Nuovo caccia europeo: un insidioso gioco ai quattro cantoni

L’Europa ha imboccato un lungo e si prevede faticosissimo cammino che dovrà portarla a schierare fra 20-25 anni un aereo da combattimento di nuova generazione. Non è ben chiaro di quale generazione – sesta, o quinta e mezzo, o solo quinta, chissà – non essendo ancora stato stabilito con esattezza che cosa dovrà/potrà fare il nuovo caccia europeo in più e/o meglio rispetto al benchmark del momento, l’americano F-35.

I costruttori europei si sono fermati per così dire alla quarta e mezzo, e lo sforzo per portarsi almeno ai livelli di innovazione dell’aereo di Lockheed Martin, non sarà da poco. Non fosse altro per non cadere nelle stesse trappole in cui è incespicato il (troppo) lungo e (troppo) costoso programma americano: a sviluppo non ancora concluso, il nuovo stealth del Pentagono ha bisogno di ammodernamenti di vario genere per compensare l’inevitabile obsolescenza di alcuni sistemi – resa tale anche dal fatto che alcune sue “meraviglie” vengono considerate parte dei programmi di estensione della vita operativa dei caccia che deve sostituire.

La lunga scalata al nuovo caccia europeo ha preso avvio a metà luglio dall’annuncio congiunto della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Emanuel Macron dell’intenzione di costruire insieme un successore dell’Eurofighter Typhoon e del Dassault Rafale, caccia multiruolo concepiti negli Anni 80 per i quali si prevede un allungamento della vita operativa fino alle soglie degli anni 40 o anche più in là.

Per il nuovo aereo si prenderanno in considerazione, com’è ormai consuetudine quasi retorica quando si parla di questo tipo di sistemi d’arma, soluzioni manned e unmanned. La roadmap del programma prenderà avvio a metà dell’anno venturo, dopodiché si vedrà con quali appigli sicuri potrà procedere la scalata. La cima, ossia una prima operatività iniziale, oggi è prevista nel 2035-2040, ma sappiamo che valore hanno queste previsioni.

 

Dal “caccia NATO” all’accordo franco-tedesco

La nuova avventura europea nasce almeno tre anni fa. Guardando da un lato alle possibili prospettive post-Eurofighter, post-Rafale e pure post-Gripen, e dall’altro preoccupata dalla decisa scelta “buy american” di alcuni paesi UE (F-35), nel novembre 2014 Airbus aveva buttato lì l’idea di costruire in Europa un nuovo “caccia NATO”, eventualmente in collaborazione con le stesse industrie statunitensi.

Lanciata a Spalato (Croazia) a un convegno delle industrie della difesa dell’Alleanza dall’allora capo di Airbus Military Domingo Urena, la proposta di coinvolgere gli USA in un programma “targato” NATO ma a guida europea era apparsa subito poco percorribile, per non dire balzana (la “americana” Gran Bretagna ne rimaneva fuori!), anche se poteva sembrare l’unica maniera per i costruttori europei di aerei da combattimento “di uscire da una sclerosi durata vent’anni” (per dirla alla Filippo Bagnato, capo della Divisione Velivoli di Leonardo) e indotta in massima parte proprio dalla proliferazione nel Vecchio Continente del Joint Strike Fighter. Urena poco dopo lasciò Airbus, e del “caccia NATO” europeo non si parlò più.

Dopo quella incerta fuga in avanti, nel dicembre dell’anno successivo ancora Airbus cominciò a far trapelare qualcosa su un possibile sostituto del velivolo da attacco al suolo Panavia Tornado, aeroplano concepito a cavallo degli Anni 60 e 70 e incapace di garantire ancora credibilità oltre gli Anni 20 del nuovo secolo.

Nel gennaio 2016, con la pubblicazione a Berlino di un “paper” sul futuro del potere aereo della Germania, prese corpo, su un requisito tedesco e spagnolo, la definizione di un Future Combat Air System (FCAS), un sistema di sistemi d’arma aerei e spaziali avente per fulcro un aereo “ground attack” di nuova generazione con uomini a bordo, altrettanto genericamente denominato Next Generation Weapon System (NGWS) e concepito come sia come “potenziale successore” del Tornado sia come complemento al multiruolo Eurofighter Typhoon.

Il FCAS doveva essere sviluppato in ambito europeo con l’apporto di un certo numero di governi e industrie e comprendere, oltre al velivolo, satelliti, velivoli unmanned armati e non, e nuovi missili. Una strada simile a quella imboccata tra molte titubanze dagli Stati Uniti per il dopo F-35 e F-22 con la loro Air Superiority 2030 Enterprise Capability Collaboration Team (ECCT).

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Dell’aereo, cioè del NGWS, nei mesi successivi apparvero i primi ipotetici rendering, non molto diversi nelle linee generali da quelli del futuro caccia turco TF-X e soprattutto del dimostratore giapponese ATD-X: architettura stealth e bimotore, doppia deriva, aerodinamica confacente a un multiruolo, e abitacolo biposto. Il secondo posto in particolare era destinato non già al classico operatore ai sistemi ma a un vero e proprio Mission Commander responsabile del comando e controllo di “sciami” di velivoli unmanned (i documenti Airbus li definivano “muli”) per l’attacco al suolo e/o per compiti IRS, costituenti assieme a sensori satellitari e ad altri sistemi un network di sistemi, il Future Combat Air System per l’appunto.

Del FCAS e dell’aereo NGWS, ma ancora in termini vaghi, Airbus è poi tornata a parlare pubblicamente nel febbraio e marzo 2017, con una dichiarazione impegnativa da parte di Dirk Hoke, chief executive della divisione Defence and Space: “Abbiamo già avviato colloqui intensi coi governi europei”. Palazzo Chigi non ne ha però fatto parola.

 

Obiettivo 2035-2040

E arriviamo al giugno scorso. Lunedì 12, una settimana prima dell’inizio del salone del Bourget, la divisione Military di Airbus Defence and Space fa due decisi passi avanti: confermata la volontà di costruire con la sua componente spagnola un sostituto del Tornado, annuncia che sono già iniziati gli studi di pre-definizione di alcune parti del nuovo aeroplano (per altre, almeno fino a tutto il 2016, per bruciare le tappe non si escludeva di sfruttarne alcune dell’Eurofighter); e chiede alla Francia di partecipare come terzo socio.

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L’invito viene rivolto in particolare a Dassault, il cui capo Eric Trappier mette subito le mani avanti: se nuovo programma europeo (Francia, Spagna e Germania più eventualmente altri, l’Italia per esempio) dovrà esserci, bisognerà condurlo non già guardando prima di tutto ai possibili ritorni industriali ed economici dei singoli partner, ma valorizzando le competenze e capacità specifiche di ciascuno. Con pragmatismo politico Trappier aggiunge comunque che se gli Americani dicono “compriamo USA”, d’ora in poi gli Europei dovranno affermare “Compriamo europeo”, per riconsolidare una base industriale sull’orlo di un crisi di nervi dopo essersi vista tarpare le ali dal Joint Strike Fighter statunitense.

I primi commenti sono sarcastici: vedremo stavolta quanto si dimostreranno davvero europei i Francesi del Terzo millennio, dopo che quelli del Secondo s’erano ritirati dal programma Eurofighter decidendo di farsi un “caccia europeo” da soli. Intanto, si osserva subito, coi Tedeschi c’è già una differenza di vedute sul periodo di entrata in servizio del nuovo caccia: la Germania dice 2035, la Francia 2040. Lana caprina, intendiamoci, visti i tempi biblici di sviluppo di questi sistemi d’arma, ancor più lunghi ed estenuanti se prima bisogna costruire e provare un velivolo dimostratore, come fu fatto per l’Eurofighter con l’Experimental Aircraft Programme e come verosimilmente potrebbe accadere di nuovo, con i costruttori europei un po’ indietro non tanto nella capacità di sviluppare sistemi avanzati quanto in qualche misura in quella di integrare software complessi come nel JSF.

 

Un caccia… anti-Brexit

 Passa un mese, e arriva il colpo di scena. Il 13 luglio Angela Merkel ed Emmanuel Macron annunciano che Germania e Francia costruiranno insieme un nuovo aeroplano da combattimento con cui rinnovare la prima linea di velivoli d’attacco e multiruolo europea: Typhoon, Rafale, Mirage 2000, Tornado, Gripen, F-18. Il nuovo caccia sarà solo parte di una più ampia, rinnovata intesa nella Difesa fra i due paesi, ca va sans dire tutta o quasi in chiave anti-Brexit: francesi e tedeschi costruiranno insieme anche un nuovo elicottero da attacco, nuove artiglierie, tank e missili. Con Parigi – così almeno sembra di primo acchito – disposta a condividere l’idea di un network di sistemi (il FCAS) con al centro il nuovo aereo da combattimento.

 

E la Gran Bretagna? E l’Italia?

Andiamo con ordine. Il 19 luglio Chris Boardman, al vertice di BAE Systems Military Aircraft, cerca di sfatare i timori di un’esclusione di Londra dal nuovo programma franco-tedesco, anche perché l’industria aeronautica britannica, dice, è fortemente impegnata in qualcosa di più avanzato, che si chiama TF-X, il nuovo caccia di Ankara al quale al momento lavorano in Turchia non meno di 250 ingegneri di BAE e Rolls-Royce. Non potete ignorarci, è il succo della piccata presa di posizione oltre Manica.

Il programma turco-britannico non potrà però non sottrarre risorse finanziare a Londra, e difficilmente, con una UE refrattaria a inglobare un regime come quello di Erdogan, potrà inserirsi in quel processo di integrazione della difesa europea sotteso all’accordo-quadro fra le due capitali continentali. Ma tant’è.

C’è poi dell’altro. Guarda caso esiste già da anni un altro programma denominato Future Combat Air System. E’ quello portato avanti insieme da Francia e Gran Bretagna, con un contributo italiano, per un Unmanned Combat Air Vehicle con cui sostituire un giorno anche l’Eurofighter. Così almeno sembrerebbe, perché attorno a questo “altro FCAS” in gestazione in Europa, che dovrebbe portare a cavallo del nuovo decennio al volo di due dimostratori, c’è ancora molta incertezza, confermata in marzo dallo stesso Ministry of Defense.

Uno dei nodi da sciogliere è la scelta dei ruoli da assegnargli: a parere di alcuni, i compiti della difesa aerea resteranno ancora per molto tempo appannaggio di aerei con pilota a bordo, mentre per altri anche gli UCAV come quello particolarmente avanzato che Francia e Gran Bretagna stanno studiando, potranno compiere con uguale efficacia anche missioni aria-aria. A tagliar corto intanto sul programma, è ancora Boardman: “L’attuale accordo fra noi e i Francesi per lo sviluppo congiunto di un FCAS unmanned non sarà compromesso dal nuovo annuncio (della Merkel e di Macron; ndr)”.

Una conferma è arrivata il 29 luglio da Dassault, che si spinge addirittura a immaginare l’UCAV franco-britannico come parte del FCAS franco-tedesco, così cone un’eventuale emtrata di Berlino nel programma unmanned di Londra e Parigi.

 

“Buy European”: sì, ma da chi?

 Vai a sapere. Vai a capire se Parigi vorrà restare col piede in due scarpe. E vai a capire dove andranno davvero a parare le due diverse “cordate” europee, quella franco-britannica, verosimilmente un po’ appannata dalla Brexit, e la nuova franco-tedesca, che prima o poi chiamerà a raccolta nuovi soci inevitabilmente minoritari, inibiti da un minore decisionismo politico-militare e incerti nell’elaborare strategie industriali conseguenti.

“Buy European” è un bello slogan politico, se ne riempiono la bocca un po’ tutti. Ma d’ora in poi l’Europa aerospaziale, già frenata e indebolita dai contrasti che hanno accompagnato le vicende del cargo A-400M e dello stesso Eurofighter, sarà più disunita che mai, prendendo direzioni diverse. Comprare europeo sì ma da chi, creando interoperabilità con chi, e pestando industrialmente parlando i piedi di chi?

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Da parte sua la Germania, per non saper né leggere né scrivere nel settore dei velivoli di futura generazione (anche se in certi campi, come quello delle armi a energia diretta, è già più avanti di altri), e anche per non doversi rimproverare un giorno di non aver tentato altre strade, un mese prima delle mosse decisive di Airbus Military s’è fatta spiegare dal Pentagono come funziona il JSF, e dalla Lockheed Martin quali potrebbero essere le eventuali ricadute per le sue industrie da un acquisto dell’F-35 con le consuete procedure Foreign Military Sale.

Entro la fine dell’estate anche Boeing le avrà tenuto briefing sui suoi F-15 e F18E/F.

E Roma? ci chiedevamo. La primissima impressione è che Leonardo sia rimasto un po’ spiazzato dalla mossa a effetto franco-tedesca. L’ingegner Filippo Bagnato al Bourget ha rilasciato dichiarazioni entusiaste sulla “sveglia” data all’Europa dall’iniziativa di Airbus (“Europea”, l’ha definita): “E’ qualcosa di importanza assolutamente fondamentale, ed era ora. Ed è opportuno che al progetto collabori anche la Francia”; coi Francesi, ha sottolineato, “personalmente ho sempre lavorato magnificamente”.

La Divisione Velivoli al momento è concentrata sul trainer avanzato M-346, che ha ormai generato una famiglia di aerei polivalenti assolutamente promettenti per un buon numero di mercati (simpatico, ed emblematico, il commento a mezza bocca dei piloti collaudatori di Torino dopo le tanto magnificate piroette dell’F-35 al Bourget: “Queste manovre, ovviamente a eccezione della salita in verticale dopo il decollo, siamo in grado di proporle anche noi col nostro M-346”).

I suoi vertici avevano accolto con favore l’idea di Airbus per un successore del Tornado. Ma ora c’è in gioco altro, si annuncia un nuovo programma Eurofighter a conduzione tedesca con un comprimario, la Francia, che come s’è ricordato a suo tempo aveva piantato in asso una collaborazione europea, e che con l’aria che tira politicamente nel Continente non sembrerebbe dare le garanzie di tenuta necessarie.

La storia del nuovo caccia nasce da premesse diverse (un intero network di sistemi, tanto per cominciare) e ben più complesse da quelle da cui hanno avuto origine il Typhoon e la nostra importante adesione al programma. Decidere, nel caso, di tenere il piede in due, anzi in tre scarpe, magari pretendendo dai Governi che verranno risorse per tutte – la partecipazione a una industrializzazione dell’UCAV franco-britannico, se si farà ancora, la prosecuzione del nostro impegno in un JSF in continua rigenerazione, e allo stesso tempo nel nuovo progetto franco-tedesco – sarebbe da marziani.

 

Il piede in troppe scarpe

A noi non è rimasto che porre alcune domande ai vertici della maggiore industria aerospaziale italiana, ben consci dei problemi di strategia industriale che il nuovo scenario pone.

Chiedevamo (ad annuncio franco-tedesco non ancora avvenuto) quale fosse l’interesse della Divisione Velivoli per il programma Next Generation Weapon System di Airbus; se fossimo già coinvolti nella sua pre-definizione; e se fosse di ostacolo la nostra adesione al programma F-35 e all’UCAV franco-britannico. Ecco lo “statement” arrivato il 19 luglio da Roma: “Il recente annuncio (franco-tedesco; ndr) è un importate passo avanti per l’Europa. Siamo confidenti che anche il nostro paese, forte delle significative capacità e competenze della propria industria dell’aerospazio, difesa e sicurezza, parteciperà a questa uova fase di cooperazione a livello europeo”.

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A seguire, nella mail recapitata in chiusura di articolo, si aggiungeva che c’è “da notare che, per quanto emerso a oggi, i finanziamenti sono stati assegnati dal Governo tedesco ad Airbus DS GmbH e il progetto è ancora nella fase AOA (Analisi delle Alternative).

Inoltre già nel ‘Libro Bianco della Difesa’ pubblicato nel 2015 dalla Germania, si iniziava a intravedere la possibile sostituzione dei Tornado. Per quanto concerne il programma Future Combat Air System (quello franco-britannico, però; ndr), questo ha l’obiettivo di individuare e definire tecnologie del futuro per applicazioni combat a livello di nazioni coinvolte – Francia e Gran Bretagna – per l’utilizzo sia su velivoli manned che unmanned, sviluppando tra l’altro un dimostratore tecnologico. Leonardo è coinvolta con le proprie competenze nella sensoristica e dell’elettronica come referente nazionale per l’MoD britannico”.

In altre parole: restiamo nell’UCAV allo studio sulle due sponde della Manica, e speriamo di poter entrare nel futuro caccia europeo. Il primo è minacciato da un possibile ridimensionamento dell’apporto francese, e nel caso, visto anche l’impegno (più strategico?) di Londra nel Bosforo, resterebbe col fiato corto. Sul secondo, atteso come il pane dalla nostra industria, finché continuiamo a seguire strade che portano dall’altra parte dell’Atlantico, faticheremo un bel po’ a salire.

 

Didascalie

Foto 1 : Il rendering di un possibile sostituto tedesco e spagnolo del Tornado. Gli studi per il futuro caccia franco-tedesco verosimilmente partirebbero da qui. (Airbus)

Foto 2 Una schema delle possibilità operative del NGWS.

Foto 3: Una vecchia proposta britannica per un caccia stealth. (Bae Systems)

Foto 4 Una delle possibili configurazioni del futuro caccia turco-britannico TF-X. (TAI)

Foto 5: F-35 dell’Aeronautica Militare Italiana (AM)

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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