbattuto (Telegram)

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