A Tiguentourine una vera battaglia, non un blitz

L’attacco delle forze speciali dell’esercito algerino contro i terroristi islamisti che avevano assunto il controllo dell’impianto di estrazione del gas di Tiguentourine, nell’Algeria orientale , non può essere definito un blitz. Le incursioni tese a liberare gli ostaggi vengono pianificate per avere una durata di pochissimi minuti e la sincronizzazione tra le diverse componenti impiegate (team d’assalto, mezzi ed elicotteri) viene esasperata per ridurre la possibilità che i sequestratori possano effettuare rappresaglie sugli ostaggi. Invece le unità militari di Algeri hanno lanciato un assalto simile a quello che viene scatenato su in campo di battaglia impiegando prima gli elicotteri armati di razzi con compiti di bombardamento per poi far avanzare la fanteria e i mezzi blindati quando l’effetto sorpresa era ormai compromesso. Con questa metodologia e con una battaglia durata più di 48 ore  era impossibile evitare la morte di ostaggi e civili ed era probabile che alcuni terroristi potessero sfuggire. Almeno due fattori hanno favorito i miliziani islamisti: l’area era troppo vasta e gli ostaggi erano detenuti in zone diverse proprio con lo scopo di impedire  blitz multipli e simultanei. Le truppe algerine che avevano circondato la zona mercoledì sera non sono state in grado neppure di sigillare l’area controllata dai terroristi, alcuni dei quali sono forse riusciti a dileguarsi dopo essersi mescolati alle centinaia di lavoratori locali in fuga. Analizzare cosa non ha funzionato nell’attacco può però risultare fuorviante perché non sembra essersi trattato di un’azione tesa a liberare gli ostaggi nella quale qualcosa è andato storto ma di una battaglia vera e propria, durata molte ore anche perché gestita in modo caotico dagli algerini. L’assalto è stato eseguito con queste modalità, certo non nuove in Algeria, per precisa scelta politica di un Paese che non è mai sceso a patti con i terroristi islamici contro i quali combatte da 20 anni e ha sempre risposto con la forza bruta ai colpi messi a segno dai jihadisti. La priorità nell’attacco, che secondo alcuni esperti di antiterrorismo è stata eseguita senza neppure conoscere dettagliatamente la mappa dell’impianto di  Tiguentourine, è stata attribuita alla rapidità. Algeri ha voluto agire in fretta per limitare la finestra di visibilità mediatica internazionale che i terroristi avevano ottenuto con il loro gesto e per chiudere la partita prima che diventassero troppo forti  le pressioni a favore del negoziato esercitate dai Paesi Occidentali che avevano propri cittadini tra gli ostaggi. Washington , Londra e Parigi hanno lamentato, insieme ad altri Paesi, che gli algerini abbiano lanciato l’attacco senza informarli preventivamente e senza fornire dettagli circa i opiani dì un’operazione che è continuata anche nella notte. Nonostante il sanguinoso esito dell’assalto le reazioni occidentali sono state morbide nei vonfroni di Algeri e tese a giustificare l’operato delle forze algerine sia perché Algeri ha appena aperto le sue aerovie ai velivoli europei che trasportano armi e truppe in Malì sia perché critiche molto accese finirebbero per creare una frattura nel fronte anti al-Qaeda e favorire i terroristi islamici.  L’approccio algerino (e di altri Paesi arabi) ai sequestri di matrice terroristica è diametralmente opposto a quello dei Paesi Occidentali o di buona parte di essi. Invece della priorità di salvaguardare l’incolumità degli ostaggi, gli algerini considerano più importante scoraggiare i sequestri respingendo ogni cedimento negoziale e usando la mano pesante. Una linea ben sintetizzata ieri dallo slogan  “nessun negoziato, nessun ricatto, nessuna tregua nella lotta al terrorismo” pronunciato ieri dal ministro dell’informazione algerina Mohamed Said. Alcuni osservatori hanno inoltre valutato che l’azione terroristica a Tiguentourine era troppo complessa per essere stata pianificata in pochi giorni e che quindi non poteva essere messa in relazione all’intervento francese in Malì come invece indicavano le richieste dei sequestratori. Lo ha sostenuto anche l’ex ministro della Difesa francese, Gérard Longuet, ma non si può escludere che i piani di attacco all’impianto di estrazione del gas fossero pronti da tempo ma siano stati attuati solo ora con i riflettori puntati sul Sahel. Una tempistica che i qaedisti hanno avuto la possibilità di programmare poiché l’intervento di Parigi e la mobilitazione della comunità internazionale sono una diretta conseguenza dell’offensiva scatenata dalle milizie jihadiste verso la capitale maliana Bamako.

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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