LE "CONVERGENZE PARALLELE" DELL'F-35 IN ITALIA

Gli F-35 acquistati dall’’Italia sono saliti a 8, cioè poco meno del 10 % della flotta “tagliata” a 90 esemplari dal governo Monti e qualcosa di più invece di quella “targata” Matteo Renzi se il dimezzamento del nostro impegno economico nel programma proposto dalla meno bizantina delle tre mozioni approvate dal Parlamento alla fine di settembre, non è diventato – come parrebbe – carta straccia. Venerdì 21 novembre il governo italiano ha firmato con quello americano l’acquisto di altri 2 esemplari della versione A del caccia stealth Lockheed Martin F-35, aerei appartenenti al lotto di produzione a basso rateo numero 8 (LRIP-8).

L’ente governativo USA che sovraintende al programma, il Joint Program Office del Pentagono, ha passato l’ordine al costruttore Lockheed Martin, che affiderà l’assemblaggio di questi aeroplani alla sua FACO in territorio italiano, dove sono in lavorazione i primi 6 aerei per l’Aeronautica Militare ordinati l’anno scorso.

Singolare il fatto che mentre Gran Bretagna e Norvegia, due partner del programma che come noi hanno ordinato F-35 con lo stesso LRIP-8, hanno pubblicamente ed esplicitamente annunciato i loro nuovi acquisti, il nostro Ministero della Difesa non abbia ritenuto di andare oltre questa laconica dichiarazione: “F35: si prosegue come previsto dalle mozioni approvate dalla Camera.

Contrariamente a quanto affermato da alcuni organi di informazione delle 4 mozioni presentate alla Camera, le 3 approvate lo scorso 24 settembre, con il parere favorevole del Governo, richiedono tutte che si proceda con il programma, adottando una particolare attenzione per massimizzare i ritorni economici. Il Governo sta operando esattamente in tale direzione, procedendo con i più bassi livelli di oneri economici necessari a mantenere pienamente operativa la Faco di Cameri, anche in vista di future commesse internazionali.

Il ministro Pinotti fin dal 2 ottobre ha provveduto ad informare il Parlamento circa queste attività. Nulla di nuovo, come si evince. Le notizie riportate giungono quindi a oltre due mesi e dopo che altri organi di stampa avevano ampiamente riportato la notizia”.

Fra sottointesi difficili da decifrare e ossimori che ricordano le “convergenze parallele” del Compromesso Storico di quarant’anni fa, viene da chiedersi come sia possibile conciliare l’esigenza di “massimizzare i ritorni economici” con quella di ottenere “bassi livelli di oneri economici”. La nostra Difesa dice: andiamo avanti col programma ma non facciamo sapere come, anche perché, forse, per noi stessi è difficile stabilirlo.

I consuntivi dei primi acquisti
Restiamo ai fatti.
Il LRIP-8 comprende in tutto 43 Joint Strike Fighter: 29 per gli Stati Unti, 2 per la Norvegia, 4 per la Gran Bretagna, 2 appunto per l’Italia, i primi 2 per Israele e i primi 4 per il Giappone.

Le consegne avverranno fra il 2016 e il 2017, mentre tutte le attività industriali contemplate dal contratto saranno completate entro il maggio del 2017. Gli aerei destinati all’AM affluiranno direttamente sulla base di Amendola (Foggia) del 32° Stormo.

L’accordo economico per questo ottavo lotto di produzione “a basso rateo” ha un valore di oltre 4,1 miliardi di dollari, cui si aggiunge un altro mezzo miliardo di anticipi. Fanno 108 milioni di dollari a esemplare. Il 5 % delle attività industriali interesserà gli impianti novaresi, dove Alenia Aermacchi acquisirà oltre 230 milioni di dollari di lavoro.

Questo contratto esclude l’acquisto del motore ed è comunque solo il più “decisivo” fra tutti quelli che bisogna sottoscrivere per portare a casa quei 2 esemplari e poterli impiegare. Copre il  puro e semplice costo dell’aereo (Flyaway Cost, FC), alcuni accessori ed equipaggiamenti di missione (per esempio la tuta di volo e il casco-tuttofare del pilota) e i costi di concurrency, cioè le modifiche al progetto-base che scaturiscono dai collaudi.

Non sono quindi comprese le “prestazioni” (ciò che secondo le sue necessità il cliente richiede per utilizzarlo garantendogli per un certo tempo il supporto operativo e logistico) e i costi della customizzazione, cioè di quanto serve all’acquirente non americano del velivolo per armonizzarlo con le proprie infrastrutture e procedure.

Non parrebbe inclusa nemmeno la spesa dell’aggiornamento a quella successiva della release di software con cui gli aerei saranno consegnati (il programma di implementazione di versioni via via più capaci del software non è ancora consolidato, anche a causa dello slittamento dei rispettivi test causato dal fermo-flotta di quest’estate seguito all’incendio di un motore).

Per avviare alla operatività questi aerei bisogna quindi aggiungere circa l’80% del valore del Flyaway Cost. Calcolando poi anche la ripartizione degli investimenti non ricorrenti nel programma (circa 3 miliardi di euro; e l’ipotesi è ancora di 90 esemplari), l’aggiunta sarà pari al 100% se non superiore. Con una flotta ridotta, sarà ovviamente ancora maggiore.

E’ la stessa dinamica del programma Eurofighter, applicabile in generale a qualsiasi sistema d’arma complesso. Per l’F-35, un primo riscontro della vera entità della spesa – ripartizione degli oneri non ricorrenti esclusi – si ha già coi primi 3 aerei ordinati dal nostro governo: se, come dai consuntivi a tutto l’11 novembre pubblicati da Lockheed Martin, il Flyaway Cost di un F-35A senza motore del LRIP-6 è stato di 103 milioni di dollari (82,4 milioni di euro al cambio attuale), il totale dei contratti firmati dall’Italia per quei tre aerei è ammontato, spese per il motore comprese (l’abbiamo scritto l’anno scorso), a 154 milioni di euro a esemplare.

Restiamo comunque nel campo ristretto dei FC, che come ci aveva spiegato tempo fa l’allora Segretario Generale della Difesa generale Claudio Debertolis, permettono, come amano dire i militari, di confrontare le mele con le mele.

Il comunicato ufficiale del Joint Program Office del 21 novembre specifica per gli F-35 del LRIP-8 il solo Flyaway Cost del velivolo senza il motore:
–  F-35A: 94,8 milioni di dollari, che al cambio attuale fanno 75,7 milioni di euro;
–  F-35B STOVL: 102 milioni di dollari, pari a 81,5 milioni di euro;
–  F-35C: 115,7 milioni di dollari, pari a 92,5 milioni di euro.

Per i propulsori valgono procedure di acquisto e tempistiche simili a quelle degli aeroplani: ci sono da sottoscrivere vari contratti successivi, relativi al motore “nudo” e poi a tutto ciò che serve a farlo girare e a garantirne la manutenzione per un certo periodo (supporto logistico, pezzi di ricambio e quant’altro).

Il 14 ottobre la Pratt & Whitney s’è aggiudicata un contratto di 943 milioni di dollari (755,5 milioni di euro) per la fornitura di 36 esemplari del suo turbofan F-135 da montare sugli F-35 del LRIP-7, e alla fine del mese un altro contratto di 1,05 miliardi di dollari (842 milioni di euro) per 48 unità da destinare al LRIP-8, accordo del quale non sono ancora noti i dettagli.

Il quasi miliardo di dollari per i motori del 7° lotto comprende i costi di modifica al propulsore imposti dal grave incidente di giugno. Fanno 26,1 milioni di dollari a motore (20,9 milioni di euro). Qui però è più difficile scorporare il Flyaway Cost dal resto, anche se un FC di 20 milioni di dollari (16 milioni di euro) al pezzo non dovrebbe essere troppo lontano dalla realtà.

Rimangono le affermazioni della casa motoristica statunitense, che in un press release ha spiegato come il prezzo medio dei due diversi modelli del suo motore (quello più caro per la versione STOVL e l’altro per le versioni a decollo convenzionale) sia sceso del 4,5 % nel passaggio dal LRIP-6 al LRIP-7, e come un’analoga riduzione interesserà i motori per il LRIP-8. Ergo, dai su citati circa 20 milioni di dollari di FC per gli aerei del LRIP-7, si dovrebbe passare ai 19 (15,2 milioni di euro) di quelli per i velivoli del LRIP-8.

La lunga corsa verso i contratti “Multiyear”
Scriviamo su un foglio questi numeri. Se ai 94,8 milioni di dollari di un F-35 a decollo convenzionale sommiamo i 19 del suo motore, per ciascuno dei due nuovi esemplari italiani del LRIP-8 otteniamo un FC totale di 113,8 milioni di dollari, pari a 91,3 milioni di euro.

E parliamo di F-35 ancora abbastanza “immaturi”, che prevedibilmente presenteranno – complici ristrettezze di bilancio in prospettiva ancora più penalizzanti – problematiche tecnico-operative almeno simili a quelle poste all’Aeronautica dalla prima Tranche di Eurofighter, aeroplani che l’AM tenta da anni di vendere sul mercato dell’usato anche (in qualche misura) per garantirsi nel caso la copertura finanziaria del completamento della Tranche 3.

Pur sforzandoci assai, non riusciamo a non tornare con il ragionamento ai meno di 60 milioni di euro di Flyaway Cost per un Eurofighter Typhoon completo anch’esso del suo apparato propulsivo della Tranche più avanzata (la 3) dichiaratici nell’intervista dell’anno scorso dall’ex-amministratore delegato di Eurofighter GmbH ingegner Enzo Casolini; ma tant’è, facciamo ammenda di questa involontaria quanto istintiva digressione.
Nel 2014 dunque affrontiamo un Flyaway Cost di F-35A “immaturo” pari a 91,3 milioni di euro. Il Pentagono ci consola facendo sapere che questo valore risulta inferiore del 3,5 % a quello degli aerei del LRIP-7.

Com’è ovvio, più questi lotti di produzione a basso rateo sono corposi, maggiore sarà la riduzione del prezzo. Il prossimo LRIP-9, da sottoscrivere l’anno venturo, passerà dai 43 aeroplani del LRIP-8 a 57, e gli ultimi due LRIP-10 e LRIP-11, con contratti di acquisto da firmare rispettivamente nel 2016 e 2017, saranno ancora più numerosi.

Il Pentagono cercherà di riunire in un unico agreement le trattative per i lotti 9 e 10, e di far rientrare l’11° nel primo dei contratti “Multiyear”, da cui si aspetta economie di scala più consistenti e una conseguente più marcata riduzione dei costi del velivolo. Tutto questo però al momento è solo teoria, perché sugli ordinativi degli Stati Uniti pende ancora la spada di Damocle della Sequestration dei fondi al Pentagono, mentre per quelli di partner e clienti (vedi “F-35: le “altalene di Canada, Israele, Giappone e Corea”) non si possono ancora fare calcoli definitivi, comunque a conforto di un trend consistente di riduzione dei costi.
Ne consegue che non si hanno certezze sul ciclo economico di questo programma, un bel dilemma per chi debba mettere in piedi una pianificazione della spesa che non si fermi al domani, e voglia in ogni caso “minimizzare gli oneri economici”.

Non è uno scandalo, perché l’aleatorietà di tutti gli aspetti è tipica di ogni grande programma di acquisto che si sviluppi nell’arco di decenni, secondo un approccio al procurement militare che è viziato all’origine dall’impossibilità di prevederne ed evitarne le turbative, ma di cui non si intravvedono alternative praticabili.

Nel caso del Joint Strike Fighter tuttavia si dovrebbe trovare il tempo e il modo di non cadere in trappola, schivando almeno parte dei colpi che le inevitabili future riduzioni della nostra spesa militare daranno a questo programma.
Come? E’ già stato spiegato e ripetuto, quasi col timore di dire un’ingenuità: comperando più avanti aeroplani più maturi, quando il loro costo sarà sceso a livelli tangibili e più gestibili in fase di programmazione della spesa di quanto non consenta l’attuale congiuntura del programma. Nello specifico:
a) quando la concurrency avrà (si spera) quasi esaurito la sua incidenza sui costi complessivi;
b) quando la qualità/quantità di software raggiunta potrà consentire di mettere in linea aeroplani da combattimento effettivamente rispondenti alle fantasmagoriche promesse fatte tre lustri fa da chi si aggiudicò questo “padre” di tutti i programmi aeronautici militari di sempre;
c) infine quando la stabilità dei sistemi alla base del supporto logistico e dell’addestramento, unita (oltre Atlantico, dove il maggiore utilizzatore del JSF avrà già messo in cascina tante “Lessons learned”) alla stessa esperienza sul campo del sistema arma, avrà dato più senso compiuto e valore alla pianificazione.

I ratei a Cameri restano bassi
Negli anni scorsi l’Aeronautica assicurò che avremmo cercato in ogni modo di saltare il periodo di produzione “Low rate”, che già si annunciava caotica, concentrando i nostri acquisiti di JSF nella successiva più vantaggiosa e “stabile” fase “Multiyear”. Fase che dovrebbe aprirsi nel 2020, data alla quale oggi Lockheed Martin

assicura che il costo (presumibilmente la somma dei due Flyaway Cost aereo più motore) di questi caccia di quinta generazione sarà sceso a 75 milioni di dollari, in realtà 85 calcolando l’inflazione; comunque il doppio dei fantastici 40 milioni pubblicizzati all’inizio della loro avventura.

Qualcuno però intravvide una contraddizione: come era possibile cominciare a macinare lavoro nella FACO, ricavandone il valore aggiunto che si voleva dare il più presto possibile alla nostra adesione al programma, soltanto dieci anni dopo averne cominciato la realizzazione?

Nel 2012 il generale Debertolis dichiarò ad “Analisi Difesa” che con una produzione di 90 aerei, il costo dell’aereo per l’Italia si sarebbe stabilizzato attorno al 55° esemplare assemblato nello stabilimento italiano, e che il FC sarebbe sceso fino a 60 milioni di dollari da lì in poi.

Più in là della metà dei 90 esemplari previsti dal governo Monti, quindi. Le previsioni di break even non sembrano migliorate, anzi. Cameri oggi assembla 3-4 aerei all’anno: un po’ più di un quinto d’aereo al mese contro i due calcolati a regime in sede di investimento.

E’ partita nel luglio 2013 e andrà avanti così per almeno altri tre anni. Non è dato sapere per le vie ufficiali se e quando l’Olanda onorerà nei fatti la promessa di farci assemblare i suoi 37 F-35A, dopo averne già ricevuti un paio da Fort Worth e con un terzo attualmente programmato solo nel 2016 con il LRIP-10.

E’ scomparsa dalle cronache anche l’opzione di fornire gli aerei alla Norvegia (che ne sta ricevendo 4 direttamente dagli USA) e ad altri partner. Niente di buono insomma dal fronte dei ratei di produzione a Cameri, mentre dagli Stati Uniti si apprende che nel LRIP-9 (contratto nei prossimi mesi) sono al momento iscritti solo altri due aerei italiani, il 9° F-35 a decollo convenzionale per l’Aeronautica e il primo STOVL per la Marina. Le lavorazioni non inizieranno prima di due anni, quando avremo smaltito i primi 6 aerei e quasi ultimato il 7° e l’8°.

Se compreremo meno aerei del previsto e/o li acquisteremo più in là nel tempo, come ci converrebbe volendo o dovendo diluire negli anni l’impegno economico, a soffrirne saranno anche la produzione di ali, che interessa tre stabilimenti di Alenia Aermacchi e quella parte – già poca cosa – della filiera aerospaziale italiana coinvolta nelle forniture.

Mentre in un forum in Croazia di qualche giorno fa il capo di Airbus Military non ha citato l’Italia nel progetto di un futuribile “caccia NATO” da spartire con gli statunitensi, a Roma si continua a nutrire la speranza (non è mai stata una certezza) di dare effettiva concretezza all’investimento fatto con la FACO con il conferimento delle più vantaggiose attività industriali legate alla manutenzione, riparazione e aggiornamento delle flotte europee di JSF.

Una decisione americana in questo senso, o piuttosto a vantaggio della Gran Bretagna – che nel frattempo in combutta con Olanda e Norvegia ha deciso di attrezzarsi in proprio per l’addestramento e la guerra elettronica col JSF – è attesa entro questo mese.

Mettere in piedi una flotta di 90 aeroplani o anche meno, “minimizzando l’onere economico”, significherebbe far crescere le ortiche per molti anni sotto gran parte delle volte della FACO.

Foto Lockheed Martin, Difesa.it

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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