Croazia e Serbia verso la corsa al riarmo?

Le operazioni di ammodernamento delle forze armate di Croazia e Serbia continuano ad essere fonte di tensione fra i due Paesi, soprattutto perché le notizie relative all’acquisizione di nuovi materiali d’armamento da parte di una o di entrambe le ex repubbliche jugoslave vengono spesso sfruttate ad arte dai media e dalle forze politiche.

Il duro scontro che ha preso vita un paio di giorni fa ne è la chiara dimostrazione. Dopo un paio di mesi di silenzio sul tema, infatti, Defender.hr, giornale croato specializzato in Difesa e Sicurezza, ha riportato la notizia secondo cui Zagabria avrebbe avviato dei contatti con Oslo per dotarsi del sistema missilistico norvegese NASAMS.

Si tratterebbe di un acquisto importante per il Paese, soprattutto perché gli unici strumenti in dotazione all’Esercito Croato per difendere il territorio da attacchi aerei sono i MANPAD (Man-portable air-defense systems) sovietici Strela SA-7 (anche nella versione nazionale Strijela-10CROA1) e Igla.

Il dialogo con la Norvegia, però, è stato ignorato da gran parte della stampa non specialistica che, pur potendo interrogarsi (ad esempio) sulle modalità con cui la Croazia pensa di riuscire a stanziare i 120-180 milioni di Euro necessari a completare l’operazione, si è limitata a riportare le parole dell’articolo uscito su Defender.hr. Ben più attenzione, invece, ha ricevuto un’inattesa dichiarazione pubblica del Ministro della Difesa croato Ante Kotromanović.

Come riportano quasi tutti i quotidiani della regione, infatti, egli ha affermato che il suo Paese è pronto a dotarsi di un sistema in grado di lanciare missili balistici (balističke rakete) tattici. Secondo le informazioni disponibili, infatti, la Croazia avrebbe richiesto agli Stati Uniti di fornirle 16 M270 Multiple Launch Rocket System (MLRS), lanciarazzi campali in grado di utilizzare anche i missili ATACMS (nella foto sotto) la cui gittata raggiunge i 300 chilometri (circa la distanza fra Bijelovar e Belgrado) nella versione Block IVA.

Le parole di Kotromanović, quindi, farebbero presumere che il suo Governo sia intenzionato a stanziare le risorse necessarie all’acquisto degli ATACMS che Washington ha già fornito ad alcuni alleati.

Pur non trattandosi di una assoluta novità (la notizia era già stata data dai principali media locali alla fine dello scorso ottobre), le sue parole hanno provocato la dura (ma tardiva) reazione delle autorità serbe, che hanno condannato senza mezzi termini questa corsa al riarmo.

Il primo ad intervenire è stato il Ministro degli Esteri Ivica Dačić, che in un’intervista alla TV di Stato croata HRT ha attaccato senza giri di parole la nuova politica di Zagabria, affermando che: “il vostro riarmo può essere diretto solamente contro la Serbia. Non credo che colpirete l’Austria, l’Italia o la Bosnia Erzegovina, eventualmente solo la Republika Srpska […] non so quindi cosa ciò porterà a voi e cosa a noi.”

Sul tema è intervenuto anche il premier Aleksandar Vučić, secondo cui nel caso “loro [i croati] non rinunciassero, noi dovremo trovare una risposta a ciò”, facendo intendere che Belgrado ritiene questo genere di azioni una seria minaccia alla stabilità dell’area.

Alle parole del Governo serbo ha immediatamente risposto l’Esecutivo tecnico di Zagabria, che ha respinto al mittente le accuse provenienti da Belgrado, facendo inoltre capire di non aver alcuna intenzione di desistere dal progetto.

Nikola Brzica, membro del Comitato per la Difesa del partito HDZ, durante una trasmissione televisiva dedicata alla questione ha replicato in maniera seccata alle obiezioni sollevate dall’analista militare serbo Miroslav Lazanski, sostenendo che le decisioni prese dalla Croazia sul tema del riarmo non devono riguardare gli stati vicini, pur evidenziando che a suo parere i due Paesi hanno l’80% di interessi in comune in materia di sicurezza.

Ad approfittare dei continui botta e risposta fra esponenti politici dei due stati ex-jugoslavi, nonché della forte impressione generata nell’opinione pubblica dai toni degli articoli dei principali quotidiani, è stata la Russia, che ha colto l’occasione per cercare di rafforzare la propria posizione di Paese “amico” della Serbia.

Durante la conferenza stampa organizzata in occasione della sua visita ufficiale a Belgrado di alcuni giorni fa, infatti, il vice-premier russo Dmitrij Rogozin ha regalato al Primo Ministro Vučić un modellino del sistema missilistico S-300, aggiungendo che in breve tempo la Russia prenderà in considerazione le richieste serbe.

Come riporta il portale B92, però, egli non si è limitato a ciò e, pur senza citare direttamente la NATO, ha dichiarato che se la Serbia nel 1999 avesse potuto contare su un sistema missilistico difensivo così avanzato non avrebbe subito danni ingenti, aggiungendo che la Russia non è “indifferente” alla sicurezza degli “amici serbi”.

La presenza di Rogozin a Belgrado, quindi, ha dimostrato chiaramente che il Cremlino non vuole cedere alla costante avanzata dell’Alleanza Atlantica nella penisola balcanica, né accettare che l’ultimo potenziale alleato nella regione venga messo in posizione di totale sottomissione (cosa che in realtà è già parzialmente accaduta).

Tale linea pare essere confermata anche dal quotidiano moscovita Kommersant, che il 15 gennaio ha riportato la notizia secondo cui la Serbia avrebbe richiesto, o almeno sarebbe interessata a ricevere, i sistemi missilistici terra-aria Buk (Бук), Tor (Тор) е Pantsir-S1 (Панцирь-С1), oltre ad alcuni Mig-29. Il giornale, inoltre, fa intendere che questi sistemi sarebbero maggiormente alla portata dello scarso bilancio militare serbo rispetto al costosissimo S-300, di cui ufficialmente le due delegazioni incontratesi a Belgrado non avrebbero parlato. Per il 2016, infatti, la Serbia ha stanziato per le sue Forze Armate quasi 57mld di dinari, ossia circa 455mln di Euro, una cifra che rende difficile l’acquisto di mezzi o sistemi stranieri particolarmente avanzati.

La costante pressione esercitata dall’avanzata della NATO nei Balcani, divenuta ancora più forte in seguito alla quasi adesione montenegrina, nonché alla chiara politica Statunitense volta a rendere la Croazia il suo partner principale nell’area, costringono comunque Belgrado a cercare di correre ai ripari. A differenza di Zagabria, che secondo il già citato Nikola Brzica sarebbe prossima a ricevere anche gli elicotteri Kiowa che le erano stati promessi dagli USA, la Serbia si trova a dover affrontare due ulteriori problemi.

Il primo è rappresentato dal fatto che Mosca non pare avere fatto ancora “all-in” per garantire alla Serbia quelle forniture che le sarebbero necessarie per assicurare la propria neutralità militare (che poi in quest’eventualità non sarebbe più tale perché la cessione gratuita o scontata di tecnologia implicherebbe la stipula di una sorta di alleanza).

Oltre a ciò, un’eventuale investimento in campo bellico da parte di Belgrado potrebbe far gridare gli stati vicini alla rinascita della Grande Serbia o comunque portarli a denunciare una presunta volontà egemonica degli “ex-četnici” Vučić e Dačić, pur sapendo che in realtà i due si trovano al Governo di un Paese attualmente in posizione di forte inferiorità.

Alla luce di tutto ciò, non deve sorprendere che l’Esecutivo in questa prima fase si sia concentrato sulla modernizzazione dei prodotti già in servizio e sull’acquisto limitato di mezzi “made in Serbia”, per cui lo stanziamento è di 1,9mld di Dinari (circa 15,4mln di Euro) come il semovente Nora B-52 da 155mm (che però dovrebbe arrivare ai reparti solo nel 2017) e il Sora da 122mm, il MRAP modello Lazar 2 e l’aereo da addestramento Lasta. Sebbene i mezzi appena elencati siano fondamentali per l’Esercito serbo, essi rischiano di essere inutili alla Difesa del Paese se non accompagnati dai prodotti che, secondo la stampa russa, Belgrado avrebbe chiesto al Cremlino.

I sistemi missilistici terra-aria, infatti, potrebbero evitare la ripetizione degli eventi del 1999, quando l’allora Jugoslavia federale fu messa in ginocchio dai bombardamenti della NATO, senza che questa fosse costretta a schierare truppe di terra, un’eventualità che avrebbe potuto portare ad un alto numero di caduti nelle file dell’Alleanza.

Al di là degli aspetti tecnici, comunque, gli attori in gioco in questa improvvisa corsa al riarmo (che per il momento esiste solo sulla carta) sembrano dimenticare due aspetti fondamentali. Il primo, che riguarda soprattutto Zagabria, è che, come scrive l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, “più si cerca la propria sicurezza, più si semina inavvertitamente instabilità intorno, come accade al ricco proprietario di una villa che decida di proteggersi con dei cani, e spesso si ritrova con questi ultimi che azzannano i passanti.”

Quella che pare essere diventata l’ossessione della Croazia per raggiungere la superiorità sul suo naturale competitore, infatti, rischia proprio di spingere Belgrado a intraprendere la stessa strada, pur con le dovute differenze dovute alle condizioni economiche precarie della Serbia.

Il secondo aspetto, invece, è legato alla volontà statunitense di rendere il suo alleato Croato il bastione anti-russo nei Balcani, alla quale corrisponde ovviamente il tentativo di Mosca di difendere la Serbia. Entrambe le potenze, infatti, dovrebbero prestare particolare attenzione alle parole di Bogić Bogićević, ex membro della Presidenza della Jugoslavia, secondo cui gli accordi di Dayton hanno messo fine agli scontri armati nell’area, ma non alla guerra.

Foto: US DoD, Kongsberg, Esercito Russo, Vojnotehnički Institut, Aeronautica Serba e Serbian defence industry

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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