Connection immigrazione-terrorismo islamico: il governo scopre l’acqua calda

Di fronte al montare delle minacce alle porte di casa il nuovo bilancio della Difesa mortifica le forze armate e promette di azzerarne le capacità operative con tagli che contraddicono pesantemente quanto detto più volte dal ministro Roberta Pinotti (la “Difesa non è un bancomat”) mentre la riduzione di fondi al comparto sicurezza impone la chiusura di 251 commissariati di polizia e stazioni dei carabinieri.

Il decreto tanto sbandierato per far fronte con misure urgenti all’emergenza terrorismo dopo i fatti di Parigi slitta di settimana in settimana. Forse perché il governo non sa bene cosa fare dal momento che le forze dell’ordine sono del tutto impreparate a gestire eventuali plotoni di fratelli Kouachì armati di kalashnikov e lanciagranate nelle strade delle nostre città.

I poliziotti non sparano più un colpo per addestrarsi, dispongono di armi vecchie e di pochi giubbotti antiproiettile peraltro di un tipo ben poco utile contro armi da guerra. I carabinieri vedono il 96% del loro bilancio assorbito dalle retribuzioni, ciò significa che restano poco più di 200 milioni per pagare le utenze di caserme e stazioni, tenere in manutenzione infrastrutture e mezzi, acquisire nuovi equipaggiamenti e addestrarsi.

Il decreto dovrebbe contenere misure legislative utili a contrastare la propaganda e il proselitismo jihadista ma il governo non sembra aver fretta confermando così la scarsa sensibilità nei confronti di difesa e sicurezza.

Un disinteresse dimostrato non solo dai continui tagli ai bilanci ma anche dal fatto che il Presidente del Consiglio non si è ancora recato in visita a un contingente militare oltremare e quando parla di temi legati a questo settore le sue dichiarazioni sono spesso di una superficialità disarmante.

Nemmeno la notizia che i terroristi dello Stato Islamico stanno avanzando a grandi passi anche in Libia e gestiscono i lucrosi affari legati al traffico di immigrati clandestini verso l’Italia sembra aver dato una scossa al governo o fatto emergere la necessità di rivedere  le misure di sicurezza e la sciagurata politica dei confini spalancati.

Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, si è lasciato sfuggire che l’arrivo indiscriminato di immigrati può far aumentare il rischio terroristico. Poi si è reso conto di aver detto una cosa politicamente scorretta e per non sembrare un leghista ha corretto il tiro dicendo che i terroristi non sbarcano come gli immigrati mentre il titolare del Ministero degli interni, Angelino Alfano ha negato vi siano segnali d’infiltrazione attraverso i barconi.

Proprio Alfano fu uno dei fautori dell’Operazione Mare Nostrum, dipinta all’epoca come un’operazione militare di deterrenza contro l’immigrazione clandestina.

Le cose non sono andate proprio così e solo l’anno scorso abbiamo fatto sbarcare in Italia 200 mila clandestini provenienti da Medio Oriente e Africa oltre la metà dei quali hanno fatto perdere le proprie tracce in Italia oppure hanno raggiunto altri Paesi europei.

Come hanno ammesso tempo fa autorevoli fonti militari l’Italia non ha neppure preteso di conoscere l’identità dei clandestini che portava in Europa grazie alle unità della Marina Militare. Nessuno è stato obbligato a  fornire le proprie generalità favorendo così il deflusso degli immigrati verso altri Paesi europei.

La Ue prevede infatti che gli immigrati clandestini vengano registrati nel Paese dove sbarcano e lì attendano l’eventuale riconoscimento dello status di rifugiato. La gran parte di  coloro che sono sbarcati volevano andare altrove ma sono giunti in Italia solo perché il nostro l’unico Paese che fa oltrepassare le sue frontiere a chiunque paghi il pizzo alla mafia islamica che gestisce i traffici di esseri umani.

Tanto accogliente buonismo avrebbe potuto farci apparire un po’ buoni samaritani e un po’ “pirla”, poi le indagini hanno portato alla luce le speculazioni generalizzate nella gestione dei fondi per l’assistenza ai clandestini con il coinvolgimento della malavita organizzata permettendo così all’Italia di riappropriarsi del suo clichè storico di Paese corrotto e mafioso.

Le reazioni di fronte alle recenti rivelazioni sulla connection tra immigrazione e terrorismo islamico fanno un po’ ridere perché si tratta di notizie note da moltissimo tempo e più volte denunciate. Non c’era bisogno dei mercantili salpati dalla Turchia e arrivati davanti alle coste italiane senza equipaggio ma carichi di clandestini per sapere che quei traffici sono gestiti da malavita e gruppi jihadisti.

Così come non c’è bisogno di un documento attribuito allo Stato Islamico e ripreso dai giornali libici per sapere che l’IS intende sbarcare i suoi miliziani in Europa infiltrandoli sui barconi degli immigrati.  Il successo (per i terroristi) è garantito, basta istruire i miliziani a negare l’identificazione davanti alle autorità italiane dichiarando che hanno parenti in Germania o in Svezia.

Con questo semplice “stratagemma” al-Qaeda e lo Stato Islamico potrebbero aver già infiltrato in Europa intere brigate di “foreign fighters” considerati i ritmi con cui sbarcano (anche d’inverno)  gli immigrati clandestini.

L’anno scorso il ministro Mauro rivelò, peraltro senza suscitare molto clamore, che il business dei clandestini dalla Libia all’Italia finanziava il terrorismo islamico. Lo stesso Mauro ha reso noto che una dozzina di scafisti egiziani arrestati soffrivano di un tipo di tubercolosi presente solo nel Waziristan pakistano e nel sud dell’Afghanistan: aree  dove sono presenti i campi d’addestramento e le basi di talebani e al-Qaeda.

Inoltre tutte le organizzazioni internazionali che monitorano il fenomeno in Africa Occidentale e nel Sahel concordano da anni nel valutare che i traffici di armi, droga e persone diretti verso l’Europa seguono le stese rotte e sono gestiti da organizzazioni che includono i movimenti qaedisti e jihadisti attivi in quei Paesi.

Quindi dov’è la novità?  Che i terroristi incassino milioni di euro al mese grazie al governo italiano che utilizza la flotta per favorirne gli affari invece di impiegarla (come fa l’Australia ad esempio) per respingere i barconi e riportare indietro i clandestini? A Roma hanno scoperto l’acqua calda ma sapevano già tutto da tempo.

I terroristi islamici già ben presenti a Tripoli e Zawiya (una delle aree più importanti per le partenze verso l’Italia) che gestiscono barconi e mercantili non hanno certo difficoltà a imbarcavi non solo i “clienti paganti”  ma anche i loro uomini. Lo dimostrano i rapporti dell’intelligence emersi da diverse dichiarazioni pubbliche ma, a dirla tutta, bastava leggere i giornali per essere consapevoli della minaccia.

Nel marzo 2014 in un reportage di Gian Micalessin su “Il Giornale “ un inquirente della procura di Tripoli impegnato in un’indagine condotta dai servizi d’intelligence libici (quelli fedeli al governo  laico di Tobruk, non ai “Fratelli Musulmani”) disse che nel deserto meridionale il lucroso affare dell’immigrazione clandestina è ormai sotto il controllo di una milizia qaedista interessata non solo ai proventi in denaro, ma anche alla possibilità d’infiltrare informatori e militanti sui barconi diretti in Italia.

“Al sud il gruppo più attivo – spiegò la fonte – è quello legato ad Ahmed Asnawi un comandante (emerso alla testa di milizie jihadiste durante la rivolta contro Gheddafi –ndr) molto vicino ad al-Qaeda. Lui e i suoi uomini sono stati i primi a cercar di mettere le mani sul commercio di esseri umani. Li prendono sotto il proprio controllo li trasferiscono verso la Cirenaica e a Sirte e da lì organizzano la partenza verso l’Italia su grosse imbarcazioni.

A differenza dei trafficanti tradizionali garantiscono barche più sicure a prezzi inferiori, intorno ai mille dollari. Quei soldi oltre a finanziare il gruppo di Asnawi garantiranno l’arrivo nel vostro Paese e nel resto d’Europa di molti terroristi”.

L’articolo venne pubblicato il 20 marzo 2014 ma già nel novembre 2013 (mentre prendeva il via Mare Nostrum) un rapporto presentato dalla Fondazione ICSA  riferiva che  “in una vastissima area del mediterraneo meridionale si sta realizzando una saldatura non solo ideologica ma permeata anche da interessi economico-criminali tra le diverse formazioni jihadiste, con la creazione di veri e propri santuari del terrorismo”.

All’inizio di novembre del 2013 l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino disse che “ci sono sospetti che dalla Libia fra i vari disperati arrivino in Europa anche jihadisti o qaedisti” aggiungendo che si trattava di “uno dei metodi che hanno usato spesso”.  Ciò nonostante due governi italiani hanno continuato a far passare i nostri confini e quelli europei a chiunque senza reali controlli e ben sapendo chi gestiva i traffici.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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